21 Dicembre

Non siamo autosufficienti, ecco perché ci serve il Natale

Quella di oggi è l’ultima newsletter prima del Natale ed è l’occasione per scambiarci gli auguri. Vogliamo farlo proponendovi la lettura di un articolo di Sergio Belardinelli pubblicato pochi giorni fa dal quotidiano Il Foglio. Affronta un tema inusuale per un articolo di giornale: la preghiera. Eppure quella di pregare è «una delle caratteristiche specifiche degli uomini». «Preghiamo i nostri simili, il destino, gli dei, Dio. Nessun altro animale lo fa», sottolinea Belardinelli. È segno allo stesso tempo della nostra fragilità, di una natura segnata dal male e dall’imperfezione, e della nostra grandezza che riconoscendo la sua dipendenza strutturale si sottrae alla sua autoreferenzialità aprendosi all’altro e implorandone l’aiuto. «Preghiamo perché siamo esseri bisognosi, mai completamente autosufficienti», si legge nell’articolo. Con una sottolineatura fondamentale: mentre quando preghiamo i nostri simili possiamo verificare in tempi brevi se la nostra richiesta viene esaudita, quando ci rivolgiamo invece a Dio le cose cambiano completamente. In questo caso l’effetto delle nostre preghiere non è altrettanto facile da verificare. «Soltanto la fede – scrive Belardinelli – ci dice che non possiamo chiedere a Dio di esaudire le nostre preghiere senza metterci nelle sue mani, senza riconoscere che la sua volontà è più importante della nostra». Tutto questo si scontra con le tragedie della vita, il dolore, le ingiustizie, le guerre, ma «Dio per principio non delude mai». E questo è anche l’annuncio del Natale, del Dio che si fa bambino e viene in mezzo a noi. Come si legge nella poesia natalizia di T.S. Eliot, che vi invitiamo a leggere e che racconta l’esperienza dei pastori a Betlemme, il Natale è un invito a non temere «il grido del cuore che aspetta l’impossibile perché quando il cielo sposa la terra l’uomo può ricominciare».
Da ultimo vogliamo esprimere le nostre felicitazioni a don Armando Nolli al quale nei giorni scorsi è stato assegnato il Grosso d’oro, il massimo riconoscimento civico che il Comune di Brescia può conferire, per il suo impegno costante al servizio della comunità, l’attenzione ai più bisognosi, la capacità di coinvolgere realtà sociali, associative e tanti giovani in iniziative solidali. È davvero lungo l’elenco di quanto ha fatto dalla direzione della Caritas ai vent’anni come parroco di San Faustino e Giovita. Oggi presta il suo servizio nella parrocchia di Santo Stefano alla Bornata nel cui territorio c’è anche la nostra sede di Borgo Wührer. Come Fondazione San Benedetto gli siamo particolarmente riconoscenti per la sua autentica amicizia e per aver ricevuto da lui, in tanti anni, concreti segni di incoraggiamento nella nostra azione.
Buon Natale e un buon 2025!
L’appuntamento con la nostra newsletter «Fissiamo il pensiero» tornerà domenica 12 gennaio.

24 Dicembre

La solitudine del Natale e i 50 anni di Arcipelago Gulag

Con la newsletter di questa domenica vogliamo anzitutto augurare buon Natale a tutti coloro che ci seguono. Ogni settimana cerchiamo sempre di offrire una proposta di lettura che possa essere significativa nelle circostanze in cui ci troviamo per aiutarci a vivere più consapevolmente. Oggi vogliamo segnalare anzitutto un breve testo di tema natalizio, pubblicato su Avvenire, di José Tolentino Mendonça, cardinale e poeta, prefetto per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede. Prendendo spunto da una lettera dello scrittore Jack London, l’autore di Zanna Bianca, si sofferma sul significato tutt’altro che accomodante del Natale, che non può essere ridotto a tradizioni che «ci consolano appena per qualche momento». La contemplazione del bambino di Betlemme, scrive Tolentino, «restituisce a noi adulti, induriti, la coscienza di quanto siamo insufficienti, indigenti, lacerati e soli davanti alla consumazione ultima del nostro destino». Una lacerazione dell’umano di cui è testimonianza sconvolgente l’Arcipelago Gulag di Aleksandr Solgenitsin. In questi giorni ricorrono i cinquant’anni dalla pubblicazione della prima edizione francese del libro, un saggio di inchiesta narrativa sul sistema di campi di lavoro forzato nei quali in Unione Sovietica furono recluse per quasi settant’anni centinaia di migliaia di persone. In un articolo uscito su Le Figaro, e ripubblicato dal Foglio, Georges Nivat, uno dei suoi traduttori, sottolinea come, oltre al valore storico, il libro sia «una sorta di lettera immensa indirizzata all’umanità, una lettera il cui destinatario non esce indenne se la apre e la legge. Accanto ad altri grandi libri come quelli di Vasilij Grossman e Primo Levi, potrà per molto tempo aiutare a capire chi è l’uomo e come liberare il genere umano dalla crudeltà, dal massacro, dall’organizzazione della schiavitù. E resistere».