Si può assistere alla guerra in Medio Oriente standosene comodamente sul divano di casa, assuefatti al clima da perenne talk show che ci viene propinato dai media e in cui ci ritroviamo immersi. È come se andasse in scena una continua partita di «battaglia navale» dove lo scontro e la rissa vengono alimentati per raccogliere audience o like e fare cassa. La realtà dei morti veri, delle battaglie vere, della scia infinita di distruzione portata dal terrorismo e dalla guerra sono l’ultima cosa che interessa. Non importa neppure capire cosa sta davvero succedendo. Lo racconta bene in un articolo tutto da leggere Concita De Gregorio su Repubblica. Chi la realtà della guerra la conosce bene e la vive tra la sua gente e sulla propria pelle, è invece il patriarca di Gerusalemme, il neocardinale Pierbattista Pizzaballa, di cui riproponiamo l’intervista rilasciata pochi giorni fa all’Osservatore Romano a un mese dallo scoppio delle ostilità.
Nei giorni dedicati al ricordo dei morti ci hanno colpito le considerazioni, pubblicate su Sette, del filosofo Mauro Bonazzi, che ripercorrendo le pagine dell’Iliade dopo l’uccisione di Ettore da parte di Achille, osserva: «Gli uomini non sconfiggeranno la morte, ma possono comunque conferire un valore umano alla loro vita. Costruire qualcosa insieme. Achille e Priamo piangono insieme. Si scoprono uomini in un mondo indifferente. Riconoscersi uomini tra uomini, imparare a stare insieme. Di fronte allo scandalo della morte altro non possono fare». Dopo oltre 2700 anni queste pagine di Omero ci dicono dunque ancora qualcosa di molto vero, che ci riguarda personalmente. Sulla stessa lunghezza d’onda segnaliamo l’articolo di Giorgio Vittadini sul quotidiano online ilsussidiario.net. Il suggerimento arriva in questo caso dal don Camillo di Guareschi. È un invito al riscatto della coscienza che nell’epoca digitale, dell’iperconnessione, appare invece sempre più svuotata. «Non viviamo senza gli altri, senza una comunità prossima, e senza luoghi di appartenenza più ampi – scrive Vittadini -. Ma se questi luoghi non aprono a quei momenti di dialogo personale con noi stessi e con la verità che alberga in noi, si perde la strada, anche se si rimane in compagnia».
Le immagini drammatiche di morte e distruzione che di continuo ci arrivano dalla Terra Santa ci lasciano attoniti di fronte al mistero del male. La televisione ce le mostra ogni sera ma tutto scorre via, passando, come se nulla fosse, dalla notizia dell’ultimo massacro al solito gioco a quiz. Nella realtà non è così. Ce lo dicono i due articoli di cui proponiamo la lettura questa settimana. Il primo è di Antonio Socci su Libero. Racconta come l’esperienza della bellezza – in questo caso incarnata dal duomo di Siena – può cambiare la vita. Diventa la fonte di una passione e di una compassione per l’uomo e per la realtà che illumina «la notte del mondo» oppresso da guerre e violenze. Sulla stessa lunghezza d’onda e da punti di vista completamente diversi si ritrovano Adriano Sofri e Roberto D’Agostino citati da Socci. Il secondo articolo pubblicato dal Wall Street Journal e ripreso dal Foglio descrive come le atrocità di Hamas siano la manifestazione di una malvagità dai cui germi nessuno è immune come scriveva Dostoevskij: «l’aberrazione più totale del cuore e della mente umana è sempre possibile». E l’ideologia è sempre stata l’arma utilizzata per giustificare i peggiori crimini, come ha raccontato Solgenitsin. Una possibilità sempre presente da cui stare in guardia.
Questa settimana vogliamo segnalarvi due letture apparentemente molto diverse fra loro, ma che hanno in realtà un denominatore comune: a fare la differenza nelle diverse circostanze della vita più o meno favorevoli, più o meno drammatiche, è sempre la posizione umana con cui ci poniamo di fronte a esse. Quelli che indichiamo sono due esempi di questo. Il primo è quello di Pierluigi Cappello, poeta friulano, morto nel 2017 a soli cinquant’anni dopo una vita estremamente travagliata nella quale ha sperimentato sulla propria pelle prima la devastazione del terremoto, poi la disabilità permanente in seguito a un incidente, e infine la malattia. Il secondo esempio ci arriva da un grande industriale italiano, Antonio Gozzi, presidente del gruppo siderurgico Duferco e di Federacciai. Alcuni giorni fa a San Zeno, alle porte di Brescia, ha inaugurato un nuovo laminatoio green con un investimento da oltre 250 milioni di euro che porterà a creare 150 posti di lavoro. In quell’occasione ha pronunciato un discorso che riproponiamo e che, anche di fronte alla crisi che stiamo attraversando, suggerisce una dinamica diversa.
L’attacco terroristico di Hamas a Israele ha aperto una ferita immensa che lascia sgomenti. Non ci possono essere giustificazioni né attenuanti di alcun tipo per chi ha ucciso donne e vecchi e ha decapitato bambini inermi. E non ci possono essere titubanze o distinguo a stare con il popolo israeliano colpito da una violenza inaudita e a riconoscere il suo diritto a difendersi. Su quanto successo vogliamo segnalare due spunti di riflessione. Il primo è un articolo dello scrittore Paolo Giordano sul Corriere della Sera. Il secondo è una lettera al direttore del quotidiano online ilsussidiario.net Luca Raimondi di Vincent Nagle, sacerdote cattolico, figlio di una mamma ebrea-sionista. Una lettura in prima persona del conflitto fra israeliani e palestinesi che indica una prospettiva diversa.
Dalla bellezza della letteratura alla scoperta del Cantico dei cantici, dalla predilezione per Pasolini all’incontro con Rilke. È un’intervista a tutto campo quella con José Tolentino de Mendonça, cardinale, saggista e poeta, attualmente prefetto del dicastero vaticano per l’educazione e la cultura, pubblicata su Robinson, il settimanale culturale di Repubblica. Ne suggeriamo la lettura per la ricchezza di spunti che offre nello sguardo all’esperienza umana.
In occasione dei cinquant’anni dalla morte di Anna Magnani alcune sere fa la Rai ha mandato in onda «Bellissima», film di Luchino Visconti del 1951. Da Avvenire riprendiamo l’articolo di Marina Corradi colpita dalla visione di una pellicola che racconta un’Italia molto diversa da quella di oggi. Più semplice e forse più vera. L’impressione è che a oltre settant’anni di distanza dall’uscita di quel film e da quell’Italia «che rinasceva da una terribile guerra», ci siamo persi per strada qualcosa di importante, magari senza neppure accorgercene. Insieme segnaliamo dal Corriere della Sera un editoriale di Federico Rampini dedicato all’Africa, oggi sotto i riflettori per la questione migratoria. In realtà di questo continente multiforme conosciamo davvero poco. È un invito a non accontentarsi di letture sommarie e superficiali.
Il filosofo Gianni Vattimo, morto lo scorso 19 settembre, era conosciuto come principale esponente del cosiddetto «pensiero debole», una corrente filosofica che si era sganciata dai presupposti fondanti della filosofia classica. Al di là di ogni etichetta o definizione, inevitabilmente riduttive, Vattimo è stata una «personalità inquieta». Proponiamo il ricordo che ne ha fatto sul quotidiano online ilsussidiario.net Monica Mondo che l’ha conosciuto negli anni di studio all’università di Torino. Insieme, a 17 anni dalla sua scomparsa, segnaliamo un testo di Oriana Fallaci, pubblicato nei giorni scorsi da Libero, nel quale si sofferma sulle diverse età della vita affrontando anche il tema del suo rapporto con la morte. Un testo tutto da leggere che si conclude così: «Tutto, anche il dolore più infame, è meglio del nulla».
Il 2 settembre di cinquant’anni fa moriva John Ronald Reuel Tolkien. La sua opera più famosa, “Il Signore degli anelli”, secondo alcune statistiche è il secondo libro più letto al mondo dopo la Bibbia. A Tolkien ha dedicato un interessante articolo il Wall Street Journal, ripubblicato in Italia dal Foglio. Nel testo che proponiamo un rabbino sottolinea come per cogliere «l’incanto duraturo delle sue opere, è necessario comprendere una caratteristica centrale della sua vita: la sua fede cattolica». Una visione ispirata alla Bibbia che «ci chiede di vedere la storia attraverso la lente sia della provvidenza che del potere, poiché gli eventi riflettono la tensione tra la scelta umana e l’intervento divino». In Tolkien il fantasy non è fuga dalla realtà ma diventa espressione del massimo realismo.
Cinque operai travolti da un treno mentre lavoravano di notte sui binari. Quella accaduta a Brandizzo è una tragedia che lascia senza fiato. Di fronte a quanto successo suonano come voci stonate le polemiche di chi cerca pretesti per battaglie di altra natura e le dichiarazioni di chi invoca nuove norme, come se non bastassero quelle che già ci sono. Uno sguardo diverso ci arriva dall’articolo di Renato Farina su Libero del 6 settembre, che segnaliamo questa settimana, con le testimonianze che riporta e che da sole valgono più di qualunque discorso.
Riprende da oggi l’appuntamento domenicale con la newsletter «Fissiamo il pensiero». Nella miriade di informazioni da cui siamo bombardati noi vogliamo semplicemente offrire ogni settimana una proposta di lettura di un articolo o di un testo che riteniamo significativo come aiuto per vivere meglio e in modo più consapevole. Oggi segnaliamo l’intervista al quotidiano online ilsussidiario.net del politologo francese Olivier Roy in occasione del recente Meeting di Rimini. La sua è un’analisi molto acuta sul mondo in cui viviamo caratterizzato da un «livellamento» nel quale «non c’è più trascendenza, non c’è più mistero». Soprattutto «non esiste più un senso comune implicito e condiviso» e questo ha portato al venir meno dei legami sociali. A Roy perciò interessano realtà come Comunione e Liberazione o Sant’Egidio che si muovono in controtendenza in una «logica di creazione di legami sociali».
Quella di oggi è la nostra ultima newsletter prima della pausa estiva e vogliamo lasciare a chi ci segue un consiglio di lettura. Lo scorso 13 giugno, a quasi 90 anni d’età, è morto Cormac McCarthy, uno dei più grandi scrittori contemporanei. I suoi, scrive Enzo Manes in un articolo che ripercorre la sua opera, «sono libri pieni di tutto. Quindi di vita intera. Romanzi che vedono lontano e prima. Che respingono la facile consolazione. Perché la realtà va vissuta da uomini veri. In terra di confine. Su scomodi cavalli. Senza chinarsi alla rassegnazione. Perché con la vita si duella. Come nei western». Insieme riproponiamo un brano memorabile tratto da «Non è un paese per vecchi», uno dei romanzi più noti di McCarthy, come augurio a tutti di saper cogliere nelle piccole cose della vita la promessa di un destino buono per ciascuno.