La povera voce del Venerdì Santo
Sforzarsi di avere un “pensiero positivo” davanti alla drammaticità della vita non può bastare. E’ al massimo un commovente sforzo volontaristico (Da ilsussidiario.net di Giorgio Vittadini)
“Io credo soltanto che tra il male e il bene è più forte il bene, bene, bene, bene, bene”, diceva una canzone di Jovanotti degli anni Novanta. Il mantra del pensiero positivo si è poi diffuso più che mai in tempi grami come questi. Empatia, grinta, responsabilità, stabilità emotiva, esperienza personale, flessibilità, creatività vanno molto di moda, anche nel mondo del lavoro. Senza dimenticare altre cose giuste come un po’ di volontariato, di generosità, di bontà per salvare il pianeta sovrappopolato, inquinato, diseguale… Il tutto parla di un’aspirazione al bene, per fortuna, ma confusa. Infatti il pensiero positivo “passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa passando da Malcom X attraverso Gandhi e San Patrignano”, sempre secondo la canzone citata. Insomma, tutto e il suo contrario. E’ commovente lo sforzo volontarista, ma il fatto è che per quanto si scavi nell’umano e si tiri fuori tutta la positività che contiene, non potrebbe mai bastare a soddisfare quello che si desidera. L’animo umano è un punto infiammato, un desiderio indomito e infinito. E’ un “cuore urgente”.