A cinque anni dall’incendio che l’aveva devastata ieri a Parigi è stata riaperta la cattedrale di Notre Dame. Oltre duemila gli artigiani, architetti e ingegneri coinvolti, e 250 le aziende, in quello che è ricordato come un restauro colossale. Nel suo messaggio Papa Francesco sottolinea il «grande slancio di generosità internazionale che ha contribuito al restauro», simbolo di un impegno non solo per il campo dell’arte e dell’architettura, ma per il valore sacrale di questo edificio.
«I nostri cuori – aggiunge – hanno sofferto per il rischio di veder scomparire un capolavoro della fede e dell’architettura cristiana, una testimonianza millenaria della vostra storia nazionale. Oggi la tristezza e il lutto hanno lasciato il posto alla gioia, alla celebrazione e alla lode». È bello e rassicurante, scrive il Papa, che le competenze di un tempo siano state sapientemente conservate e migliorate. Francesco evidenzia in quest’opera la capacità di seguire una tradizione, di sentirsi parte di un passato che riemerge: «Hanno seguito le orme dei loro padri, la cui sola fede, vissuta nel lavoro, è stata in grado di costruire un tale capolavoro dove nulla di profano, inintellegibile o volgare trova posto». Su questo avvenimento vogliamo proporvi la lettura di due articoli: il primo di Antonio Socci su Libero ricostruisce cosa rappresenta Notre Dame nella storia della Francia e dell’Europa soffermandosi in particolare sul fatto che la cattedrale sia dedicata alla Madonna e che la riapertura avvenga in occasione della festa dell’Immacolata. Il secondo articolo è di Adrien Candiard sull’Osservatore Romano. Nato e cresciuto a Parigi, con un passato di impegno politico, nel 2006 è entrato nell’ordine domenicano e oggi è priore del convento del Cairo in Egitto. Candiard riflette soprattutto su quale sia la sfida che la riapertura di Notre Dame pone fra la riscoperta della fede e «le brutali realtà del turismo di massa». «Come onorare questa vocazione cristiana nel monumento più visitato del mondo? È la sfida di questa riapertura – conclude Candiard -, una sfida che richiederà non meno creatività, immaginazione e lavoro della ricostruzione dell’edificio. Ma il manto di Maria non è forse abbastanza ampio da coprire e proteggere tutti i suoi figli?».
Sessant’anni fa usciva nelle sale cinematografiche il film «Il Vangelo secondo Matteo» di Pier Paolo Pasolini. In un articolo su Libero Antonio Socci ripercorre la genesi di questa opera che «rappresenta anzitutto un dramma irrisolto, per il suo autore e per il mondo culturale italiano che non ha mai fatto veramente i conti con il cristianesimo». Un film, di cui si ricordano soprattutto i volti dei protagonisti, nato dopo la lettura casuale del Vangelo durante una visita del regista ad Assisi nel 1962. Quella lettura fu un incontro con la bellezza «allo stato puro» che Pasolini dirà poi di aver sperimentato solo nel Vangelo. Un incontro con la figura di Gesù che resterà in tutta la sua vita un punto di domanda sempre aperto. Pur dicendosi non credente, riferendosi a Cristo, aveva confidato: «Lo cerco dappertutto». In una lettera a don Giovanni Rossi si definiva «bloccato in un modo che solo la Grazia potrebbe sciogliere». Una tensione drammatica che non poteva accontentarsi di risposte facili e accomodanti.
Le immagini drammatiche di morte e distruzione che di continuo ci arrivano dalla Terra Santa ci lasciano attoniti di fronte al mistero del male. La televisione ce le mostra ogni sera ma tutto scorre via, passando, come se nulla fosse, dalla notizia dell’ultimo massacro al solito gioco a quiz. Nella realtà non è così. Ce lo dicono i due articoli di cui proponiamo la lettura questa settimana. Il primo è di Antonio Socci su Libero. Racconta come l’esperienza della bellezza – in questo caso incarnata dal duomo di Siena – può cambiare la vita. Diventa la fonte di una passione e di una compassione per l’uomo e per la realtà che illumina «la notte del mondo» oppresso da guerre e violenze. Sulla stessa lunghezza d’onda e da punti di vista completamente diversi si ritrovano Adriano Sofri e Roberto D’Agostino citati da Socci. Il secondo articolo pubblicato dal Wall Street Journal e ripreso dal Foglio descrive come le atrocità di Hamas siano la manifestazione di una malvagità dai cui germi nessuno è immune come scriveva Dostoevskij: «l’aberrazione più totale del cuore e della mente umana è sempre possibile». E l’ideologia è sempre stata l’arma utilizzata per giustificare i peggiori crimini, come ha raccontato Solgenitsin. Una possibilità sempre presente da cui stare in guardia.
In queste settimane sono state numerose le occasioni per ricordare don Lorenzo Milani nel centenario della sua nascita. Le rappresentazioni banali e scontate, frutto di superficialità e pigrizia mentale, funzionali al conformismo progressista, fanno solo torto alla figura del priore di Barbiana. «Spesso don Milani dovette difendersi da coloro – in genere laici e di sinistra – che volevano mettergli la loro casacca, tirarlo dalla propria parte e magari strumentalizzarlo contro la Chiesa», scrive Antonio Socci in un articolo su Libero raccontando chi era veramente e la sua profonda fede cattolica con testimonianze poco conosciute.
In queste settimane si discute molto su ChatGPT, il nuovo software di intelligenza artificiale che dialoga con gli umani in linguaggio corrente ed è in grado di produrre testi scritti. Come scrive Antonio Socci su Libero dell’11 marzo, anche se il sistema verrà perfezionato non sarà mai «un pensiero in atto». Citando Federico Faggin, sottolinea che «nell’uomo c’è qualcosa di irriducibile che la macchina non potrà avere mai». Lo diceva già Socrate – «l’uomo è la sua anima» – e la sua lezione dopo oltre 2400 anni rimane più attuale che mai.