23 Marzo

La vita è un carcere, ci serve la grazia di un Liberatore

Scorrono davanti ai nostri occhi le immagini della strage di venerdì a Mosca. Scene di una crudeltà inaudita che per un attimo interrompono l’assuefazione alle notizie. La violenza, di cui la guerra e il terrorismo sono le espressioni più inquietanti, sembra non avere argini nella sua opera di distruzione. La realtà nella sua crudezza appare insopportabile e a ben poco vale l’illusione di costruirsi un rifugio sicuro. Dentro questo frangente storico, nel 2024 ricorrono anche i cento anni della morte di Franz Kafka. Proprio la lettura dei suoi scritti, talvolta sconcertanti e scandalosi, può essere d’aiuto ad affrontare il momento che stiamo vivendo senza soccombere agli eventi. Nelle sue pagine il grido umano, il bisogno inascoltato, l’attesa del bene assente, sono una costante, come sottolinea l’articolo di Daniela Notarbartolo, di cui questa settimana vi proponiamo la lettura, pubblicato dal quotidiano online ilsussidiario.net.  “Questa vita – scriveva Kafka – ci sembra insopportabile, un’altra irraggiungibile. Non ci si vergogna più di voler morire; si prega di venir trasferiti dalla vecchia cella, che odiamo, in una nuova, che dobbiamo ancora imparare ad odiare. C’entra anche un briciolo di fede che, durante il trasferimento, il Signore passi per caso nel corridoio, guardi in faccia il prigioniero e dica: ‘Costui non richiudetelo più. Ora viene da me’”.