In attesa del Conclave che dovrà eleggere il nuovo papa, nella newsletter di questa settimana ci soffermiamo ancora sulla figura di papa Francesco proponendovi la testimonianza di due giovani siciliani, Giuseppe e Claudia, oggi marito e moglie, che l’hanno conosciuto in un frangente molto complicato della loro vita. La riprendiamo dall’articolo, pubblicato sul sito del movimento di Comunione e Liberazione, che vi invitiamo a leggere. È la storia di un’amicizia imprevedibile, una testimonianza che parla da sola per la sua semplicità e per la straordinaria intensità di vita che comunica.
«La parola letteraria è come una spina nel cuore che muove alla contemplazione e ti mette in cammino». Questa settimana apriamo la nostra newsletter domenicale con queste parole di papa Francesco tratte dalla sua lettera ai poeti, pubblicata l’anno scorso, di cui vi proponiamo la lettura. Fra i tanti testi possibili abbiamo scelto questa lettera per esprimere la nostra gratitudine per ciò che questo Papa è stato. Le sue sono parole che vanno dirette al cuore. La poesia e la letteratura diventano un aiuto formidabile «a capire me stesso, il mondo, ma anche ad approfondire il cuore umano». Fanno emergere un’esperienza «debordante», che spinge ad andare «oltre i bordi chiusi», a non addomesticare le inquietudini. «Raccogliete gli inquieti desideri che abitano il cuore dell’uomo – scrive ai poeti -, perché non si raffreddino e non si spengano». Allo stesso modo c’è l’invito a non «addomesticare il volto di Cristo, mettendolo dentro una cornice e appendendolo al muro». Significa «distruggere la sua immagine».
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Quanto scrive Francesco lo sentiamo particolarmente vicino perché esprime molto efficacemente lo spirito che ci ha sempre mosso nella proposta di un’iniziativa come il Mese Letterario. Come abbiamo sottolineato non si tratta di un’attività culturale o di divulgazione, né tantomeno è una forma di intrattenimento. Nel suo piccolo per tante persone è stata invece un’occasione per riscoprire la ricchezza umana che la letteratura può offrire oltre al valore della lettura come atto di libertà. In alcuni grandi scrittori e poeti abbiamo trovato quel fuoco che è alimentato dalle domande fondamentali sull’esistenza e da un desiderio di verità, di giustizia, di bellezza che non accetta di adeguarsi a qualche sistemazione accomodante. Tra parantesi ricordiamo che giovedì 8 maggio prenderà il via la quindicesima edizione del Mese Letterario. Per chi non si fosse ancora iscritto è possibile farlo a questo link dove trovate anche il programma degli incontri.
Tornando a papa Francesco, in questi giorni sono stati pubblicati parecchi articoli, alcuni davvero interessanti, sulla sua figura e sul suo pontificato. Qui vogliamo semplicemente segnalarvi un breve ricordo scritto dal cardinale Angelo Scola sul Corriere. «In questi giorni — più che interessarmi di analisi e bilanci del papato di Francesco, in ogni caso troppo prematuri — la domanda che si è aperta in me – osserva Scola – è stata: quale richiamo il Padre Eterno ha suggerito alla mia vita e per la mia conversione attraverso papa Francesco?». Ecco questa domanda descrive, prima di ogni analisi o considerazione, la posizione più vera per vivere questi giorni.
«Leggo per legittima difesa», questa frase di Woody Allen fa da titolo alla quindicesima edizione del Mese Letterario e dice anche molto sul valore della lettura come atto di libertà …
«In questo mondo liquido è necessario parlare nuovamente del cuore; mirare lì dove ogni persona, di ogni categoria e condizione, fa la sua sintesi; lì dove le persone concrete hanno la fonte e la radice di tutte le altre loro forze, convinzioni, passioni, scelte. Ma ci muoviamo in società di consumatori seriali che vivono alla giornata e dominati dai ritmi e dai rumori della tecnologia, senza molta pazienza per i processi che l’interiorità richiede. Nella società di oggi, l’essere umano rischia di smarrire il centro, il centro di se stesso. L’uomo contemporaneo, infatti, si trova spesso frastornato, diviso, quasi privo di un principio interiore che crei unità e armonia nel suo essere e nel suo agire. Modelli di comportamento purtroppo assai diffusi ne esasperano la dimensione razionale-tecnologica o, all’opposto, quella istintuale. Manca il cuore». Lo scrive Papa Francesco «nella sua nuova lettera enciclica Dilexit nos pubblicata giovedì (qui il link al testo integrale). Il vaticanista del Corriere della Sera Gian Guido Vecchi, nell’articolo che vi segnaliamo questa settimana, la definisce «la più sorprendente e forse anche la più bella del suo pontificato». Un’enciclica dedicata all’amore umano e divino del Cuore di Gesù. Scrive ancora il Papa: «il modo in cui Cristo ci ama è qualcosa che Egli non ha voluto troppo spiegarci. Lo ha mostrato nei suoi gesti. Guardandolo agire possiamo scoprire come tratta ciascuno di noi…».
C’è la fede semplice e genuina delle 600 mila persone di Timor Est o dei poverissimi abitanti dei villaggi fra la foresta e il mare in Papua Nuova Guinea che hanno accolto Papa Francesco durante il suo recente viaggio in Asia e Oceania. E pochi giorni fa, nell’udienza del mercoledì, ricordando il suo viaggio, il Papa si è detto «colpito dalla bellezza» di quei popoli «provati ma gioiosi». «Ho respirato aria di primavera», ha aggiunto, sottolineando di aver trovato una Chiesa «molto più viva in quei paesi». Una Chiesa che cresce non per proselitismo ma «per attrazione». E poi c’è la Chiesa stanca e autoreferenziale dei paesi europei che, nel deserto di umanità del mondo occidentale, sembra aver dimenticato l’originalità della fede in Gesù Cristo, preferendo occuparsi di altro. È un raffronto spiazzante che costringe chi crede a interrogarsi su cosa ne ha fatto della propria fede. Scrive Matteo Matzuzzi nell’articolo apparso sul Foglio di cui vi proponiamo la lettura: «Si è proprio sicuri che la fede genuina e semplice sia quella dei Sinodi infiniti che producono documenti, tabelle, schemi, strumenti di lavoro. Sinodi che vorrebbero combattere l’autoreferenzialità e poi finiscono per chiudersi in Vaticano per settimane a discutere di questioni che il mondo, fuori, conoscerà solamente attraverso sintesi e mediazioni? Si è proprio certi che ai popoli di Timor Est, di Singapore, ma anche al piccolo gruppo di fedeli della Mongolia o a quelli di Bangui interessino le elucubrazioni sul diaconato femminile, sul celibato sacerdotale, sulle attese del Cammino sinodale tedesco che tra un cenacolo sulla collegialità e l’istituzione di un Comitato ad hoc punta a rovesciare la struttura gerarchica della Chiesa? S’è mai domandato, qualcuno, perché i seicentomila cattolici riuniti per accogliere il Papa e pregare con lui siano tutti a Timor est e non nelle spianate bavaresi o nella Grand Place di Bruxelles?»
Sono trascorsi nove mesi da quando è scoppiata la guerra in Ucraina. C’è il rischio di rassegnarsi e abituarsi alla folle violenza di un conflitto che ogni giorno semina morte, distruzione e desolazione. Per questo facciamo nostra la lettera che Papa Francesco ha voluto indirizzare al popolo ucraino e di cui proponiamo la lettura questa settimana. «Io continuo a starvi vicino – scrive il Papa agli ucraini -, con il cuore e con la preghiera, con la premura umanitaria, perché vi sentiate accompagnati, perché non ci si abitui alla guerra, perché non siate lasciati soli oggi e soprattutto domani, quando verrà forse la tentazione di dimenticare le vostre sofferenze». Nella lettera il Papa ricorda anche l’Holodomor, la terribile carestia voluta da Stalin che 90 anni fa fece quasi quattro milioni di vittime in Ucraina.