Nostalgia
La lectio dello psichiatra: ciò che è“nostalgico” non è solo fonte di malattia ma ricordandoci il passato è sorgente di speranze smarrite (Da Avvenire di Eugenio Borgna)
La prima parte delle mie riflessioni è dedicata alla fenomenologia, ai modi di essere, della nostalgia. La nostalgia è una condizione di vita alla quale non si può, e non si dovrebbe, non andare incontro negli snodi infiniti della vita, e che ha a che fare con la memoria, che è l’archivio dei ricordi felici e infelici, arcani e dolorosi, fragili e crudeli, effimeri e ostinati, e con il tempo, con il tempo dell’orologio e della clessidra, certo, ma soprattutto con il tempo interiore, con il tempo dell’io, che si è venuto articolandonel passato.La nostalgia, da algos, dolore, enostos, ritorno, ha infinite scansioni tematiche che si intrecciano le une alle altre, e che vorrei analizzare e descrivere sulla scia delle risonanze che destano nella nostra vita interiore. Ma parlare di interiorità è avviarsi lungo il cammino non facile e doloroso della conoscenza di sé, interrogare i modi di questa conoscenza, e le loro relazioni con la conoscenza degli altri, e confrontarsi con le emozioni e le passioni che sono state, e sono, in noi. La nostalgia, la nostalgia ferita dal dolore della solitudine e della patria perduta, quando l’anima si fa straniera sulla terra, come dice Georg Trakl, il grande poeta austriaco, che una straziata follia ha portato al suicidio, ci aiuta a vivere, a vivere meglio il presente, e ci fa guardare al passato, a quello che è vivente in noi del passato, recuperandone le immagini, e facendosi donatrice di senso. Ma la nostalgia ci aiuta (anche) a ricercare le emozioni e le esperienze perdute, a ritrovarle, e a ricreare il tempo vissuto nella sua unitaria circolarità di passato, presente e futuro, consentendo così di mescolare insieme esperienze dell’una e dell’altra fonte temporale, di interrompere l’egemonia del presente e del futuro, che riunendosi al passato salvaguardano la reciproca autonomia e la reciprocainterdipendenza.Non c’è solo la nostalgia che fa male, la nostalgia che si fa talora malattia, ma c’è anche la nostalgia che fa rinascere in noi un passato che sarebbe altrimenti perduto per sempre, e che è sorgente di speranze smarrite, di immagini e di paesaggi, di sorrisi e di gesti, che hanno riempito di sé le stagioni della nostra vita: della nostra infanzia e della nostra giovinezza. Così noi viviamo, e ogni volta diamo l’addio a qualcosa di noi che la nostalgia misteriosamente ci consente di ritrovare. La nostalgia cosa ha a che fare con la paura? A questo tema vorrei dedicare la seconda parte delle mie considerazioni. Fra le possibili paure, quelle quotidiane, e quelle sociali, quelle normali, e quelle patologiche, una delle più frequenti e delle più ignorate è la paura a guardare dentro di sé: la paura a seguire il cammino misterioso che, lo diceva Novalis, porta all’interno: alla nostra interiorità. Ma perché una paura, come questa, così apparentemente banale e astratta, ci spaventa, e dalla quale cerchiamo senza sosta di fuggire? Temiamo di incontrare, e di subire il fascino di un passato, che la nostalgia fa rinascere dal silenzio e dall’oblio, recuperando aree perdute di una memoria ferita, e temiamo di avere vissuto in passato paure non diverse da quelle che, oggi, ci allontanano dagli altri, dalle donne e dagli uomini, dai bambini, che giungono da terre lontane, fuggendo dalla violenza e dalla disperazione, dalla malattia e dalla morte. Temiamo di essere chiamati a riconsiderare il valore e il senso delle fragilità che sono in noi, e che ci spaventano negli altri. Nell’ininterrotto eracliteo fluire del tempo dimentichiamo facilmente, e ne abbiamo paura, quelle che sono state le nostre debolezze, le nostre ferite sanguinanti, le nostre angosce, e la nostra disperazione, che rifiutiamo negli altri; e ricadiamonella indifferenza che è la sorgente del male: del male che si vede, e del male che non si vede. La paura dell’altro, la paura della diversità, è (anche) paura della follia che è in noi, come in noi sono la fragilità, e il desiderio di essere ascoltati nelle ore del dolore, e della solitudine, che la nostalgia fa rinascere facendoci sentire talora in colpa. Sì, si ha paura di ascoltare la fragile voce di una coscienza di colpa che i sentieri interrotti e rapsodici della nostalgia, silenziosa e fragile mediatrice di ascolto, trascinano con sé. Quello, che ha scritto sant’Agostino, in interiore homine habitat veritas,continua a destare grande paura: una paura che non è immagine delle infinite paure psicopatologiche e sociologiche, ma che ne è forse una fonte segreta. La psichiatria non si esaurisce nel fare diagnosi e nel somministrare farmaci, ma è alla febbrile ricerca di quello che si nasconde nella vita esteriore, nelle paure che portano alla negazione del valore e della dignità delle persone più deboli e indifese, che non hanno nemmeno le parole che consentano di dare voce al loro dolore con le conseguenti ferite dell’anima che Shakespeare ha descritto nel Macbeth. La psichiatria guarda alle paure, che ogni giorno divorano l’esistenza di molti fra noi, come modi essere e modi di comportamento mai ricondotti alla loro più profonda ragione d’essere che è quella di essere forme di estraneazione, e di reificazione, dell’altro da noi.
La nostalgia è insomma ardente e misteriosa restaurazione di un passato perduto nel quale si riflettono fragili tracce di luce e di speranza che ridanno un senso alla vita come continuità di esperienze; ma è possibile (forse) ripensare a questo proposito a quello che ci dice sant’Agostino, e cioè che la speranza, la goethiana stella cadente, non è se non memoria del futuro: splendida metafora che ci induce a riconsiderare la nostra vita alla luce degli infiniti sconfinamenti dal passato al futuro, e da questo a quello. Compito delle famiglie e delle scuole dovrebbe essere quello di educare a guardare senza timore dentro di sé, e a riscoprire quello che ci unisce, e non solo quello che ci divide, dagli altri. Forse è possibile consegnare alla nostalgia una funzione maieutica nel fare rinascere dal passato, dalla infanzia e dall’adolescenza in particolare, forme di vita perdute che rinascano nella vita adulta: animandola di speranze e di slanci altrimenti irraggiungibili. Ma non dovremmo avere paura di inoltrarci negliabissi della nostra interiorità.
Non c’è solo quella che fa male, ma anche quella fiduciosa nel potere del ricordo Il compito del terapeuta non si esaurisce nella diagnosi e nel somministrare farmaci, ma nella febbrile ricerca di quello che si nasconde nella vita esteriore, nelle paure che portano alla negazione della dignità delle persone più deboli e indifese.
(“I Dialoghi” si tengono nello scenario di Trani, impreziosita dalla sua splendida Cattedrale)