27 Gennaio

Tamaro: la vita è qualcosa di appassionante

In occasione dell’uscita del suo ultimo libro “Il vento soffia dove vuole” la scrittrice Susanna Tamaro, che ricordiamo anche per essere stata nostra ospite cinque anni fa al Mese Letterario, ha rilasciato un’interessante intervista che riprendiamo da Vatican News, nella quale spazia dai legami familiari alla condizione dei giovani, dal ruolo della cultura e degli artisti all’invasione dei media negli spazi della vita, per arrivare fino alla fede. “Noi – sottolinea nell’intervista – immaginiamo la fede come un obbedire supinamente a delle cose che ci vengono ordinate dall’alto ma non è così, ora più che mai Dio ama i ribelli a questo mondo che va verso la barbarie, verso la follia, verso la disumanità più totale”. Un testo che vi invitiamo a leggere integralmente (è disponibile anche la versione audio dell’intervista) per i numerosi spunti di riflessione che offre in un momento di smarrimento come quello che stiamo vivendo segnato dalla tragedia della guerra.      

21 Gennaio

Il dramma irrisolto del «Vangelo» di Pasolini 

Sessant’anni fa usciva nelle sale cinematografiche il film «Il Vangelo secondo Matteo» di Pier Paolo Pasolini. In un articolo su Libero Antonio Socci ripercorre la genesi di questa opera che «rappresenta anzitutto un dramma irrisolto, per il suo autore e per il mondo culturale italiano che non ha mai fatto veramente i conti con il cristianesimo». Un film, di cui si ricordano soprattutto i volti dei protagonisti, nato dopo la lettura casuale del Vangelo durante una visita del regista ad Assisi nel 1962. Quella lettura fu un incontro con la bellezza «allo stato puro» che Pasolini dirà poi di aver sperimentato solo nel Vangelo. Un incontro con la figura di Gesù che resterà in tutta la sua vita un punto di domanda sempre aperto. Pur dicendosi non credente, riferendosi a Cristo, aveva confidato: «Lo cerco dappertutto». In una lettera a don Giovanni Rossi si definiva «bloccato in un modo che solo la Grazia potrebbe sciogliere». Una tensione drammatica che non poteva accontentarsi di risposte facili e accomodanti.     

14 Gennaio

Quel cuore negato è l’unica speranza

«Ogni uomo fa le sue scelte paragonandole con le esigenze di felicità e bellezza di cui il suo cuore è dotato; il problema è che tutto nella società sembra negare queste esigenze sostituendole con altre false ma che fanno comodo al potere. Consumismo sfrenato ed esaltazione della libertà. “Ma liberi da cosa, liberi da chi” dice acutamente Vasco Rossi individuando il lato negativo della libertà, la cosiddetta libertà da ogni legame che lascia alla fine soli e tristi». Lo scrive Stefano Bolla in una lettera che vi invitiamo a leggere, pubblicata in questi giorni da Bresciaoggi. È la stessa dinamica descritta nel dialogo tra due filosofi, Francesco Postorino e Massimo Borghesi, pubblicato da Avvenire, tutto da leggere anche questo. «I giovani sono interrogati dalla dimensione religiosa quando la vedono espressa in atto, la colgono nel volto e nell’umanità dei loro coetanei, ragazzi e ragazze che trovano nella fede un di più di umanità e di vita  – sottolinea Borghesi -. Qui vale la legge per cui il simile è attratto dal simile. Oggi si può divenire cristiani perché, come 2000 anni fa, si incontrano dei cristiani vivi. La secolarizzazione, tante volte citata come motivo di allontanamento dalla fede, non è dirimente. Come non era determinante il paganesimo rispetto alla diffusione della fede nel mondo antico. La grazia cristiana, quando è reale, ha una sua bellezza che attrae. È più persuasiva dei pregiudizi che, provenienti dal pensiero post-illuminista, continuano a permeare la nostra cultura».

07 Gennaio

Riascoltando Gaber

Riprendiamo il nostro appuntamento domenicale nel nuovo anno accompagnati da Giorgio Gaber. A Capodanno Rai 3 ha mandato in onda il docufilm «Io, noi e Gaber» che è possibile rivedere a questo link su RaiPlay. Un’occasione straordinaria per rivivere un pezzo di storia d’Italia attraverso la carriera e la vita dell’artista milanese scomparso ventuno anni fa. Eppure a distanza di tanto tempo nel percorso e nelle parole di Gaber possiamo ritrovare intuizioni e suggerimenti spiazzanti che riguardano la nostra vita di oggi. Come scrive Carlo Candiani nell’articolo pubblicato sul quotidiano online ilsussidiario.net, di cui invitiamo alla lettura, il docufilm «non è più il racconto di una carriera artistica, ma quello di un uomo dentro la propria storia e quella del popolo in cui è immerso, con mille contraddizioni, vissuta con l’intero corpo e anima».

24 Dicembre

La solitudine del Natale e i 50 anni di Arcipelago Gulag

Con la newsletter di questa domenica vogliamo anzitutto augurare buon Natale a tutti coloro che ci seguono. Ogni settimana cerchiamo sempre di offrire una proposta di lettura che possa essere significativa nelle circostanze in cui ci troviamo per aiutarci a vivere più consapevolmente. Oggi vogliamo segnalare anzitutto un breve testo di tema natalizio, pubblicato su Avvenire, di José Tolentino Mendonça, cardinale e poeta, prefetto per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede. Prendendo spunto da una lettera dello scrittore Jack London, l’autore di Zanna Bianca, si sofferma sul significato tutt’altro che accomodante del Natale, che non può essere ridotto a tradizioni che «ci consolano appena per qualche momento». La contemplazione del bambino di Betlemme, scrive Tolentino, «restituisce a noi adulti, induriti, la coscienza di quanto siamo insufficienti, indigenti, lacerati e soli davanti alla consumazione ultima del nostro destino». Una lacerazione dell’umano di cui è testimonianza sconvolgente l’Arcipelago Gulag di Aleksandr Solgenitsin. In questi giorni ricorrono i cinquant’anni dalla pubblicazione della prima edizione francese del libro, un saggio di inchiesta narrativa sul sistema di campi di lavoro forzato nei quali in Unione Sovietica furono recluse per quasi settant’anni centinaia di migliaia di persone. In un articolo uscito su Le Figaro, e ripubblicato dal Foglio, Georges Nivat, uno dei suoi traduttori, sottolinea come, oltre al valore storico, il libro sia «una sorta di lettera immensa indirizzata all’umanità, una lettera il cui destinatario non esce indenne se la apre e la legge. Accanto ad altri grandi libri come quelli di Vasilij Grossman e Primo Levi, potrà per molto tempo aiutare a capire chi è l’uomo e come liberare il genere umano dalla crudeltà, dal massacro, dall’organizzazione della schiavitù. E resistere».

17 Dicembre

L’Europa dei cercatori

Alcune settimane fa, in un editoriale sul Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli ha sottolineato che sempre di più proprio in Europa, e non nei singoli stati, si giocheranno partite decisive per il nostro futuro. «A Strasburgo – ha scritto – si inciderà sui destini delle prossime generazioni molto più che nel Parlamento di un singolo Paese». Da qui la necessità di prepararsi seriamente, di conoscere e di documentarsi sul funzionamento dell’Unione Europea. Un compito di cui come fondazione abbiamo voluto farci carico a partire dal nuovo ciclo di incontri sull’Unione Europea. Una proposta che si colloca in un orizzonte più ampio. Anche la conoscenza «tecnica» per noi non è mai fine a se stessa o volta semplicemente ad accrescere competenze o capacità, ma risponde a un bisogno più profondo di capire quale sia il nostro posto nel mondo. In una conferenza riportata da Avvenire, di cui riproponiamo uno stralcio, il filosofo canadese Charles Taylor osserva che «viviamo in un’epoca in cui le persone si pongono molti interrogativi e trovano molto difficile darsi delle risposte: è un dato di fatto che in alcune parti dell’Occidente tutto ciò stia generando una forte e significativa crisi soprattutto tra i giovani. In particolare, la sensazione è che essi non siano certi di quale debba essere l’orientamento e il significato della loro stessa vita: sono confusi e, quel che è peggio, non vengono incoraggiati a cercare». Una sfida che facciamo nostra: la fondazione è soprattutto un luogo dove chi cerca può sentirsi a casa sua.

10 Dicembre

Riflessioni dopo il funerale di Giulia

La settimana che si è appena conclusa è stata segnata dal funerale di Giulia Cecchettin. Di questo momento, che ha visto una partecipazione molto ampia, vogliamo soprattutto riproporre alcuni passaggi dell’omelia del vescovo di Padova Claudio Cipolla. «L’amore – ha sottolineato – non è un generico sentimento buonista. Non si sottrae alla verità, non sfugge la fatica di conoscere ed educare se stessi. E’ empatia che genera solidarietà, accordo di anime e corpi nutrito di idealità comuni, compassione che nell’ascolto dell’altro trova la via per spezzare l’autoreferenzialità e il narcisismo». Parole sulle quali val la pena soffermarsi. Un altro spunto di riflessione interessante ci arriva da Adriano Sofri che nella sua rubrica Piccola Posta sul Foglio del 7 dicembre, mette a confronto alcune frasi di Filippo Turetta – «Ho ucciso la mia fidanzata»,  «Doveva essere mia e di nessun altro», «Volevo che fosse solo mia» – con il commiato con cui Gino Cecchettin ha voluto salutare sua figlia al termine del funerale:  «Addio Giulia, amore mio». Due modi opposti di usare l’aggettivo «mio». Sofri rievoca uno slogan che dagli anni ’70 in poi è stato scandito in tanti cortei di femministe: «Io sono mia». E subito dopo ricorda quanto detto in proposito da Luisa Muraro, esponente storica del femminismo: «Quell'”io sono mia”, slogan poco sensato al quale non ho mai aderito: la vita l’abbiamo avuta in dono, prima di tutto da una madre, dunque è un dono da ricambiare con altre persone». Riconoscere la natura della realtà ci rende più umani. Invece voler possedere l’altra persona fino al punto di toglierle la vita o illudersi di appartenere solo a se stessi sono solo tragici abbagli dai quali la nostra umanità esce sempre sconfitta. 

26 Novembre

Perché l’assassinio di Giulia ci riguarda 

In questi giorni le cronache sono state riempite dalle notizie sempre più sconcertanti sull’assassinio di Giulia Cecchettin. A queste è seguito un bailamme di commenti purtroppo molte volte dettati da cliché ideologici che non aiutano certo a stare di fronte alla drammaticità della realtà. La politica ha dato le sue risposte anche se non sarà certo una nuova serie di norme ad arginare un problema molto più complesso. E poi, da ultimo, sull’onda dell’emotività si è scaricato sulla scuola l’ennesimo compito, quello di educare al rispetto aggiungendo nuove ore di «lezione» con gli «esperti». Noi vorremmo provare a offrire un punto di vista diverso che parte anzitutto dalla considerazione della vera natura di quanto è successo. Lo facciamo riproponendo l’intervista pubblicata sul sito del mensile Tempi con la psicologa della coppia e della famiglia Vittoria Maioli Sanese, da oltre cinquant’anni alle prese con le relazioni uomo-donna e genitori-figli. «Possiamo fare tutte le leggi del mondo – afferma nell’intervista -, ma se manca il passaggio dentro di sé, il cambiamento della persona, non succederà nulla di significativo. Sembra che oggi in Italia si abbia paura di andare a fondo del problema». E il problema non è di sicuro un patriarcato che non esiste più, ma semmai il narcisismo sempre più diffuso che «diventa intollerabilità del proprio limite, intollerabilità della frustrazione». Ma questa vicenda è anche la storia di un grandissimo dolore, anzitutto per le famiglie di Giulia e di Filippo, davanti al quale sembra impossibile stare senza fuggire e dimenticare oppure cedere alla rabbia. In questo può essere d’aiuto la lettura delle «Lettere sul dolore» di Emmanuel Mounier, raccolte nel libro da poco ripubblicato dalla Bur Rizzoli, scritte dal grande intellettuale francese durante la malattia della sua piccola figlia Francoise. Uno sguardo sul mistero della sofferenza che non censura nulla e nel quale la morte non è mai l’ultima parola. Pubblichiamo una presentazione del libro di Mounier scritta da Giovanni Fighera.

19 Novembre

Non ci sono vite a perdere

Ha colpito la vicenda della piccola Indi Gregory nata con una malattia rara e morta lunedì in Inghilterra dopo che i giudici avevano deciso, contro la volontà della famiglia, di interrompere tutti …

12 Novembre

Il dramma della guerra e le nostre finte battaglie navali

Si può assistere alla guerra in Medio Oriente standosene comodamente sul divano di casa, assuefatti al clima da perenne talk show che ci viene propinato dai media e in cui ci ritroviamo immersi. È come se andasse in scena una continua partita di «battaglia navale» dove lo scontro e la rissa vengono alimentati per raccogliere audience o like e fare cassa. La realtà dei morti veri, delle battaglie vere, della scia infinita di distruzione portata dal terrorismo e dalla guerra sono l’ultima cosa che interessa. Non importa neppure capire cosa sta davvero succedendo. Lo racconta bene in un articolo tutto da leggere Concita De Gregorio su Repubblica. Chi la realtà della guerra la conosce bene e la vive tra la sua gente e sulla propria pelle, è invece il patriarca di Gerusalemme, il neocardinale Pierbattista Pizzaballa, di cui riproponiamo l’intervista rilasciata pochi giorni fa all’Osservatore Romano a un mese dallo scoppio delle ostilità.

05 Novembre

Da Omero a Guareschi per riscoprire se stessi

Nei giorni dedicati al ricordo dei morti ci hanno colpito le considerazioni, pubblicate su Sette, del filosofo Mauro Bonazzi, che ripercorrendo le pagine dell’Iliade dopo l’uccisione di Ettore da parte di Achille, osserva: «Gli uomini non sconfiggeranno la morte, ma possono comunque conferire un valore umano alla loro vita. Costruire qualcosa insieme. Achille e Priamo piangono insieme. Si scoprono uomini in un mondo indifferente. Riconoscersi uomini tra uomini, imparare a stare insieme. Di fronte allo scandalo della morte altro non possono fare». Dopo oltre 2700 anni queste pagine di Omero ci dicono dunque ancora qualcosa di molto vero, che ci riguarda personalmente. Sulla stessa lunghezza d’onda segnaliamo l’articolo di Giorgio Vittadini sul quotidiano online ilsussidiario.net. Il suggerimento arriva in questo caso dal don Camillo di Guareschi. È un invito al riscatto della coscienza che nell’epoca digitale, dell’iperconnessione, appare invece sempre più svuotata. «Non viviamo senza gli altri, senza una comunità prossima, e senza luoghi di appartenenza più ampi – scrive Vittadini -. Ma se questi luoghi non aprono a quei momenti di dialogo personale con noi stessi e con la verità che alberga in noi, si perde la strada, anche se si rimane in compagnia».

Idee, sogni, riflessioni

Il pensiero umano viaggia velocemente. Che siano semplici idee, piccoli o grandi sogni, riflessioni sulla vita, confronti o discussioni, noi vogliamo riportarle qui, in questo spazio dedicato.