Quel distacco tra conoscenza e affetto
(Da L’Osservatore Romano, di Costantino Esposito)
Per poter conoscere le cose c’è bisogno di amarle. Uno sguardo di affezione è richiesto anche quando usiamo la nostra intelligenza come una mera procedura di calcolo. Questa dimensione affettiva non va intesa però come un’aggiunta “sentimentale” o come un’emozione soggettiva rispetto alla fredda constatazione dei dati oggettivi della realtà. Al contrario, quell’affezione costituisce la motivazione di fondo in ogni nostro atto conoscitivo, un’apertura della nostra mente che cerca il senso delle cose. Possiamo descriverla come un’“attrazione” che la realtà — le cose, le persone, la natura, gli eventi — esercita sempre sul nostro io, chiamandolo e sfidandolo a un viaggio di scoperta. Ma la questione non è automatica, perché ha a che fare con la nostra libertà: il punto critico è se noi accettiamo o decliniamo questo invito del reale, e se dunque assecondiamo o mortifichiamo quest’affezione originaria all’essere.