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Violante: “Essere classe dirigente non è un privilegio, è una responsabilità”

  • Data 2 Gennaio 2018

Con lo sguardo rivolto alla campagna elettorale già iniziata nel nostro Paese, Luciano Violante ammonisce: “Essere classe dirigente non è un privilegio, è una responsabilità. Gli scranni di Montecitorio o di palazzo Madama non sono una ‘poltrona’; rappresentano anch’essi una responsabilità” (Da L’Osservatore Romano)

La campagna elettorale, come intreccio di promesse per il futuro e di giudizi per il passato, è cominciata in Italia da un paio di settimane. Si entrerà nel vivo subito dopo l’Epifania. Vista la coincidenza con questa data, potremmo chiedere a tutti coloro che competeranno, indipendentemente dal risultato finale, di impegnarsi per essere classe dirigente. È quello, forse, di cui più abbiamo sentito la mancanza. Una classe dirigente può essere tale sia se governa sia se sta all’opposizione. Esserlo significa indicare al paese una rotta e un approdo. Questo è mancato in Italia e in molti altri paesi occidentali.

Gli studiosi ci avevano insegnato che in tutto il secolo scorso la funzione dei più importanti partiti politici è stata quella di «incorporare le masse nello Stato». Milioni di persone che lo avevano sentito come nemico o, nella migliore delle ipotesi, come estraneo, erano state educate a partecipare alle scelte dello Stato e alla sua organizzazione attraverso il dibattito, il voto, la militanza, o la semplice appartenenza all’uno o all’altro partito. Questo è accaduto perché quei partiti erano stati capaci di indicare obbiettivi che prescindevano dal quotidiano e che proprio per questa capacità di proiettarsi nel futuro suscitavano speranze e fiducia. Se una o più forze politiche si impegnano per un futuro in cui ciascun cittadino possa costruire la propria vita e soprattutto quella dei propri figli, nascono la speranza, la voglia di impegnarsi e di costruire.

Questi sentimenti si sono indeboliti perché è progressivamente avvenuto un processo opposto a quello che ci avevano segnalato gli studiosi. Oggi sono i partiti che tendono a incorporarsi nelle masse. Seguire i sondaggi piuttosto che i progetti, perdersi nella ricerca della battuta più efficace per il talk show, ricercare il messaggio provocatorio del quale parleranno poi i quotidiani significa abdicare a una funzione dirigente e farsi dirigere dagli umori e dai sentimenti transitori dei cittadini piuttosto che dalla ragione e dalla capacità di progettare a vantaggio della intera nazione.

Essere classe dirigente non è un privilegio, è una responsabilità. Gli scranni di Montecitorio o di palazzo Madama non sono una “poltrona”; rappresentano anch’essi una responsabilità. Se si assumesse come compito della campagna elettorale prima e dell’azione politica poi la capacità di staccarsi dal contingente e di prospettare un disegno del futuro, nascerebbe anche un senso di speranza nella società e di fiducia nei confronti della politica.

Proprio per l’assenza di una classe capace di dirigere, la società si è frantumata passando dalle comunità intelligenti e inclusive a cerchi ristretti fondati sulla esclusione e sulla emozione. Dalla comunità alle tribù, si potrebbe dire. Ora sforziamoci di seguire il percorso inverso, dalle tribù alle comunità.

Qui entra in gioco un altro fattore, la ricostruzione della fiducia. Il sentimento di sfiducia generalizzata nei confronti della politica, a volte di irrisione, non è nato nella società; è nato nella stessa politica a partire dagli anni novanta quando molti, scimmiottandosi a vicenda, presentavano sé stessi, personalità politiche di rilievo in quel momento o nel recente passato, come espressione della società e non della politica, della quale parlavano addirittura con un senso di estraneità e di disgusto. Chi comprerebbe mai una torta da una pasticceria della quale i pasticceri che ci lavorano parlano male a tutte le ore del giorno?

La politica è essenzialmente una somma di comportamenti. I cittadini comuni con il voto e gli eletti con le loro scelte hanno il dovere di avviare giorno per giorno una fase nuova, caratterizzata dalla speranza e dalla responsabilità.

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