Il ricordo del papà di Bea: «Otto anni meravigliosi. Abbiamo riso anche della malattia»
Alessandro Naso racconta l’incredulità dopo la prima diagnosi e la vita tutti i giorni fino all’ultima crisi (Dal Corriere della Sera di Paolo Coccorese e Marco Imarisio)
«Cosa volete che vi dica. Mi viene in mente solo che sono stati otto anni meravigliosi e brevi». Un appartamento al decimo piano di un palazzo popolare nella periferia nord. La vista dal balcone è sulle insegne luminose del supermercato Il Gigante. Alessandro Naso toglie dalla spalliera di una sedia il piumino argento di Bea. Per fare strada agli ospiti sposta la sua carrozzina. In mezzo al tavolo c’è ancora la sua colazione di lunedì, l’ultimo giorno a casa. Il budino alla vaniglia, lo voleva solo di una certa marca. La lattina di Pepsi che consumava un sorso al giorno. «Aveva pochi giorni quando ci accorgemmo che c’era qualcosa che non andava. Le mani. Erano chiuse a pugno. Non riusciva ad aprirle».