A Strasburgo si inciderà sui destini delle prossime generazioni molto più che nel Parlamento di un singolo Paese». Così scriveva Ferruccio de Bortoli in un editoriale sullo scorso 29 ottobre, …
Giovedì scorso a Milano nella basilica di Sant’Ambrogio si è aperta con la prima sessione pubblica la fase testimoniale del processo per la beatificazione e la canonizzazione di don Luigi Giussani, il sacerdote milanese fondatore di Comunione e Liberazione, morto nel 2005. Un momento significativo anche per la storia della nostra fondazione che è nata proprio dall’iniziativa di alcune persone colpite e affascinate dal carisma di don Giussani. Su questo avvenimento segnaliamo l’articolo pubblicato sul Foglio dal vicedirettore Maurizio Crippa. «Guardando la vita di Giussani, e l’avvenimento di vita da lui generato, – scrive – la cosa più evidente, se non un miracolo, è indubbiamente questo “fascino”, per usare la parola dell’arcivescovo di Milano Delpini, questo “spettacolo” di “vita nuova” scaturito. E spesso in contesti in cui il cristianesimo sembrava destinato a deludere le donne e gli uomini del nostro tempo». Nell’articolo Crippa ricorda l’ultima intervista di Giussani al Corriere quando, poco prima di morire, «aveva ripetuto che la fede “è una vita e non un discorso sulla vita”». E proprio «la stoffa di don Giussani ha reso possibile a migliaia e migliaia di persone di sperimentarlo. Qualcosa che può interessare, oggi», a tutti.
Manca poco più di un mese al voto per le elezioni europee e amministrative dell’8 e 9 giugno. Al di là dei toni e del clima da campagna elettorale e delle contrapposizioni tra partiti e schieramenti, vogliamo approfittare di questo tempo per riportare in primo piano i veri temi che riguardano l’Europa e il compito della politica. Sull’Europa ricordiamo l’incontro del 16 maggio con Ferruccio de Bortoli, Mario Mauro e Romano Prodi (sotto trovate tutti i riferimenti). Come spunto di riflessione questa settimana vi invitiamo invece a leggere l’articolo di Rocco Buttiglione pubblicato nei giorni scorsi sul quotidiano online ilsussidiario.net dedicato all’impegno politico dei cattolici oggi in Italia. «La politica contemporanea in Occidente – sottolinea Buttiglione – è inquinata da una malattia mortale che rischia di portare alla morte della democrazia. Questa malattia mortale è la polarizzazione estrema. È morto il dialogo politico, la capacità di confrontarsi, pur se da posizioni diverse ed anche opposte, alla ricerca di un bene comune. Trionfano le posizioni intransigenti che vogliono non il bene comune ma il proprio bene particolare ed identificano questo bene con la distruzione dell’avversario». In questo panorama quale può essere il ruolo di una presenza dei cattolici in politica? Non certo quello della nostalgia o dell’ossessione per una forma di partito. «Il problema primo non è il partito cattolico – continua Buttiglione -, ma una pratica cristiana della politica: un modo di fare politica che inizi da un’affezione profonda alla persona umana, in me stesso e negli altri, anche negli avversari. Una pratica cristiana della politica che faccia uscire la politica dalla dialettica amico/nemico. Oggi il problema non è costruire un partito, ma ricostruire un popolo».
È appena passato il 25 aprile segnato dal solito contorno di polemiche, di insulti e di divisioni, che da parti opposte denotano un’incapacità di leggere la storia e di guardare il presente senza le deformazioni dell’ideologia. Tra un anno verrà celebrato l’ottantesimo anniversario della Liberazione e il rischio reale è che tutto questo tempo, dal 1945 a oggi, sia trascorso invano anziché far crescere «la consapevolezza di un sentimento comune sulle autentiche radici della nostra Repubblica», come ha scritto Ferruccio de Bortoli (che sarà prossimamente nostro ospite a Brescia) qualche giorno fa in un editoriale sul Corriere della Sera di cui vi proponiamo la lettura. «Ci si dovrebbe domandare – continua l’articolo – se caricare l’appuntamento del 25 aprile di questioni legate all’attualità, giuste o sbagliate che siano, non finisca per snaturarlo. Non releghi in secondo piano proprio quegli italiani coraggiosi che lottarono contro il totalitarismo. La giornata è dedicata soprattutto a loro e ai valori che incarnarono. Combatterono il nazifascismo sotto diverse e ideologicamente contrapposte bandiere. Formazioni che se fossero state intrise del particolarismo e del personalismo della politica contemporanea, non avrebbero sconfitto, al fianco delle truppe alleate, le peggiori dittature del Novecento, consentendo all’Italia di restare nell’Occidente libero».
Continua con grande successo di pubblico la 14esima edizione del Mese Letterario. Giovedì si è tenuto il secondo appuntamento dedicato a James Joyce con l’intervento molto apprezzato di Enrico Terrinoni fra i maggiori conoscitori dello scrittore irlandese, oltre che suo traduttore. L’ultima serata sarà giovedì 18 aprile su T.S.Eliot con Edoardo Rialti. In questa newsletter vogliamo tornare sul tema della letteratura con un articolo, tratto dal quotidiano online ilsussidiario.net, del poeta e traduttore Gianfranco Lauretano, che prende spunto dalla recente pubblicazione dei finalisti del Premio Strega. Una «magnifica grancassa pubblicitaria» che sembra ormai rispondere quasi esclusivamente alle mode e alle logiche del marketing editoriale. «Il tutto – scrive Lauretano – serve all’unico vero scopo: far vendere copie ad un genere artistico, la letteratura, sempre più agonizzante, periferico rispetto al dibattito culturale della società e preda di giochetti editoriali e concorsi che non servono ad altro». Un articolo provocatorio per andare alla ricerca di cosa sia davvero la letteratura come gli incontri del Mese Letterario ogni volta aiutano a scoprire in modo sorprendente.
Cosa c’entra la storia con la nostra vita? Apparentemente sembra sia qualcosa che in fondo non ci riguardi, di cui ci possiamo permettere di fare a meno. Il disinteresse e l’ignoranza infatti aumentano a dismisura. Su questo tema si sofferma con alcuni esempi significativi Glauco Genga, psicanalista, che nello scorso mese di febbraio a Brescia, su iniziativa della Fondazione San Benedetto, ha messo in scena lo spettacolo teatrale «Father & Freud». In un articolo pubblicato sul sito culturacattolica.it si chiede: «Che cosa occorre perché si possa fare tesoro della storia, nella cultura come nella scienza, nell’economia o nell’arte? Direi: il racconto affidabile di chi sa di avere seguito, nel proprio lavoro, una passione; non importa in quale disciplina o campo del sapere». Proprio questo racconto è ciò che può rompere il clima di disinteresse in cui spesso siamo immersi. L’articolo è stato pubblicato domenica scorsa con un riferimento finale alla Pasqua che rimane comunque del tutto attuale per capire cosa sia la storia.
Anticipiamo a oggi l’invio della nostra newsletter domenicale “Fissiamo il pensiero” proponendovi la lettura di un testo legato a questo sabato che precede la Pasqua. Per chi è credente è un motivo in più per soffermarsi di fronte al mistero che costituisce il cuore della fede cristiana, per chi non crede è un’occasione straordinaria di riflessione sul senso della vita dentro il momento storico che stiamo attraversando. Si tratta di una meditazione di Benedetto XVI fatta in occasione della sua visita alla Sindone, a Torino il 2 maggio 2010. «Il Sabato Santo – leggiamo nel testo di papa Ratzinger – è il giorno del nascondimento di Dio. Dopo le due guerre mondiali, i lager e i gulag, Hiroshima e Nagasaki, la nostra epoca è diventata in misura sempre maggiore un Sabato Santo: l’oscurità di questo giorno interpella tutti coloro che si interrogano sulla vita. Anche noi abbiamo a che fare con questa oscurità. Il Sabato Santo è la “terra di nessuno” tra la morte e la risurrezione, ma in questa “terra di nessuno” è entrato Uno, l’Unico, che l’ha attraversata con i segni della sua Passione per l’uomo».
Scorrono davanti ai nostri occhi le immagini della strage di venerdì a Mosca. Scene di una crudeltà inaudita che per un attimo interrompono l’assuefazione alle notizie. La violenza, di cui la guerra e il terrorismo sono le espressioni più inquietanti, sembra non avere argini nella sua opera di distruzione. La realtà nella sua crudezza appare insopportabile e a ben poco vale l’illusione di costruirsi un rifugio sicuro. Dentro questo frangente storico, nel 2024 ricorrono anche i cento anni della morte di Franz Kafka. Proprio la lettura dei suoi scritti, talvolta sconcertanti e scandalosi, può essere d’aiuto ad affrontare il momento che stiamo vivendo senza soccombere agli eventi. Nelle sue pagine il grido umano, il bisogno inascoltato, l’attesa del bene assente, sono una costante, come sottolinea l’articolo di Daniela Notarbartolo, di cui questa settimana vi proponiamo la lettura, pubblicato dal quotidiano online ilsussidiario.net. “Questa vita – scriveva Kafka – ci sembra insopportabile, un’altra irraggiungibile. Non ci si vergogna più di voler morire; si prega di venir trasferiti dalla vecchia cella, che odiamo, in una nuova, che dobbiamo ancora imparare ad odiare. C’entra anche un briciolo di fede che, durante il trasferimento, il Signore passi per caso nel corridoio, guardi in faccia il prigioniero e dica: ‘Costui non richiudetelo più. Ora viene da me’”.