17 Febbraio

I corpi intermedi, i trattori e il caso Navalny

Le nostre società e le nostre democrazie soffrono per «l’indebolimento dei corpi intermedi». C’è una «perdita di valori collettivi» e del «senso di comunità». Un dato abbastanza evidente a qualunque osservatore non superficiale. In un articolo pubblicato sul Sole 24Ore gli economisti Marco Buti e Marcello Messori sottolineano il ruolo decisivo che in un sistema democratico sono chiamati a svolgere i corpi intermedi (associazioni, comunità locali, sindacati, terzo settore, etc.), cioè tutto quell’insieme di realtà sociali nate dal basso, in modo libero e creativo, per rispondere a bisogni concreti o per dare voce e rappresentanza a un territorio, a una comunità, a un gruppo, di cui l’Italia è sempre stata ricca. Le conseguenze negative del venir meno di questo tessuto sociale, a torto disprezzato in nome della cosiddetta disintermediazione (vi ricordate il «meraviglioso principio» dell’«uno vale uno»?), sono sotto gli occhi di tutti. È di queste settimane la protesta dei trattori. Nell’articolo si cita la vicenda dei gilet gialli in Francia. Ma potremmo ricordare il caso dei partiti politici ridotti ormai a «comitati elettorali» fino al punto di averci tolto la possibilità di esprimere le preferenze alle elezioni. Salvo poi, con scandalosa ipocrisia, recitare la parte di chi è preoccupato per la sempre più scarsa affluenza alle urne. Il tema dei corpi intermedi è sempre stato al centro della nostra attenzione come Fondazione San Benedetto. Siamo infatti profondamente convinti che il loro indebolirsi sia un di meno per l’intera società e per ogni singolo cittadino. Nel nostro piccolo, nelle prossime settimane, raccogliendo la sollecitazione di alcuni imprenditori, intendiamo dar vita a uno spazio di confronto e di aiuto per affrontare in particolare due temi molto sentiti dal mondo delle imprese: da un lato le questioni legate alla transizione ecologica e dall’altro l’impatto dell’intelligenza artificiale. Vi terremo aggiornati.

10 Febbraio

Il diritto all’aborto e l’infinita gratitudine di Giovanni Allevi

Questa settimana vogliamo proporvi la lettura di due articoli su fatti che apparentemente sembrano non avere alcun collegamento fra loro, ma che in realtà hanno la stessa radice. Il problema non è infatti essere credenti o non credenti, ma rispondere alla domanda se l’uomo sia un mistero o non lo sia. E se si pensa che non lo sia, qualunque cosa diventa possibile a un uomo che si illude di essere padrone di sé stesso. Il primo articolo è un editoriale di Giuliano Ferrara sul Foglio nel quale si commenta il recente voto dell’Assemblea nazionale francese che con una maggioranza schiacciante ha approvato la proposta del presidente Emmanuel Macron di inserire nella Costituzione il diritto all’aborto. Adesso toccherà al Senato francese esprimersi e se dovesse confermare il voto favorevole, la Francia sarebbe il primo paese al mondo a garantire l’interruzione volontaria di gravidanza come diritto costituzionale. Il secondo articolo di Maurizio Vitali, tratto dal quotidiano online ilsussidiario.net, è dedicato alla partecipazione del pianista e compositore Giovanni Allevi alla seconda serata del Festival di Sanremo. Reduce da una lunga malattia, in modo umile e vero ha raccontato sul palco dell’Ariston la sua esperienza della sofferenza che l’ha portato come un dono inaspettato a scoprire l’infinito che c’è in ogni persona. Dentro queste due vicende ci sono due modi opposti di guardare la realtà. Nel primo caso, in nome della filosofia dei diritti, abbiamo un uomo «idolatra di sé stesso». Scrive Ferrara: «Che infinita vergogna, che schifo, che condanna a morte di un’intera sensibilità e cultura, che campione perverso dell’ideale di laicità, che delirio irreligioso. E non ci saranno vescovi e parroci e beghine sante e intellettuali a fare le barricate, né popolo né i suoi eletti né partiti insorgeranno in nome dell’ovvio scientifico, della fotografia banale di un bambino cromosomicamente puro e unico destinato al macello. La rivoluzione dei diritti omicidi ha trionfato». Nel secondo caso c’è un grande musicista di successo come Allevi che racconta la prova vissuta nella malattia: «All’improvviso mi è crollato tutto. Ho perso molto: il mio lavoro, i capelli e le mie certezze ma non la speranza e la voglia di immaginare. Era come se il dolore mi porgesse degli inaspettati doni». Il primo dono è stata la scoperta che non il successo o il risultato stabilisce il valore della persona. Capitò ad Allevi di notare con un certo disappunto una poltrona vuota, «oggi dopo la malattia non so che farei per suonare davanti a quindici persone. I numeri non contano, sembra paradossale detto da Sanremo, perché ogni individuo è unico, irripetibile e a suo modo infinito». E dentro questa esperienza si apre lo spazio di un’infinita gratitudine. Ecco due modi opposti di guardare la realtà che riguardano da vicino la vita di ciascuno di noi.

04 Febbraio

Verso le elezioni europee, cosa ci interessa veramente

Venerdì si è tenuto il terzo incontro di formazione del ciclo “L’Unione Europea vista dall’interno” con l’intervento della professoressa Lorenza Violini, ordinaria di diritto costituzionale alla Statale di Milano. Dopo gli incontri con l’ex ministro Mario Mauro e il professor Roberto Baratta, abbiamo fatto un approfondimento sulle politiche europee e in particolare sul Green Deal. Giovedì 8 febbraio concluderemo il percorso con un appuntamento sulla politica economica dell’Unione. Interverrà il professor Tommaso Sonno, vice direttore del Pnrr Lab della SDA Bocconi. Nel presentare questa iniziativa sull’Europa nei mesi scorsi avevamo ripreso un editoriale di Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera nel quale si sottolineava l’importanza di prepararsi seriamente in vista delle prossime elezioni europee. «A Strasburgo – scriveva – si inciderà sui destini delle prossime generazioni molto più che nel Parlamento di un singolo Paese». Da qui la necessità di scegliere candidature di persone pronte a impegnarsi davvero sui temi dell’Europa con intelligenza e passione. Purtroppo finora spesso non è stato così. In questo senso condividiamo in pieno quanto ha dichiarato pochi giorni fa Romano Prodi in un’intervista al Corriere in merito alle candidature dei leader politici alle europee: «Presentarsi per attrarre voti senza poi ricoprire il ruolo rappresenta un distacco dalla volontà popolare e indebolisce la democrazia». Come Fondazione San Benedetto vogliamo offrire anzitutto un’opportunità di conoscenza sull’Europa seria, documentata e attenta alle questioni reali che riguardano la vita delle persone. L’abbiamo fatto con questo ciclo di formazione e proseguiremo a maggio con un incontro pubblico in vista delle elezioni. Indipendentemente dalle scelte politiche di ciascuno ci interessa anzitutto questo. Sono le stesse preoccupazioni che abbiamo ritrovato nell’editoriale dell’economista Lucrezia Reichlin, che vi invitiamo a leggere, apparso qualche giorno fa sul Corriere. «Si parla molto di nomi e di contrasti sulle liste sia nella maggioranza che nell’opposizione – scrive -, ma non si è ancora capito quali siano i temi chiave dei programmi elettorali, temi che, essendo le elezioni per il Parlamento europeo, dovrebbero essere appunto europei».

27 Gennaio

Tamaro: la vita è qualcosa di appassionante

In occasione dell’uscita del suo ultimo libro “Il vento soffia dove vuole” la scrittrice Susanna Tamaro, che ricordiamo anche per essere stata nostra ospite cinque anni fa al Mese Letterario, ha rilasciato un’interessante intervista che riprendiamo da Vatican News, nella quale spazia dai legami familiari alla condizione dei giovani, dal ruolo della cultura e degli artisti all’invasione dei media negli spazi della vita, per arrivare fino alla fede. “Noi – sottolinea nell’intervista – immaginiamo la fede come un obbedire supinamente a delle cose che ci vengono ordinate dall’alto ma non è così, ora più che mai Dio ama i ribelli a questo mondo che va verso la barbarie, verso la follia, verso la disumanità più totale”. Un testo che vi invitiamo a leggere integralmente (è disponibile anche la versione audio dell’intervista) per i numerosi spunti di riflessione che offre in un momento di smarrimento come quello che stiamo vivendo segnato dalla tragedia della guerra.      

21 Gennaio

Il dramma irrisolto del «Vangelo» di Pasolini 

Sessant’anni fa usciva nelle sale cinematografiche il film «Il Vangelo secondo Matteo» di Pier Paolo Pasolini. In un articolo su Libero Antonio Socci ripercorre la genesi di questa opera che «rappresenta anzitutto un dramma irrisolto, per il suo autore e per il mondo culturale italiano che non ha mai fatto veramente i conti con il cristianesimo». Un film, di cui si ricordano soprattutto i volti dei protagonisti, nato dopo la lettura casuale del Vangelo durante una visita del regista ad Assisi nel 1962. Quella lettura fu un incontro con la bellezza «allo stato puro» che Pasolini dirà poi di aver sperimentato solo nel Vangelo. Un incontro con la figura di Gesù che resterà in tutta la sua vita un punto di domanda sempre aperto. Pur dicendosi non credente, riferendosi a Cristo, aveva confidato: «Lo cerco dappertutto». In una lettera a don Giovanni Rossi si definiva «bloccato in un modo che solo la Grazia potrebbe sciogliere». Una tensione drammatica che non poteva accontentarsi di risposte facili e accomodanti.     

14 Gennaio

Quel cuore negato è l’unica speranza

«Ogni uomo fa le sue scelte paragonandole con le esigenze di felicità e bellezza di cui il suo cuore è dotato; il problema è che tutto nella società sembra negare queste esigenze sostituendole con altre false ma che fanno comodo al potere. Consumismo sfrenato ed esaltazione della libertà. “Ma liberi da cosa, liberi da chi” dice acutamente Vasco Rossi individuando il lato negativo della libertà, la cosiddetta libertà da ogni legame che lascia alla fine soli e tristi». Lo scrive Stefano Bolla in una lettera che vi invitiamo a leggere, pubblicata in questi giorni da Bresciaoggi. È la stessa dinamica descritta nel dialogo tra due filosofi, Francesco Postorino e Massimo Borghesi, pubblicato da Avvenire, tutto da leggere anche questo. «I giovani sono interrogati dalla dimensione religiosa quando la vedono espressa in atto, la colgono nel volto e nell’umanità dei loro coetanei, ragazzi e ragazze che trovano nella fede un di più di umanità e di vita  – sottolinea Borghesi -. Qui vale la legge per cui il simile è attratto dal simile. Oggi si può divenire cristiani perché, come 2000 anni fa, si incontrano dei cristiani vivi. La secolarizzazione, tante volte citata come motivo di allontanamento dalla fede, non è dirimente. Come non era determinante il paganesimo rispetto alla diffusione della fede nel mondo antico. La grazia cristiana, quando è reale, ha una sua bellezza che attrae. È più persuasiva dei pregiudizi che, provenienti dal pensiero post-illuminista, continuano a permeare la nostra cultura».

12 Gennaio

A Brescia il 1° febbraio lo spettacolo “Father & Freud”

Giovedì 1 febbraio alle 21 a Brescia, al Teatro Der Mast di via Carducci 17/E, promosso dalla Fondazione San Benedetto è in programma lo spettacolo “Father & Freud” con Glauco Maria Genga e Giovanni Spadaro, musiche di Andrea Motta e regia di Adriana Bagnoli. Uno psicoanalista e psichiatra insieme a un giovane attore portano per la prima volta a teatro una pagina poco nota della vita e del pensiero di Sigmund Freud. Il suo viaggio ad Atene nel 1904 e lo stupore di fronte alla bellezza dell’Acropoli accendono una luce nuova sul tema che da sempre è il cuore della riflessione filosofica e psicoanalitica: il padre. La sfida dello spettacolo è quella di portare il pubblico dentro la quotidianità di un genio, avvicinando la sua vita prima che le sue opere. Non ci rivolgiamo solo agli addetti ai lavori, che troveranno comunque un approfondimento storico e biografico molto fedele, ma anche ai neofiti, ai giovani, a chi non ne sa nulla, perché semplicemente possa avvenire l’entusiasmante incontro con un uomo e con il suo pensiero. E’ obbligatorio l’acquisto del biglietto in prevendita.   

07 Gennaio

Riascoltando Gaber

Riprendiamo il nostro appuntamento domenicale nel nuovo anno accompagnati da Giorgio Gaber. A Capodanno Rai 3 ha mandato in onda il docufilm «Io, noi e Gaber» che è possibile rivedere a questo link su RaiPlay. Un’occasione straordinaria per rivivere un pezzo di storia d’Italia attraverso la carriera e la vita dell’artista milanese scomparso ventuno anni fa. Eppure a distanza di tanto tempo nel percorso e nelle parole di Gaber possiamo ritrovare intuizioni e suggerimenti spiazzanti che riguardano la nostra vita di oggi. Come scrive Carlo Candiani nell’articolo pubblicato sul quotidiano online ilsussidiario.net, di cui invitiamo alla lettura, il docufilm «non è più il racconto di una carriera artistica, ma quello di un uomo dentro la propria storia e quella del popolo in cui è immerso, con mille contraddizioni, vissuta con l’intero corpo e anima».

24 Dicembre

La solitudine del Natale e i 50 anni di Arcipelago Gulag

Con la newsletter di questa domenica vogliamo anzitutto augurare buon Natale a tutti coloro che ci seguono. Ogni settimana cerchiamo sempre di offrire una proposta di lettura che possa essere significativa nelle circostanze in cui ci troviamo per aiutarci a vivere più consapevolmente. Oggi vogliamo segnalare anzitutto un breve testo di tema natalizio, pubblicato su Avvenire, di José Tolentino Mendonça, cardinale e poeta, prefetto per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede. Prendendo spunto da una lettera dello scrittore Jack London, l’autore di Zanna Bianca, si sofferma sul significato tutt’altro che accomodante del Natale, che non può essere ridotto a tradizioni che «ci consolano appena per qualche momento». La contemplazione del bambino di Betlemme, scrive Tolentino, «restituisce a noi adulti, induriti, la coscienza di quanto siamo insufficienti, indigenti, lacerati e soli davanti alla consumazione ultima del nostro destino». Una lacerazione dell’umano di cui è testimonianza sconvolgente l’Arcipelago Gulag di Aleksandr Solgenitsin. In questi giorni ricorrono i cinquant’anni dalla pubblicazione della prima edizione francese del libro, un saggio di inchiesta narrativa sul sistema di campi di lavoro forzato nei quali in Unione Sovietica furono recluse per quasi settant’anni centinaia di migliaia di persone. In un articolo uscito su Le Figaro, e ripubblicato dal Foglio, Georges Nivat, uno dei suoi traduttori, sottolinea come, oltre al valore storico, il libro sia «una sorta di lettera immensa indirizzata all’umanità, una lettera il cui destinatario non esce indenne se la apre e la legge. Accanto ad altri grandi libri come quelli di Vasilij Grossman e Primo Levi, potrà per molto tempo aiutare a capire chi è l’uomo e come liberare il genere umano dalla crudeltà, dal massacro, dall’organizzazione della schiavitù. E resistere».

17 Dicembre

L’Europa dei cercatori

Alcune settimane fa, in un editoriale sul Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli ha sottolineato che sempre di più proprio in Europa, e non nei singoli stati, si giocheranno partite decisive per il nostro futuro. «A Strasburgo – ha scritto – si inciderà sui destini delle prossime generazioni molto più che nel Parlamento di un singolo Paese». Da qui la necessità di prepararsi seriamente, di conoscere e di documentarsi sul funzionamento dell’Unione Europea. Un compito di cui come fondazione abbiamo voluto farci carico a partire dal nuovo ciclo di incontri sull’Unione Europea. Una proposta che si colloca in un orizzonte più ampio. Anche la conoscenza «tecnica» per noi non è mai fine a se stessa o volta semplicemente ad accrescere competenze o capacità, ma risponde a un bisogno più profondo di capire quale sia il nostro posto nel mondo. In una conferenza riportata da Avvenire, di cui riproponiamo uno stralcio, il filosofo canadese Charles Taylor osserva che «viviamo in un’epoca in cui le persone si pongono molti interrogativi e trovano molto difficile darsi delle risposte: è un dato di fatto che in alcune parti dell’Occidente tutto ciò stia generando una forte e significativa crisi soprattutto tra i giovani. In particolare, la sensazione è che essi non siano certi di quale debba essere l’orientamento e il significato della loro stessa vita: sono confusi e, quel che è peggio, non vengono incoraggiati a cercare». Una sfida che facciamo nostra: la fondazione è soprattutto un luogo dove chi cerca può sentirsi a casa sua.

13 Dicembre

L’Unione Europea vista dall’interno, incontri di formazione

Il prossimo 9 giugno ci saranno le elezioni europee. In vista di tale appuntamento la Fondazione San Benedetto promuove un ciclo di incontri di formazione sull’Unione Europea che si svolgeranno a gennaio e febbraio 2024. Pur incidendo in materia determinante in molti aspetti della nostra vita, poco ancora si sa dell’Unione Europea, della sua organizzazione, del suo funzionamento e dei suoi processi decisionali. Persino i partiti politici sono disattenti candidando spesso per il Parlamento Europeo persone non all’altezza. Per questo la Fondazione San Benedetto ha pensato di proporre un ciclo di incontri di formazione per aiutare a renderci più consapevoli di questa realtà che con le sue scelte determinerà il nostro futuro. 

10 Dicembre

Riflessioni dopo il funerale di Giulia

La settimana che si è appena conclusa è stata segnata dal funerale di Giulia Cecchettin. Di questo momento, che ha visto una partecipazione molto ampia, vogliamo soprattutto riproporre alcuni passaggi dell’omelia del vescovo di Padova Claudio Cipolla. «L’amore – ha sottolineato – non è un generico sentimento buonista. Non si sottrae alla verità, non sfugge la fatica di conoscere ed educare se stessi. E’ empatia che genera solidarietà, accordo di anime e corpi nutrito di idealità comuni, compassione che nell’ascolto dell’altro trova la via per spezzare l’autoreferenzialità e il narcisismo». Parole sulle quali val la pena soffermarsi. Un altro spunto di riflessione interessante ci arriva da Adriano Sofri che nella sua rubrica Piccola Posta sul Foglio del 7 dicembre, mette a confronto alcune frasi di Filippo Turetta – «Ho ucciso la mia fidanzata»,  «Doveva essere mia e di nessun altro», «Volevo che fosse solo mia» – con il commiato con cui Gino Cecchettin ha voluto salutare sua figlia al termine del funerale:  «Addio Giulia, amore mio». Due modi opposti di usare l’aggettivo «mio». Sofri rievoca uno slogan che dagli anni ’70 in poi è stato scandito in tanti cortei di femministe: «Io sono mia». E subito dopo ricorda quanto detto in proposito da Luisa Muraro, esponente storica del femminismo: «Quell'”io sono mia”, slogan poco sensato al quale non ho mai aderito: la vita l’abbiamo avuta in dono, prima di tutto da una madre, dunque è un dono da ricambiare con altre persone». Riconoscere la natura della realtà ci rende più umani. Invece voler possedere l’altra persona fino al punto di toglierle la vita o illudersi di appartenere solo a se stessi sono solo tragici abbagli dai quali la nostra umanità esce sempre sconfitta.