17 Marzo

Il mondo in frantumi

Nella newsletter di questa settimana vogliamo proporvi la lettura di un discorso storico: quello che l’8 giugno 1978 lo scrittore russo Aleksandr Solzenicyn, premio Nobel per la letteratura, fece all’università di Harvard in occasione del conferimento della laurea honoris causa. Costretto all’esilio dall’Unione Sovietica nel 1974, da qualche tempo si era stabilito negli Stati Uniti, andando ad abitare nel Vermont. A 46 anni di distanza, in un contesto mondiale sempre più frammentato dove soffiano venti di guerra e le democrazie appaiono indebolite, le sue parole mantengono una straordinaria attualità. Dallo squilibrio fra la libertà di fare il bene e quella di fare il male, a un legalismo senz’anima che porta alla mediocrità spirituale, fino alla superficialità menzognera dei media, sono tanti gli spunti che questo discorso offre, utili per considerare con più attenzione e consapevolezza quanto sta avvenendo nelle nostre società.

24 Dicembre

La solitudine del Natale e i 50 anni di Arcipelago Gulag

Con la newsletter di questa domenica vogliamo anzitutto augurare buon Natale a tutti coloro che ci seguono. Ogni settimana cerchiamo sempre di offrire una proposta di lettura che possa essere significativa nelle circostanze in cui ci troviamo per aiutarci a vivere più consapevolmente. Oggi vogliamo segnalare anzitutto un breve testo di tema natalizio, pubblicato su Avvenire, di José Tolentino Mendonça, cardinale e poeta, prefetto per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede. Prendendo spunto da una lettera dello scrittore Jack London, l’autore di Zanna Bianca, si sofferma sul significato tutt’altro che accomodante del Natale, che non può essere ridotto a tradizioni che «ci consolano appena per qualche momento». La contemplazione del bambino di Betlemme, scrive Tolentino, «restituisce a noi adulti, induriti, la coscienza di quanto siamo insufficienti, indigenti, lacerati e soli davanti alla consumazione ultima del nostro destino». Una lacerazione dell’umano di cui è testimonianza sconvolgente l’Arcipelago Gulag di Aleksandr Solgenitsin. In questi giorni ricorrono i cinquant’anni dalla pubblicazione della prima edizione francese del libro, un saggio di inchiesta narrativa sul sistema di campi di lavoro forzato nei quali in Unione Sovietica furono recluse per quasi settant’anni centinaia di migliaia di persone. In un articolo uscito su Le Figaro, e ripubblicato dal Foglio, Georges Nivat, uno dei suoi traduttori, sottolinea come, oltre al valore storico, il libro sia «una sorta di lettera immensa indirizzata all’umanità, una lettera il cui destinatario non esce indenne se la apre e la legge. Accanto ad altri grandi libri come quelli di Vasilij Grossman e Primo Levi, potrà per molto tempo aiutare a capire chi è l’uomo e come liberare il genere umano dalla crudeltà, dal massacro, dall’organizzazione della schiavitù. E resistere».