Quella di oggi è l’ultima newsletter domenicale prima della pausa estiva, il nostro appuntamento settimanale riprenderà regolarmente a inizio settembre. Nell’augurarvi buone vacanze vi segnaliamo due testi ripresi dalla stampa di questi giorni su temi apparentemente molto diversi, ma in realtà molto collegati. Il primo è l’intervento a braccio fatto da Roberto Benigni in occasione del conferimento della laurea honoris causa da parte dell’University of Notre Dame, pubblicato sull’ultimo numero della rivista Vita e Pensiero. Un discorso appassionato dedicato alla figura della Madonna nell’arte attraverso l’incontro con tre capolavori (la Madonna del parto di Piero della Francesca a Monterchi, la Madonna dell’Annunciazione di Recanati di Lorenzo Lotto e la Madonna Sistina di Raffaello) per arrivare poi ai versi di Dante sulla Vergine Madre. È una testimonianza di come la nostra vita si nutra di bellezza e di come l’esperienza di questa ci consenta, più di mille discorsi, di cogliere la verità della nostra umanità che non può mai essere appagata da nulla che abbia la misura corta dei nostri calcoli, dei nostri progetti o delle nostre effimere soddisfazioni.
La seconda segnalazione è un articolo di Antonio Socci pubblicato da Libero sul fenomeno Taylor Swift. Il caso della cantante americana – scrive – «è esemplare e fa capire bene come funziona la macchina del desiderio mimetico, ovvero come si creano i miti (dello spettacolo e non solo) e come si affermano le mode (anche ideologiche). È una questione che non ha a che fare solo con il costume, con le canzoni o con la politica. Ma con la confezione sociale del prodotto, perché quella attrae la natura stessa dell’uomo. I nostri miti (ideologici, idolatrici) nascono dal contagio mimetico ma sempre deludono il nostro desiderio di felicità che è infinito».
L’attentato a Trump è solo l’ultimo colpo di scena della campagna per le presidenziali Usa. Fino al voto di novembre c’è da prevedere uno scenario carico di sorprese. Per questo …
Giovedì 11 luglio era il giorno di San Benedetto. Esattamente cinquant’anni fa San Paolo VI l’ha proclamato patrono d’Europa. Lo vogliamo ricordare perché la nostra fondazione, di cui porta il nome, è nata e opera nel solco dell’esperienza di quest’uomo vissuto 1500 anni fa. Un uomo che senza aver pianificato o progettato nulla, sulle ceneri dell’impero romano distrutto dalle invasioni barbariche, diede vita a quella nuova civiltà da cui ha avuto origine l’Europa giunta fino a noi. Abbiamo pensato di riproporre due brevi testi di John Henry Newman, il grande pensatore inglese proclamato santo nel 2019, e di Alasdair MacIntyre, filosofo scozzese di formazione marxista che ha poi abbracciato il cattolicesimo, che meglio fanno comprendere come la figura di San Benedetto sia tutt’altro che un’icona che appartiene al passato. Oggi le condizioni esterne, sociali, politiche, economiche, sono profondamente diverse da quelle del VI secolo, ma non lo è la sostanza del problema: assistiamo al venir meno della speranza e a un impressionante dilagare della solitudine che vede le persone sempre più isolate, più facilmente manipolabili e in balia del potere di turno. In questa situazione la presenza di luoghi, di persone, di comunità, dove la vita e l’esperienza di ciascuno possano ritrovare uno sguardo di simpatia e una possibilità di senso, appare come la necessità più urgente. La Fondazione San Benedetto, nel suo piccolo, si è fatta carico di questo compito guardando alle persone reali, non al consenso sociale, attraverso esempi di positività utili a tutti. Proprio sulle orme di questo grande santo.
Il pensiero della morte e cosa c’è dopo, l’anima e la resurrezione dei corpi, il Paradiso e l’Inferno, la presenza del male e la speranza. Argomenti di cui normalmente si evita accuratamente di parlare. Sono i temi affrontati invece in un’ampia conversazione a tutto campo tra il vicedirettore del Corriere Antonio Polito e il cardinale Camillo Ruini, recentemente pubblicata sul settimanale Sette. Invitandovi a leggerla con attenzione, vi anticipiamo questa risposta di Ruini al giornalista che gli chiede come spiegare, se la promessa di una vita eterna rende certamente migliore anche la vita terrena, il declino della fede cattolica in Occidente: «Sa, la speranza è un bene se qualcuno ci crede… Per la cultura europea, Feuerbach, Nietzsche, Marx, è invece un’illusione. Per loro l’umanesimo è ciò che l’uomo può realizzare con le sue forze limitate. Eppure noi siamo animati da un desiderio illimitato di infinitezza e di conoscenza. È un desiderio naturale e se un desiderio è naturale non può essere vano. Quello che sta accadendo in Europa – continua Ruini – è il declino della speranza. Così si torna al paganesimo, a una società meno fiduciosa in sé stessa, e dunque meno capace di grandi imprese. E che ha ripreso a credere negli idoli: quanti ne vediamo di nuovo in giro di questi tempi!»
La cronaca degli ultimi giorni è stata segnata dall’agghiacciante uccisione di un sedicenne a Pescara. Al di là della ricostruzione dell’accaduto e dell’impatto emotivo superficiale che una notizia del genere inevitabilmente suscita per poi tornare altrettanto rapidamente ad anestetizzarsi con le solite distrazioni, vogliamo provare a soffermarci su cosa un fatto come questo dica alla nostra vita. Ci si chiede come sia possibile questa assurda esplosione di violenza seguita dall’indifferenza con cui dopo aver ucciso si va in spiaggia a farsi un bagno. In un’intervista al Corriere la madre di un’amica di uno dei ragazzi fermati per l’omicidio ha detto: «Credo che a quel ragazzo nessuno abbia trasmesso nulla». Forse qui sta il problema. Su questo vi proponiamo la lettura dell’articolo di Marina Corradi pubblicato su Avvenire. L’avvocato di uno dei ragazzi accusati del delitto ha dichiarato: «Non ci sono ricette, non ci sono segreti. Il mestiere di genitore è semplicemente un mestiere impossibile, nel quale occorre avere fortuna. Non si dica che mancava il controllo dei genitori, perché non è vero. I miei clienti vigilavano sul loro figlio. Chi può giudicare? La fortuna, ripeto, è tutto». Per Corradi siamo di fronte a «parole che fanno trasalire». Se tutto dipende dalla fortuna, dal caso, più nessuno allora veglia sul destino dei figli, non c’è alcun Dio che abbia a cuore i nostri figli? «Quale dirompente modernità – si chiede – ha creato questa forma mentis annichilente, per cui siamo niente, una pallina sulla roulette?». Possiamo rassegnarci a questo?
Cosa vuol dire essere italiani? Ha ancora senso parlare di identità nazionale in un paese che spesso appare sempre più sfilacciato e diviso fra contrapposizioni che sembrano più forti di qualunque coscienza di un destino comune? Su questo tema nella nostra newsletter settimanale oggi vogliamo proporvi la lettura dell’articolo di Susanna Tamaro pubblicato nei giorni scorsi sul Corriere della Sera. Le sue considerazioni nascono dalla sua esperienza personale ma vanno oltre arrivando a riscoprire le tracce di un’identità che affonda le sue radici in una storia carica di grandezza, di bellezza e di gusto della vita. «Siamo stati per secoli il sogno dell’Europa – sottolinea la scrittrice -, lo saremmo ancora se riuscissimo a vincere la faziosità, l’infantilismo e l’idea che chi grida più forte o dice frasi più offensive abbia il diritto di imporsi sugli altri, offrendo l’immagine di un Paese in balia di ripicche umorali e campanilismi da bar che non rendono onore alla grandezza dell’Italia e alla sua storia».
Si è chiuso da pochi giorni l’anno scolastico e mercoledì inizieranno gli esami di maturità. Spesso la scuola e i ragazzi che la frequentano finiscono sotto i riflettori per le situazioni problematiche, che certo non mancano, o per gravi episodi di cronaca, ma non possiamo accettare che questa sia l’unica narrazione. Semplicemente perché non rappresenta la realtà. Lo documenta in modo singolare e autentico quanto ha scritto ai suoi compagni Francesco, uno studente di Brescia, al termine di cinque anni di vita condivisa, giorno dopo giorno, sui banchi di scuola. Nel testo emerge una coscienza della realtà matura e positiva. Si coglie un senso delle relazioni con gli altri e del tempo che abbiamo a disposizione che con semplicità esprime qualcosa di estremamente vero. «Mi siete entrati nel cuore – scrive Francesco -, c’è poco da dire, mi avete permesso di riscoprire emozioni che ormai credevo perdute, di riscoprire come ci si sente a casa quando non lo si è. Mi guardo attorno e mi rendo conto che queste pareti, questi corridoi, questi momenti non sono più scontati». Questa consapevolezza vale molto di più di qualunque titolo di studio perché è la condizione per ogni vera conoscenza. Possiamo dire che è la vera prova di maturità. Ed è un motivo di speranza che possa farsi strada in un diciottenne che frequenta le nostre scuole, dove gli insegnanti (insieme agli infermieri e alle badanti) sono i veri eroi del nostro tempo.
«Io sono fatto degli stessi elementi di un microfono, di un tavolo, di una sedia, di un orologio, di un pc, ma sono in grado di dire io, di dire tu, di chiedere perché ci sono, perché ci sei, perché una determinata cosa mi sembra giusta oppure ingiusta. Siamo il livello in cui qualcosa, fatto con gli stessi ingredienti fisici dell’orologio, del microfono, diventa cosciente di essere; l’uomo è il livello in cui la natura diventa cosciente di sé. La luna non lo può fare. Siamo noi la voce della luna, delle stelle, delle cose, la voce del cosmo che esprime questa domanda, che esprime questa curiosità. Emerge dopo 14 miliardi di anni una voce come il vertice della creazione, siamo noi, pur così effimeri». A parlare è l’astrofisico italiano Massimo Robberto, uno dei responsabili del telescopio spaziale James Webb, lanciato dalla Nasa il 25 dicembre 2021, orbitante a un milione e mezzo di chilometri dalla Terra, e che a partire da luglio 2022 ci ha regalato nuove splendide immagini a colori di galassie lontanissime. Galassie che si sono formate circa 300 milioni di anni luce dopo il Big Bang, cioè dalla nascita dell’universo. Nella bellissima intervista rilasciata al quotidiano online ilsussidiario.net, di cui vi proponiamo la lettura questa settimana, Robberto illustra l’enorme passo avanti nella conoscenza dell’universo fatto grazie al nuovo telescopio e gli obiettivi del progetto, nella consapevolezza di trovarsi di fronte a un grande mistero. Un mistero in cui la realtà si svela come cosmo con un presentimento di ordine e bellezza davanti ai quali scatta lo stupore. «Sostanzialmente – spiega l’astrofisico -, non conosciamo il 96% delle cose che costituiscono l’universo, il creato in cui viviamo. Ma il mistero non è l’inconoscibile, è quello che si fa scoprire un passo alla volta, senza esaurirsi. Ogni volta che troviamo una risposta, la realtà ci apre a nuove domande. Perciò, il mistero è qualcosa che non smetti mai di scoprire, ci svela sempre qualcosa in più e, aprendo sempre nuove domande».
È stato il più grande statista italiano, anche se oggi pochi se ne ricordano. Ad Alcide De Gasperi, di cui nel prossimo agosto ricorreranno i 70 anni dalla morte, Antonio Polito ha voluto dedicare il suo ultimo libro, uscito da pochi giorni e significativamente intitolato «Il costruttore» (Mondadori). Sì perché proprio a lui l’Italia deve la sua rinascita dopo gli orrori e la distruzione della dittatura e della guerra. A lui deve la democrazia, un bene tutt’altro che scontato se solo guardiamo quanto sta accadendo anche adesso nel mondo. Ci pare importante sottolinearlo oggi nel giorno in cui si celebra la festa della repubblica. A Polito, giornalista con una formazione e una storia di sinistra, leale con la storia e la verità, va il merito di aver riscoperto la figura di De Gasperi, troppo presto rimossa dal suo stesso partito. Quella Democrazia Cristiana di cui lui aveva intuito la trasformazione contro la sua volontà nell’emblema della «repubblica dei partiti», un contenitore di potere che qualche decennio dopo sarebbe imploso su se stesso. Tornare a De Gasperi, primo e unico premier forte della repubblica, significa ritrovare la vera politica che sa costruire e che appare un bene sempre più scarso. L’opposto dello spettacolo avvilente a cui assistiamo tutti i giorni a cominciare dalle cronache dei telegiornali. Oggi, sottolinea Polito, c’è «chi vuole rottamare, chi promette di asfaltare, chi minaccia di usare la ruspa. I politici dei nostri giorni amano distruggere, annunciano di voler abbattere l’edificio del passato, anche se di solito finiscono per abbattersi da soli». Non ultimo, a De Gasperi si deve, con Adenauer e Schuman (tutti e tre cattolici), la nascita dell’Europa. Fu lui tra l’altro uno dei principali propugnatori di quella Comunità europea di difesa (poi mai realizzata per l’opposizione della Francia) di cui adesso si torna a parlare insistentemente. Si chiama lungimiranza, e val la pena ricordarlo alla vigilia del voto per il Parlamento europeo. Su tutti questi temi vi invitiamo a leggere anche il dialogo di Maurizio Crippa con Antonio Polito pubblicato sul Foglio in occasione dell’uscita del suo libro.
È un’America sempre più polarizzata quella che si sta preparando alle elezioni presidenziali del prossimo novembre con scenari al momento ancora molto incerti. Giovedì se n’è parlato nell’incontro promosso dalla Fondazione San Benedetto al Centro Paolo VI di Brescia con gli interventi molto apprezzati per lo spessore e la qualità dei contenuti di Marco Bardazzi, giornalista, che sta seguendo la campagna elettorale americana per Il Foglio, e autore del libro «Rapsodia americana» (Rizzoli), e di Lorenzo Pregliasco, direttore del web magazine di analisi di dati YouTrend.
È stato un incontro di grande interesse per conoscere da vicino cosa sta succedendo negli Stati Uniti e capire come questo ci riguardi molto più di quanto si potrebbe a prima vista pensare. Diversi dei numerosi presenti in sala ci hanno espresso il desiderio di approfondire gli argomenti trattati, considerando anche che nei prossimi mesi potremmo assistere a sviluppi, al momento imprevedibili, della campagna elettorale americana. Raccogliendo queste sollecitazioni siamo perciò già in grado di anticiparvi che tra fine settembre e inizio ottobre, a Brescia proporremo un nuovo incontro sempre dedicato alle presidenziali Usa con l’intervento degli stessi relatori, che si sono già resi disponibili e che per questo ringraziamo. Ci potranno così fornire un quadro aggiornato sulle ultime fasi della sfida elettorale. Vi terremo aggiornati. Di seguito trovate una sintesi di alcuni dei principali spunti emersi nell’incontro di giovedì. Nei prossimi giorni potrete trovare online sul nostro sito il video integrale del dibattito. Intanto vi segnaliamo che a questo link è già possibile rivedere l’incontro sulle elezioni europee del 16 maggio scorso con Ferruccio de Bortoli, Mario Mauro e Romano Prodi.
Giovedì in un’aula magna del Centro Paolo VI gremita di pubblico, con una seconda sala videocollegata, si è svolto a Brescia il primo dei due incontri dedicati alle elezioni europee e alle presidenziali americane promossi dalla Fondazione San Benedetto. Nei prossimi giorni sarà disponibile online sul nostro sito il video dell’incontro che ha visto, sollecitati dalle domande del presidente della San Benedetto Graziano Tarantini, gli interventi di Ferruccio de Bortoli, Mario Mauro e Romano Prodi. In apertura Francesco Amarelli, un giovane della fondazione, professionista e padre di famiglia, ha letto un volantino in cui è stato riassunto il lavoro svolto nei mesi scorsi per conoscere da vicino l’Unione europea e le nostre preoccupazioni in vista del voto dell’8 e 9 giugno.
Il volantino è stato distribuito a tutti i presenti al termine dell’incontro insieme a un opuscolo con il discorso storico di Aleksandr Solzenicyn all’Università di Harvard nel 1978 dedicato alla crisi dell’Occidente. Di seguito trovate un resoconto dei passaggi salienti dell’incontro per poter «fissare il pensiero» sui tanti spunti di riflessione proposti dai tre relatori, un’occasione per continuare il lavoro iniziato. Prima però vi ricordiamo che giovedì 23 maggio alle 18, nella Sala Morstabilini del Centro Paolo VI in via Gezio Calini 30, si svolgerà il secondo incontro dedicato alle presidenziali americane con gli interventi di Marco Bardazzi, giornalista e autore di «Rapsodia americana», e Lorenzo Pregliasco, analista politico, co-fondatore e direttore di YouTrend. Per chi non si fosse ancora registrato per partecipare può farlo cliccando su questo link.
Giovedì scorso a Milano nella basilica di Sant’Ambrogio si è aperta con la prima sessione pubblica la fase testimoniale del processo per la beatificazione e la canonizzazione di don Luigi Giussani, il sacerdote milanese fondatore di Comunione e Liberazione, morto nel 2005. Un momento significativo anche per la storia della nostra fondazione che è nata proprio dall’iniziativa di alcune persone colpite e affascinate dal carisma di don Giussani. Su questo avvenimento segnaliamo l’articolo pubblicato sul Foglio dal vicedirettore Maurizio Crippa. «Guardando la vita di Giussani, e l’avvenimento di vita da lui generato, – scrive – la cosa più evidente, se non un miracolo, è indubbiamente questo “fascino”, per usare la parola dell’arcivescovo di Milano Delpini, questo “spettacolo” di “vita nuova” scaturito. E spesso in contesti in cui il cristianesimo sembrava destinato a deludere le donne e gli uomini del nostro tempo». Nell’articolo Crippa ricorda l’ultima intervista di Giussani al Corriere quando, poco prima di morire, «aveva ripetuto che la fede “è una vita e non un discorso sulla vita”». E proprio «la stoffa di don Giussani ha reso possibile a migliaia e migliaia di persone di sperimentarlo. Qualcosa che può interessare, oggi», a tutti.