Le stelle ci sono, ma noi?
Conviene, se è sereno, ritagliarsi un po’ di tempo per guardare le stelle. Per capire un po’ di più se stessi. La grandezza, infatti, è in noi. (Da ilsussidiario.net di Valerio Capasa)
Le stelle, signori, sono — e giustamente — prime donne, che non sopportano gregari che vogliano togliere loro lo spazio e la luce. Via le insegne e i lampioni, allora, via i locali e i rumori, via, se possibile, le angurie e le salsicce, via anche la musica e gli abbracci, via le mani dal telefono e dal corpo di un altro, via le app che ti dicono i nomi delle costellazioni e le parole degli amici. Tu e le stelle, in silenzio. A fare quello che così raramente facciamo: guardare. Guardare finché gli occhi non iniziano a vedere meglio, a mettere sempre più a fuoco, a contare sempre più stelle. Finché il cuore non inizia a desiderare lo stesso crescendo, di intensità, di visione, di presa. Perché non ha molto senso guardare le stelle senza che il movimento degli occhi susciti lo slancio del cuore che si rialza dalle solite, meschine questioni in cui ci rigiriamo, e si riaccorge di quell’infinito con cui siamo in distratto rapporto. Sotto quella lontananza ci scopriamo improvvisamente piccoli.