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Non farò mai l’insegnante

  • Data 3 Aprile 2018

Cosa vuol dire “educare”? Semplice addestramento alla realtà? No. Ecco la rubrica di Alessandro D’avenia, #LettiDaRifare: uno sguardo profondo sul mondo dei nostri adolescenti (Dal Corriere della Sera)

Cari professori, siete la categoria che più mi irrita. So già cosa state pensando: “i soliti adolescenti”, “questi giovani di oggi”, “non ci ascoltate mai”. Fermatevi. Capovolgete la situazione. Siamo noi ragazzi a pensare: “i soliti insegnanti”, “questi frustrati di oggi”, “non ci ascoltano mai”. La passione che trasmettete è pari a uno schiaffo. Magari alcuni professori vi hanno rovinato la vita. Posso capirlo. Perché allora non agire per contrasto? Trasmetteteci tutta la passione che avreste voluto ricevere. Guardateci negli occhi e scovate le scintille di vita e di talento. Sfidateci. Siate padri e madri. Semplicemente: siate! Cercate di cogliere la nostra individualità e diversità. Gli adolescenti non sono tutti uguali. Non sprecate energie nel tarparci le ali o dirci che non ne vale la pena, perché altrimenti penseremo che VOI non ne valete la pena. Non farò mai l’insegnante: questa è l’unica certezza che mi avete dato. La buona notizia però è che siete in tempo per cambiare e per cambiarci. Se lo farete sarete ricompensati. Noi vi seguiremo. Lo prometto». Qualche mese fa ho ricevuto questa impetuosa lettera che, al netto dei toni dettati dall’intransigenza adolescenziale, da un lato mostra il forte desiderio di maestri appassionati e affidabili da seguire senza la pretesa illusoria di poter crescere da soli, dall’altro mette il dito nella piaga della scuola: l’assenza di cura per l’unicità delle persone. Quella stessa cura che noi insegnanti fatichiamo a prestare perché, prima di tutto, non la riceviamo noi. Il fuoco che anima chi comincia con entusiasmo la professione viene puntualmente spento da un sistema che ottiene il contrario di ciò che si propone, come tradisce la sua iper-burocratizzazione, tipica delle strutture umane autoreferenziali e impersonali, in cui il tempo da dedicare alle vite viene sostituito da carte prodotte da chi in classe non entra.

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