Questa settimana vogliamo proporvi la lettura di due articoli su fatti che apparentemente sembrano non avere alcun collegamento fra loro, ma che in realtà hanno la stessa radice. Il problema non è infatti essere credenti o non credenti, ma rispondere alla domanda se l’uomo sia un mistero o non lo sia. E se si pensa che non lo sia, qualunque cosa diventa possibile a un uomo che si illude di essere padrone di sé stesso. Il primo articolo è un editoriale di Giuliano Ferrara sul Foglio nel quale si commenta il recente voto dell’Assemblea nazionale francese che con una maggioranza schiacciante ha approvato la proposta del presidente Emmanuel Macron di inserire nella Costituzione il diritto all’aborto. Adesso toccherà al Senato francese esprimersi e se dovesse confermare il voto favorevole, la Francia sarebbe il primo paese al mondo a garantire l’interruzione volontaria di gravidanza come diritto costituzionale. Il secondo articolo di Maurizio Vitali, tratto dal quotidiano online ilsussidiario.net, è dedicato alla partecipazione del pianista e compositore Giovanni Allevi alla seconda serata del Festival di Sanremo. Reduce da una lunga malattia, in modo umile e vero ha raccontato sul palco dell’Ariston la sua esperienza della sofferenza che l’ha portato come un dono inaspettato a scoprire l’infinito che c’è in ogni persona. Dentro queste due vicende ci sono due modi opposti di guardare la realtà. Nel primo caso, in nome della filosofia dei diritti, abbiamo un uomo «idolatra di sé stesso». Scrive Ferrara: «Che infinita vergogna, che schifo, che condanna a morte di un’intera sensibilità e cultura, che campione perverso dell’ideale di laicità, che delirio irreligioso. E non ci saranno vescovi e parroci e beghine sante e intellettuali a fare le barricate, né popolo né i suoi eletti né partiti insorgeranno in nome dell’ovvio scientifico, della fotografia banale di un bambino cromosomicamente puro e unico destinato al macello. La rivoluzione dei diritti omicidi ha trionfato». Nel secondo caso c’è un grande musicista di successo come Allevi che racconta la prova vissuta nella malattia: «All’improvviso mi è crollato tutto. Ho perso molto: il mio lavoro, i capelli e le mie certezze ma non la speranza e la voglia di immaginare. Era come se il dolore mi porgesse degli inaspettati doni». Il primo dono è stata la scoperta che non il successo o il risultato stabilisce il valore della persona. Capitò ad Allevi di notare con un certo disappunto una poltrona vuota, «oggi dopo la malattia non so che farei per suonare davanti a quindici persone. I numeri non contano, sembra paradossale detto da Sanremo, perché ogni individuo è unico, irripetibile e a suo modo infinito». E dentro questa esperienza si apre lo spazio di un’infinita gratitudine. Ecco due modi opposti di guardare la realtà che riguardano da vicino la vita di ciascuno di noi.