La settimana che si è appena conclusa è stata segnata dal funerale di Giulia Cecchettin. Di questo momento, che ha visto una partecipazione molto ampia, vogliamo soprattutto riproporre alcuni passaggi dell’omelia del vescovo di Padova Claudio Cipolla. «L’amore – ha sottolineato – non è un generico sentimento buonista. Non si sottrae alla verità, non sfugge la fatica di conoscere ed educare se stessi. E’ empatia che genera solidarietà, accordo di anime e corpi nutrito di idealità comuni, compassione che nell’ascolto dell’altro trova la via per spezzare l’autoreferenzialità e il narcisismo». Parole sulle quali val la pena soffermarsi. Un altro spunto di riflessione interessante ci arriva da Adriano Sofri che nella sua rubrica Piccola Posta sul Foglio del 7 dicembre, mette a confronto alcune frasi di Filippo Turetta – «Ho ucciso la mia fidanzata», «Doveva essere mia e di nessun altro», «Volevo che fosse solo mia» – con il commiato con cui Gino Cecchettin ha voluto salutare sua figlia al termine del funerale: «Addio Giulia, amore mio». Due modi opposti di usare l’aggettivo «mio». Sofri rievoca uno slogan che dagli anni ’70 in poi è stato scandito in tanti cortei di femministe: «Io sono mia». E subito dopo ricorda quanto detto in proposito da Luisa Muraro, esponente storica del femminismo: «Quell'”io sono mia”, slogan poco sensato al quale non ho mai aderito: la vita l’abbiamo avuta in dono, prima di tutto da una madre, dunque è un dono da ricambiare con altre persone». Riconoscere la natura della realtà ci rende più umani. Invece voler possedere l’altra persona fino al punto di toglierle la vita o illudersi di appartenere solo a se stessi sono solo tragici abbagli dai quali la nostra umanità esce sempre sconfitta.