15 Novembre

È la letteratura la vera educazione affettiva

In queste settimane la discussione sulla cosiddetta educazione affettiva o affettivo-sessuale nelle scuole è subito degenerata in uno scontro nel quale più si alza il volume delle polemiche pretestuose più diventa difficile comprendere veramente i termini della questione. Da molti anni sulla scuola è stato scaricato qualunque tipo di «emergenza sociale» che avesse a che fare con le generazioni più giovani cercando di approntare risposte con tanto di istruzioni per l’uso e ricette alla bisogna attraverso l’intervento degli immancabili esperti, di sportelli psicologici, etc. L’ora di educazione affettiva è solo l’ultimo anello di una lunga catena. Un vero disastro.

Due settimane fa su Repubblica lo psicoanalista Massimo Recalcati aveva chiaramente sottolineato che l’educazione affettiva «non può essere considerata una materia di scuola tra le altre, non può ridursi a un sapere tecnico perché tocca ciò che di più intimo, inafferrabile e bizzarro c’è nella soggettività umana. L’idea che il desiderio possa essere oggetto di un sapere specialistico rivela un equivoco profondo: la sessualità non si insegna come si insegna la grammatica o la matematica. E poi chi dovrebbe insegnarla? Un biologo? Uno psicologo? Un insegnante di scienze naturali? Un tecnico appositamente formato? La sessualità non è un sapere universale da trasmettere, ma un’esperienza del tutto singolare e incomparabile che deve essere piuttosto custodita». 

Su questa lunghezza d’onda nella newsletter di oggi vogliamo proporvi la lettura dell’editoriale di Giuliano Ferrara pubblicato sul Foglio nei giorni scorsi. «Questa cosa – esordisce l’articolo – dell’educazione affettiva o affettivo-sessuale, col permesso dei genitori, mi sembra una castroneria». Ferrara suggerisce piuttosto la via dell’educazione sentimentale attraverso la letteratura, cominciando magari da Flaubert. L’ora di educazione affettiva fatta da insegnanti, specialisti, psicologi, in collaborazione scuola famiglia, è solo «un modo di abbrutire e diminuire la personalità degli alunni e delle alunne».  È un’ondata «di affettivismo psicologico priva di carisma e di fascino». «Si rivolgano – aggiunge Ferrara – alla letteratura, se c’è bisogno di apportare un bene patrimoniale sentimentale che integri il bagaglio delle giovani anime in cerca di una strada nella e nelle relazioni affettive e sentimentali». Parole sacrosante che sentiamo molto vere nella nostra esperienza. Non è stato infatti per un pallino culturale che come Fondazione San Benedetto quindici anni fa abbiamo lanciato a Brescia il Mese Letterario riconoscendo nella letteratura, e in particolare nelle opere di alcuni grandi scrittori o poeti, quel fuoco che è alimentato dal desiderio di bellezza e di verità che è nel cuore di ogni uomo e che molto c’entra con l’educazione dei nostri affetti. Per Ferrara quindi  affidare l’educazione dei sentimenti e dell’amore, questo «incunearsi nella spigolosità e nella rotondità delle anime», «a uno spirito cattedratico o a una expertise di tipo sociale», sarebbe «un errore che si potrebbe facilmente evitare con il ricorso a racconti e storie interessanti». Racconti e storie che la letteratura, attraverso la lettura, ci offre a piene mani. 

30 Novembre

Il Mese Letterario, un’occasione per scoprire sé stessi

Questa settimana ci soffermiamo ancora sul Mese Letterario per segnalarvi anzitutto che a questo link, sul sito dell’Associazione Mese Letterario, trovate il video integrale dell’incontro su Omero tenuto pochi giorni fa da Valerio Capasa al Teatro Sociale davanti a oltre 700 studenti delle scuole superiori bresciane. Si è trattato del primo appuntamento del Mese Letterario School edition appositamente ideato per le scuole. Come Fondazione San Benedetto, pur non essendo direttamente coinvolti nell’iniziativa, siamo contenti che dall’idea del Mese Letterario, nata ormai più di quindici anni fa, stiano gemmando nuove proposte attorno alla valorizzazione della letteratura come un formidabile aiuto nel «cammino verso la scoperta di sé stessi». È una storia che continua. Su questo tema vi proponiamo la lettura dell’editoriale di don Luca Montini pubblicato sulla prima pagina del settimanale La Voce del popolo dedicato proprio all’incontro su Omero visto attraverso gli occhi di alcuni studenti. Giovani che, «come Telemaco, sono alla ricerca di sé stessi», non si accontentano di essere spettatori passivi della propria vita e «sono pronti a intraprendere un viaggio».

09 Marzo

Navalny e l’aborto in Francia, la vita oltre violenza e ideologia

In questa newsletter torniamo su due vicende di cui ci siamo già occupati nelle scorse settimane: l’uccisione di Aleksey Navalny in Russia e l’inserimento dell’aborto fra i diritti costituzionali in Francia. Gli sviluppi che ne sono seguiti meritano un supplemento di attenzione e di riflessione che vi proponiamo attraverso la lettura di due articoli significativi per il punto di vista che offrono. Il primo è di Giovanna Parravicini, grande studiosa della cultura russa che da molti anni vive a Mosca e che più volte è stata ospite della Fondazione San Benedetto. La sua è una testimonianza (che riprendiamo dal sito di Comunione e Liberazione) su quanto sta accadendo in Russia dopo la morte di Navalny, «un uomo che ha dato la vita per ciò in cui credeva – e l’ha data consapevolmente». Un uomo che nella Pasqua del 2014 ripensando alla Passione di Cristo scriveva: «Cosa sono tutte le nostre “difficoltà” e i nostri “problemi” in confronto a ciò che ha dovuto provare Lui? Ma il Bene, la Giustizia, la Fede, la Speranza e la Carità ebbero comunque la meglio. Buona festa della Risurrezione a tutti voi, credenti e non credenti. Buona festa dell’inevitabile vittoria del Bene!». «Forse – sottolinea Parravicini – è stata proprio questa intuizione a spingere all’improvviso, dopo mesi di passività, migliaia di persone in tutto il Paese a recarsi a deporre fiori su altarini o memoriali improvvisati dedicati a Navalny, sfidando la presenza delle forze dell’ordine e addirittura l’arresto». Il secondo articolo è invece di Giuliano Ferrara sul Foglio dopo il voto del parlamento francese che a larghissima maggioranza, con tanto di standing ovation e di illuminazione della tour Eiffel, ha inscritto l’aborto come diritto nella Costituzione. Non ci hanno mai appassionato le battaglie ideologiche o le divisioni fra pro life e pro choice, quel che ci interessa è il dato di realtà. E se il concepito per la scienza è un individuo, «a quel punto – scrive Ferrara – il diritto alla vita è assoluto». Vale per i concepiti come per i bambini di Gaza. Per questo, continua l’articolo, «oggi dovremmo dire “cessate il fuoco” contro i nascituri abortiti o in via di aborto, cioè annientati, nel segno del diritto costituzionale. Un mondo in cui si viaggia verso il miliardo e mezzo di aborti legali e condivisi dai primi anni Settanta, epoca delle leggi abortiste, non ha il diritto di assumere pose sconvolgenti di compassione, empatia o quel che volete voi verso la strage dei bambini a Gaza e, se è per questo, in molte altre parti del mondo».

10 Febbraio

Il diritto all’aborto e l’infinita gratitudine di Giovanni Allevi

Questa settimana vogliamo proporvi la lettura di due articoli su fatti che apparentemente sembrano non avere alcun collegamento fra loro, ma che in realtà hanno la stessa radice. Il problema non è infatti essere credenti o non credenti, ma rispondere alla domanda se l’uomo sia un mistero o non lo sia. E se si pensa che non lo sia, qualunque cosa diventa possibile a un uomo che si illude di essere padrone di sé stesso. Il primo articolo è un editoriale di Giuliano Ferrara sul Foglio nel quale si commenta il recente voto dell’Assemblea nazionale francese che con una maggioranza schiacciante ha approvato la proposta del presidente Emmanuel Macron di inserire nella Costituzione il diritto all’aborto. Adesso toccherà al Senato francese esprimersi e se dovesse confermare il voto favorevole, la Francia sarebbe il primo paese al mondo a garantire l’interruzione volontaria di gravidanza come diritto costituzionale. Il secondo articolo di Maurizio Vitali, tratto dal quotidiano online ilsussidiario.net, è dedicato alla partecipazione del pianista e compositore Giovanni Allevi alla seconda serata del Festival di Sanremo. Reduce da una lunga malattia, in modo umile e vero ha raccontato sul palco dell’Ariston la sua esperienza della sofferenza che l’ha portato come un dono inaspettato a scoprire l’infinito che c’è in ogni persona. Dentro queste due vicende ci sono due modi opposti di guardare la realtà. Nel primo caso, in nome della filosofia dei diritti, abbiamo un uomo «idolatra di sé stesso». Scrive Ferrara: «Che infinita vergogna, che schifo, che condanna a morte di un’intera sensibilità e cultura, che campione perverso dell’ideale di laicità, che delirio irreligioso. E non ci saranno vescovi e parroci e beghine sante e intellettuali a fare le barricate, né popolo né i suoi eletti né partiti insorgeranno in nome dell’ovvio scientifico, della fotografia banale di un bambino cromosomicamente puro e unico destinato al macello. La rivoluzione dei diritti omicidi ha trionfato». Nel secondo caso c’è un grande musicista di successo come Allevi che racconta la prova vissuta nella malattia: «All’improvviso mi è crollato tutto. Ho perso molto: il mio lavoro, i capelli e le mie certezze ma non la speranza e la voglia di immaginare. Era come se il dolore mi porgesse degli inaspettati doni». Il primo dono è stata la scoperta che non il successo o il risultato stabilisce il valore della persona. Capitò ad Allevi di notare con un certo disappunto una poltrona vuota, «oggi dopo la malattia non so che farei per suonare davanti a quindici persone. I numeri non contano, sembra paradossale detto da Sanremo, perché ogni individuo è unico, irripetibile e a suo modo infinito». E dentro questa esperienza si apre lo spazio di un’infinita gratitudine. Ecco due modi opposti di guardare la realtà che riguardano da vicino la vita di ciascuno di noi.