«Della morte è fastidioso parlare perché non abbiamo un rapporto serio con la vita». Lo ha detto Luciano Violante nell’incontro promosso venerdì sera a Brescia dalla Fondazione San Benedetto per presentare il libro dell’ex presidente della Camera «Ma io ti ho sempre salvato». L’aula magna del Centro Paolo VI era gremita di pubblico e una seconda sala era videocollegata. Violante ha risposto ad alcune domande arrivate da persone che hanno letto il suo libro, insieme a don Julián Carrón, docente di teologia alla Cattolica di Milano. È stato un confronto molto intenso, impossibile da riassumere in poche righe; nei prossimi giorni sarà possibile riascoltarlo nel video dell’incontro che metteremo a disposizione online sul sito della fondazione. Qui richiamiamo solo alcuni piccoli flash dagli interventi. Nel libro viene messo a tema il nostro rapporto con la morte non in modo astratto o filosofico, ma partendo dall’esperienza personale dell’autore che mentre lo stava scrivendo ha dovuto affrontare la scomparsa della moglie dopo 56 anni di matrimonio. Per Violante oggi c’è una sorta di assuefazione alla morte. «Assistiamo alle guerre in televisione come se fossero un videogame, tra una notizia e l’altra. Il loro ripetersi ci ha fatto acquisire un sentimento di insensibile convivenza. È come se i meccanismi tecnici tendessero a prevalere dentro di noi. C’è una “cosizzazione” delle persone, persone ridotte a cose e non c’è reazione su questo. Mi pare di assistere a una sofferenza senza misericordia». Per Carrón è il momento di tornare ai fondamentali «per rispondere all’indebolimento della persona. L’Illuminismo ci ha lasciato in eredità una razionalità ridotta a ragione strumentale. Davanti a una tragedia come quella di Valencia ci rendiamo conto che la vita urge. Se ciò che accade non diventa occasione per tornare a farsi domande, per crescere, per aumentare la nostra consistenza umana, ne usciremo ogni volta più indeboliti. Eliot si chiedeva dov’è la vita che abbiamo perduto vivendo. Non basterà neppure la conoscenza».
La vita, sottolinea Violante, «è una lotta tra il bene e il male.
«Le questioni radicali, oggi, sono la vita e la morte, il significato del vivere, il senso della sua conclusione». Lo scrive Luciano Violante, nel suo libro «Ma io ti ho sempre salvato» (ed. Bollati Boringhieri), che sarà presentato venerdì 15 novembre alle 18.15, a Brescia al Centro Paolo VI in via Gezio Calini 30, in un incontro promosso dalla Fondazione San Benedetto. L’ex presidente della Camera dei deputati ne parlerà insieme a Julián Carrón, docente di teologia all’Università Cattolica di Milano. In vista di tale appuntamento questa settimana vi proponiamo la lettura di alcuni brevi estratti dal libro di Violante che ci sembrano particolarmente significativi. Nel testo viene messa a tema la questione del rapporto con la morte, partendo dall’esperienza diretta e personale dell’autore raccontata in pagine molto toccanti. «Nei momenti di crisi, come quello che stiamo attraversando, è necessario porsi le domande cruciali del convivere civile, imporci di tornare ai fondamentali. Quando la tenuta stessa della società civile sembra essere messa in discussione conviene fermarsi e domandarci quale sia il collante che ci tiene uniti, quale il criterio che sopra ogni altro può farci restare umani».
Ricordiamo che la partecipazione è aperta a tutti sino a esaurimento posti, previa registrazione a questo link dove è possibile iscriversi immediatamente. Chi intendesse partecipare e non si fosse ancora iscritto è invitato a farlo al più presto, in quanto, avendo già ricevuto molte richieste, stiamo valutando la possibilità di predisporre una seconda sala videocollegata.
Le elezioni americane, con la polarizzazione mai vista prima, sintomo di un paese spaccato, al di là del risultato che martedì uscirà dalle urne, sono lo specchio della crisi che le società occidentali e i sistemi democratici stanno attraversando. Siamo alla fine di un mondo? Su questo tema segnaliamo il commento, pubblicato dal sito inglese di opinione UnHerd e ripreso dal Foglio, di David Mamet, drammaturgo e sceneggiatore statunitense, oltre che Premio Pulitzer per i suoi lavori teatrali. Figlio di una famiglia di genitori ebrei originari della Russia, Mamet ha sviluppato una «forma di insofferenza viscerale verso il perbenismo della cultura dominante». Per lui «oggi, non stiamo semplicemente assistendo, ma partecipando a uno spostamento di civiltà». C’è il rischio che al nostro mondo accada come al «viaggiatore verso una civiltà scomparsa da tempo che guarda, senza comprendere, le rovine della Cattedrale di San Paolo». Le considerazioni di Mamet sono volutamente provocatorie, ma portano allo scoperto le comode ipocrisie dietro cui spesso ci si trincera addossando le responsabilità a qualche capro espiatorio, a «una causa sopportabile nelle vicinanze».
«In questo mondo liquido è necessario parlare nuovamente del cuore; mirare lì dove ogni persona, di ogni categoria e condizione, fa la sua sintesi; lì dove le persone concrete hanno la fonte e la radice di tutte le altre loro forze, convinzioni, passioni, scelte. Ma ci muoviamo in società di consumatori seriali che vivono alla giornata e dominati dai ritmi e dai rumori della tecnologia, senza molta pazienza per i processi che l’interiorità richiede. Nella società di oggi, l’essere umano rischia di smarrire il centro, il centro di se stesso. L’uomo contemporaneo, infatti, si trova spesso frastornato, diviso, quasi privo di un principio interiore che crei unità e armonia nel suo essere e nel suo agire. Modelli di comportamento purtroppo assai diffusi ne esasperano la dimensione razionale-tecnologica o, all’opposto, quella istintuale. Manca il cuore». Lo scrive Papa Francesco «nella sua nuova lettera enciclica Dilexit nos pubblicata giovedì (qui il link al testo integrale). Il vaticanista del Corriere della Sera Gian Guido Vecchi, nell’articolo che vi segnaliamo questa settimana, la definisce «la più sorprendente e forse anche la più bella del suo pontificato». Un’enciclica dedicata all’amore umano e divino del Cuore di Gesù. Scrive ancora il Papa: «il modo in cui Cristo ci ama è qualcosa che Egli non ha voluto troppo spiegarci. Lo ha mostrato nei suoi gesti. Guardandolo agire possiamo scoprire come tratta ciascuno di noi…».
Martedì si è tenuto a Brescia l’incontro sul Libano promosso dall’associazione La Speranza con il sostegno anche della Fondazione San Benedetto. La sala era piena e la serata è stata un’occasione puntuale per documentare la gravissima crisi che nelle ultime settimane ha investito il Libano. Come ha spiegato la presidente dell’associazione Amal Baghdadi, sono oltre un milione gli sfollati costretti a lasciare il sud del paese schiacciato nella morsa della guerra tra le milizie di Hezbollah e l’esercito israeliano. Anche la capitale Beirut è stata colpita dai bombardamenti. Una escalation «pericolosissima», come l’ha definita l’ex ministro della Difesa Mario Mauro, che si innesta sulla situazione da paese in bancarotta che il Libano sta attraversando ormai da diversi anni. Di quello che in passato era definito la Svizzera del Medio Oriente, dove etnie e religioni diverse hanno sempre convissuto, non resta più nulla. Adesso la priorità è mettere in salvo e aiutare la popolazione vittima inerme del conflitto. Graziano Tarantini per la San Benedetto e Michele Brescianini di Punto Missione hanno illustrato alcune iniziative concrete di aiuto in atto o già realizzate sia in Libano che ad Aleppo in Siria. L’associazione La Speranza ha lanciato una raccolta fondi alla quale è possibile contribuire con donazioni sul conto corrente IT79X0501811200000017230673 (Banca Popolare Etica – Filiale di Brescia – Detrazioni 35% per i privati, 10% per società ed enti, con la causale: erogazione liberale a favore de La Speranza Odv – Brescia).
Stiamo attraversando lo stesso «crinale della storia pericolosissimo», segnato dalle guerre, che ha ricordato la scrittrice Susanna Tamaro nella bellissima lezione tenuta mercoledì all’inaugurazione della Buchmesse, la fiera del libro di Francoforte, di cui vi riproponiamo un estratto pubblicato dal settimanale del Corriere la Lettura. Niente di accademico, ma un atto d’amore verso l’Italia, un paese dove «tutto è troppo», a cominciare dalla bellezza. Una bellezza che si è espressa con una luce particolare nell’opera di San Benedetto piuttosto che nelle terzine di Dante o nella letteratura come vero «antidoto al Paese dei Balocchi perché richiede impegno, ci spinge a conoscere altri mondi, a coltivare il dubbio, la curiosità e, soprattutto, l’apertura della mente».
I venti della guerra e dell’odio soffiano sempre più forti. Di fronte a una guerra «che sembra non avere fine, e che sta seminando morte e distruzione, non solo nelle strutture fisiche, ma anche nella vita delle persone, nelle relazioni a ogni livello», c’è la necessità «di non perdere la nostra umanità». Lo ha scritto il patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa all’indomani della commemorazione del 7 ottobre. Noi, nel nostro piccolo, vogliamo farlo questa settimana proponendovi, attraverso la lettura di due articoli, le storie di due persone che hanno affermato con il loro esserci un amore per la vita più forte della morte e della volontà di ridurre tutto a nulla, anche dentro situazioni molto drammatiche. La prima è la storia di Sammy Basso che ha colpito tutti non per la sua malattia, ma per come ha saputo stare di fronte a questa vivendo fino in fondo. Ne è una prova la sua straordinaria lettera-testamento, letta venerdì durante il funerale che trovate a questo link. Come scrive Federico Pichetto nell’articolo pubblicato dal quotidiano online ilsussidiario.net, la sua esistenza per Sammy non è stata «una via angusta che il tempo priva d’ogni gioia e d’ogni possibilità, bensì come il luogo di una festa». Una positività contagiosa che investe tutto come ha detto la madre di Sammy in un’intervista al Corriere: «Dai suoi 14 anni abbiamo vissuto con lui ringraziando ogni giorno. Ci svegliavamo al mattino dicendo: “Che bello che sia qui anche oggi”». La seconda storia che vi segnaliamo è quella di Oskar Schindler, l’imprenditore tedesco scomparso il 9 ottobre di cinquant’anni fa, che salvò più di mille ebrei dallo sterminio della Shoah, e la cui vicenda è stata raccontata da un celebre film di Steven Spielberg. In un articolo sull’Osservatore Romano il direttore Andrea Monda scrive: «Fu un grande, grandissimo imprenditore. Si pose davanti il dilemma che il filosofo danese Kierkegaard ha posto di fronte ad ogni uomo quando ha scritto che “osare è perdere momentaneamente l’equilibrio. Non osare è perdere per sempre se stessi”, e seppe rispondere. Forse i grandi della storia devono essere “squilibrati”. Solo così Oskar riuscì a dare un colpo all’asse terrestre che ruotava pigramente sempre su se stesso re-indirizzandolo verso un altro orizzonte, più umano». La sua storia è la dimostrazione concreta che la nostra felicità, che il compimento di ciascuno, non dipendono dagli Stati o da chi ci governa anche quando possono essere di nostro gradimento.
Lunedì 7 ottobre ricorre il primo anniversario dell’attacco di Hamas a Israele, un atto che ha innescato la nuova guerra che da un anno sta insanguinando il Medio Oriente, dopo quelle, prima in Iraq e poi in Siria, che hanno segnato i primi decenni del secolo. Di questo nuovo conflitto non si intravede la fine e preoccupa adesso il suo allargamento anche al Libano. Di fronte a questa situazione drammatica il patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa e poi anche Papa Francesco hanno invitato a dedicare la giornata di lunedì alla preghiera e al digiuno per implorare la pace nel mondo. Un invito che facciamo nostro. A Brescia, in duomo alle 12.45 è previsto un momento di preghiera con il vescovo. Per aiutarci a comprendere quanto sta accadendo in Terra Santa questa settimana segnaliamo l’articolo del professor Vittorio Emanuele Parsi, esperto di relazioni internazionali, pubblicato sul quotidiano Il Foglio, nel quale analizza in particolare i rischi della strategia portata avanti dal premier israeliano Benjamin Netanyahu. Una strategia che, scrive Parsi, «appare tanto ambiziosa quanto pericolosa per la sicurezza di Israele, del Medio Oriente e dell’Europa. È l’eterna illusione che sulla sola e semplice punta delle baionette (come si diceva una volta) possa essere costruito un ordine stabile e duraturo: un progetto che abbiamo visto fallire molte volte nel corso della storia europea». La guerra, se mai lo è stata in passato, oggi non può più essere in alcun modo una risposta accettabile a qualunque controversia o situazione di tensione. Anche quando è stata giustificata da ragioni superiori come l’esportazione della democrazia, per esempio in Iraq o in Libia, ha prodotto solo una catena infinita di disastri. Soprattutto porta alla cancellazione di ogni traccia di umanità. La vita umana non conta più nulla. Ci si può permettere persino di fucilare i prigionieri in spregio a tutte le convenzioni internazionali come è avvenuto nei giorni scorsi a sedici soldati ucraini uccisi nel Donbass, la cui esecuzione a freddo è stata ripresa dall’alto da un drone. Immagini sconvolgenti. Su questo episodio invitiamo a leggere da Avvenire l’articolo di Marina Corradi.
Questa settimana vogliamo richiamare l’attenzione su quanto sta avvenendo nel mondo attorno a noi perché ci riguarda molto più di quanto a prima vista potrebbe sembrare. Vogliamo offrire soprattutto occasioni e strumenti per conoscere, cercare di comprendere ed essere consapevoli di ciò che accade. Venerdì a Brescia si è tenuto l’incontro sulle elezioni americanedel prossimo novembre promosso dalla Fondazione San Benedetto. La sala del Centro Paolo VI era gremita di pubblico che ha seguito con grande partecipazione gli interventi di Marco Bardazzie Lorenzo Pregliasco. Nei prossimi giorni sarà disponibile online sul nostro sito il video dell’incontro. Il risultato che uscirà dal voto del prossimo 5 novembre si rifletterà inevitabilmente sui rapporti degli Stati Uniti con l’Europa. A seconda che vinca Donald Trump o Kamala Harris le scelte – hanno spiegato i due relatori – potranno essere diverse per esempio per quanto riguarda la guerra in Ucraina o la politica sui dazi, ma è certo che entrambi i candidati guardano sempre di più al Pacifico e alla competizione con la Cina, che a un’Europa avviata verso un progressivo declino. Al momento i sondaggi fotografano una situazione di sostanziale parità, con un leggerissimo vantaggio della Harris, ma il confronto elettorale lascia sempre più pensare – ha sottolineato Pregliasco – a una sfida all’ultimo voto, soprattutto nei cosiddetti «Swing States», i sette Stati (Wisconsin, Michigan, Pennsylvania, Georgia, North Carolina, Nevada, Arizona) ancora incerti che decideranno da che parte penderà la bilancia. Con il rischio anche di un risultato non chiaramente definito – ha detto Bardazzi -, uno scenario da scongiurare in un paese non solo estremamente polarizzato, ma sempre più spaccato. Tanti sono stati comunque i temi della campagna elettorale americana toccati nel corso del dibattito, in modo molto dettagliato e approfondito, per i quali vi rimandiamo al video.
Oltre agli Usa, in questi giorni in Medio Oriente stanno facendosi sentire in modo ancora più preoccupante i venti di guerra con l’allargamento del conflitto al Libano. Una situazione drammatica in cui appare sempre più evidente che la guerra porta solo morte, distruzione e miseria e non può mai essere la soluzione alle controversie. In questo senso è significativa l’esperienza avviata dalla Fondazione Oasis per favorire l’incontro e la conoscenza fra civiltà e culture diverse, in particolare fra cristiani e musulmani. Nel ventennale della sua presenza Oasis giovedì ha promosso a Milano una conferenza internazionale di grande interesse sul tema «Guerra e migrazioni. Ripensare i rapporti tra Occidente e mondo musulmano». È possibile rivederla a questolink. Tra i diversi interventi segnaliamo quello molto interessante del filosofo Massimo Cacciari. In occasione della conferenza il cardinale Angelo Scola (che nel 2004 da patriarca di Venezia aveva promosso la nascita di Oasis) ha pubblicato un articolo sul Corriere della Seradi cui vi proponiamo la lettura. Siamo di fronte a un «mescolamento di popoli, culture e fatti spirituali» e le categorie di «tolleranza» e «integrazione» sono del tutto insufficienti per affrontare la nuova situazione, sottolinea Scola. Intanto il 7 ottobre sarà un anno da quando con l’attacco di Hamas a Israele è iniziata una fase di violenza e di guerra in Terra Santa con tutto quello che ne è seguito, dai bombardamenti su Gaza alla sorte degli ostaggi, fino all’estensione del conflitto al Libano con oltre centomila sfollati. Facciamo perciò nostro l’appello lanciato dal patriarca di Gerusalemme cardinale Pizzaballa perché il 7 ottobre sia una giornata di preghiera, digiuno e penitenza per implorare da Dio la pace e la riconciliazione in tutta la Terra Santa. Insieme sosteniamo e invitiamo a sostenere generosamente la raccolta di aiuti per gli sfollati in Libano promossa dal network Pro Terra Sancta. A questo link trovate tutte le informazioni ed è possibile fare direttamente le donazioni. Come Fondazione San Benedetto continua il nostro impegno a favore delle popolazioni colpite dalla guerra in Medio Oriente che negli ultimi anni ha visto la ricostruzione di una palazzina distrutta dai bombardamenti ad Aleppo in Siria e la realizzazione di un centro per l’accoglienza dei profughi in Libano.
C’è la fede semplice e genuina delle 600 mila persone di Timor Est o dei poverissimi abitanti dei villaggi fra la foresta e il mare in Papua Nuova Guinea che hanno accolto Papa Francesco durante il suo recente viaggio in Asia e Oceania. E pochi giorni fa, nell’udienza del mercoledì, ricordando il suo viaggio, il Papa si è detto «colpito dalla bellezza» di quei popoli «provati ma gioiosi». «Ho respirato aria di primavera», ha aggiunto, sottolineando di aver trovato una Chiesa «molto più viva in quei paesi». Una Chiesa che cresce non per proselitismo ma «per attrazione». E poi c’è la Chiesa stanca e autoreferenziale dei paesi europei che, nel deserto di umanità del mondo occidentale, sembra aver dimenticato l’originalità della fede in Gesù Cristo, preferendo occuparsi di altro. È un raffronto spiazzante che costringe chi crede a interrogarsi su cosa ne ha fatto della propria fede. Scrive Matteo Matzuzzi nell’articolo apparso sul Foglio di cui vi proponiamo la lettura: «Si è proprio sicuri che la fede genuina e semplice sia quella dei Sinodi infiniti che producono documenti, tabelle, schemi, strumenti di lavoro. Sinodi che vorrebbero combattere l’autoreferenzialità e poi finiscono per chiudersi in Vaticano per settimane a discutere di questioni che il mondo, fuori, conoscerà solamente attraverso sintesi e mediazioni? Si è proprio certi che ai popoli di Timor Est, di Singapore, ma anche al piccolo gruppo di fedeli della Mongolia o a quelli di Bangui interessino le elucubrazioni sul diaconato femminile, sul celibato sacerdotale, sulle attese del Cammino sinodale tedesco che tra un cenacolo sulla collegialità e l’istituzione di un Comitato ad hoc punta a rovesciare la struttura gerarchica della Chiesa? S’è mai domandato, qualcuno, perché i seicentomila cattolici riuniti per accogliere il Papa e pregare con lui siano tutti a Timor est e non nelle spianate bavaresi o nella Grand Place di Bruxelles?»
Pochi giorni fa è stato presentato il rapporto sulla competitività europea curato da Mario Draghi. Un’agenda che suona come una sorta di ultimo appello, nel quale spicca il coraggio di dire le cose come stanno, evidenziando i ritardi, i compromessi, le incoerenze con cui l’Europa e i suoi Stati membri si sono mossi finora, «con una trazione più intergovernativa che comunitaria», e rimarcando ciò che è indispensabile fare subito per cercare di stare al passo con le sfide di oggi. Diversamente l’Europa e, di conseguenza, anche l’Italia saranno destinati a una progressiva irrilevanza e al declino. Su questo tema segnaliamo l’articolo dell’economista Lucrezia Reichlin sul Corriere della Sera. Riferendosi al rapporto di Draghi scrive: «Siamo di fronte ad una emergenza esistenziale e questo è il messaggio essenziale, lanciato ai tavoli della politica europea e direi soprattutto ai ministri che siedono al Consiglio».
In queste settimane l’attenzione è anche sugli Stati Uniti in vista delle elezioni presidenziali del 5 novembre, un appuntamento che ci riguarda molto da vicino, più di quanto si possa pensare. Le scelte che si faranno oltreoceano avranno infatti ricadute importanti sul nostro continente. Intanto lo scorso 10 settembre si è tenuto il dibattito fra Donald Trump e Kamala Harris. Su questo vi proponiamo l’analisi di quanto è successo fatta da Marco Bardazzi sul Foglio. Bardazzi insieme a Lorenzo Pregliasco, fondatore e analista politico di YouTrend, saranno ospiti a Brescia della Fondazione San Benedetto venerdì 27 settembre alle ore 18, proprio per darci gli ultimi aggiornamenti sulle elezioni americane. Dopo il primo incontro con loro, molto apprezzato, del maggio scorso, l’appuntamento sarà di nuovo al Centro Paolo VI in via Gezio Calini 30. L’incontro è aperto a tutti ma per partecipare è necessario registrarsi a questo link: https://fondazionesanbenedetto.it/2024/08/28/elezioni-usa-verso-lo-scontro-finale
I recenti fatti di sangue che hanno visto dei giovani come protagonisti (dall’omicidio di Sharon alla strage familiare di Paderno Dugnano, ai vari accoltellamenti) ripropongono prepotentemente da un lato il tema della «presenza attiva del male» nella nostra vita e dall’altro la necessità dell’educazione come unico antidoto contro il venir meno dell’umano. In questi giorni abbiamo letto o sentito tante analisi sociologiche o psicologiche alla ricerca dei colpevoli o delle cause recondite di quanto è accaduto, mentre in realtà siamo di fronte a fatti che sfuggono alle nostre anguste spiegazioni. L’educazione non è certo un insieme di regole o di buone maniere e non ha niente a che vedere con qualche richiamo moralistico. È «un cammino» che richiede un lavoro su di sé e che «dovrebbe proseguire tutta la vita», come sottolinea Susanna Tamaro nell’articolo pubblicato sul Corriere della Sera di cui vi consigliamo la lettura questa settimana. «Il culto del bambino perfetto», oggi molto diffuso, – continua la scrittrice – è uno «straordinario salto indietro fatto dalla società postmoderna». Nel compito dell’educazione un ruolo, non esclusivo ma fondamentale, lo ricopre la scuola. Tra pochi giorni alcuni milioni di bambini e ragazzi torneranno nelle aule. In vista di questo appuntamento vi proponiamo l’articolo di Sergio Belardinelli apparso sul Foglio. A proposito del processo educativo scrive: «Anziché coltivare la gratuità di un processo che di per sé non serve a nulla, se non a diventare noi stessi, abbiamo preferito finalizzare l’educazione alle esigenze della società. Ci ricordiamo le famose tre “I”: Inglese, Informatica e Impresa? La scuola deve servire a questo, deve servire a quest’altro, mettendoci dentro ognuno ciò che ritiene più importante. Ma un progetto educativo non è, non può essere, un progetto tecnico; è un processo di generazione di una persona e quindi fondamentalmente gratuito, sempre esposto al rischio della libertà che ciascuno di noi è».
Dopo la pausa estiva riprende da oggi l’appuntamento domenicale con la nostra newsletter settimanale “Fissiamo il pensiero”. All’inizio di un nuovo tratto di cammino, che nel 2025 coinciderà con i vent’anni di vita della Fondazione San Benedetto, vogliamo soprattutto sottolineare il senso della nostra presenza. Lo facciamo proponendovi un articolo di Giuseppe Frangi apparso nei giorni scorsi sul quotidiano onlineilsussidiario.netche descrive bene la traiettoria nella quale si colloca anche il nostro percorso come fondazione. Domenica 25 agosto si è chiuso il Meeting di Rimini ed è stato annunciato il titolo della prossima edizione nel 2025 che riprende un verso del poeta Thomas Stearns Eliot: «Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi». Il deserto è il mondo nel quale viviamo oggi. «Basta guardarsi attorno – scrive Frangi – per rendersene conto: non è un mondo né sazio, né disperato, a dispetto di tanta sofferenza che lo attraversa e anche delle guerre che imperversano ferocemente a poche ore di aereo. È un deserto anomalo dove la vita continua indisturbata a “prosperare”», in cui gli uomini «fondamentalmente stanno bene», in cui attorno a sé può succedere qualunque cosa ma è come se si fosse anestetizzati. Il verso di Eliot invita in questo deserto a costruire con mattoni nuovi. Ed effettivamente la volontà di costruire non manca, si esprime in tante proposte. «Eppure se siamo onesti – continua l’articolo – dobbiamo ammettere di avvertire una fondamentale inadeguatezza rispetto all’invadenza così totalitaria di questo deserto». Il mattone sarà davvero nuovo e quindi «in grado di operare nel deserto solo se liberato da ogni nostro protagonismo e da ogni nostro calcolo». Questo è il nostro tentativo aperto a chiunque sia interessato a condividerlo.