Voto incerto negli Usa divisi
«Quando ventisei anni fa ho lasciato Pesaro per trasferirmi negli Stati Uniti il presidente era il garante dell’unità nazionale, una volta eletto era il rappresentante di tutti. Oggi non è più così. Il tasso ideologico è aumentato moltissimo e il paese è profondamente spaccato». Riro Maniscalco è un conoscitore dell’America profonda. A questa da italiano trapiantato negli Usa alcuni anni fa ha dedicato anche un libro intitolato «Mi mancano solo le Hawaii». A 65 anni dopo aver vissuto per oltre 25 a New York, si è spostato nel Minnesota. Da là, nel cuore del Midwest, dove in questi giorni è già arrivata la prima neve, si è collegato venerdì sera per un dialogo organizzato dalla Fondazione San Benedetto in vista delle elezioni presidenziali e all’indomani dell’ultimo confronto fra i due sfidanti, Donald Trump e Joe Biden.
«Al di là dei sondaggi il risultato è apertissimo, ci sono una marea di incerti. Io stesso ho ancora il ballot (la scheda elettorale) sulla scrivania e non ho ancora deciso cosa fare. Già 40 milioni di americani si sono espressi col voto postale, un numero altissimo. E per la prima volta si sente parlare della possibilità di brogli elettorali. Ad aggiungere preoccupazione al quadro generale c’è il fatto che gli americani non provano particolare entusiasmo per nessuno dei due candidati», ha spiegato Maniscalco. Proprio questa mancanza di entusiasmo verso i due candidati è forse il dato che carica di incognite la sfida elettorale dentro un paese fortemente lacerato. «Trump non ha alcun interesse all’unità nazionale, è divisive, se non fosse così sin dal primo giorno dopo la sua elezione si sarebbe preoccupato di conquistare l’altra metà del paese che non l’aveva votato. Bisogna però essere consapevoli che Trump non è spuntato fuori dal nulla. È l’esito di un processo di ideologizzazione che ha investito gli Usa e che ha avuto il suo apice con la presidenza di Obama. Un processo che ha trasformato l’avversario politico in nemico. In fondo Trump è la risposta di una certa America dimenticata che vuole riconquistare il suo spazio. Ci sarebbe da chiedersi quanti sono i cripto-elettori di Trump che non ne possono più della politica correctness e che pubblicamente non ammetterebbero mai di aver votato per lui».
Dall’altra parte, Biden potrebbe essere la carta dell’America cosiddetta giovane ma «in realtà – sottolinea Maniscalco – non c’è alcun entusiasmo per candidati come lui. È votabile solo perché si ha in odio l’attuale presidente e si teme per il bene del paese, ma non si può dimenticare la violenza ideologica dell’establishment del partito Democratico: incarna l’idea di uno Stato che viene a dirmi chi essere, cosa fare, come tirare su i figli, come curarmi, come difendere ciò che ho costruito. Siamo dunque chiamati a scegliere tra l’illibertaria ideologia democratica e la prepotenza di Trump che spacca il Paese». Insomma due espressioni politiche in apparenza opposte, in realtà molto simili nella loro incapacità di ascoltare l’altro, di accoglierne bisogni ed esigenze, di immaginare creativamente un nuovo volto oggi per il sogno americano.
QUANTO al bilancio della presidenza uscente non si può certo dire che Trump non abbia fatto. «È stato forse il presidente più attivo degli ultimi decenni ma il prezzo pagato è stata la lacerazione del paese. Si sono approfondite le fratture che erano latenti. Giustificata dall’esigenza di favorire il business abbiamo assistito a una gestione disastrosa dell’epidemia o alla costruzione di un muro ai confini del Texas con la separazione di centinaia di minori immigrati dalle loro famiglie. Contraddizioni e prepotenze sono state un carattere distintivo della sua presidenza. Basti considerare – ha aggiunto Maniscalco – che di tutti i collaboratori di cui si era attorniato all’inizio del suo mandato nessuno è rimasto. Uno alla volta sono stati fatti fuori tutti». Del resto è solo lui a fare o disfare. Questo è il personaggio e lo si è visto anche nell’ultimo confronto elettorale con Biden di giovedì. «Nessuno dei duellanti ha detto nulla di veramente nuovo – ha spiegato Maniscalco -, ma anche un ascoltatore un po’ distratto o scarsamente preparato è riuscito a capire che meglio o peggio che siano le proposte dei due l’unico convincente è Trump come quando rivolgendosi a Biden gli ha detto: “Sei stato Vicepresidente per otto anni e non hai fatto nessuna delle cose che stai promettendo di fare…”. E non è questione di “verità”. Quante ne ha dette Trump rispetto al virus? Eppure basta un suo “non possiamo chiuderci nello scantinato come fa Joe” per fargli conquistare tre quarti del palcoscenico… E nella sua mania di onnipotenza, parlando di rapporti razziali è arrivato persino a dire che “forse l’unico che ha fatto qualcosina più di me per la comunità di colore è stato Abraham Lincoln… forse”. Eppure in qualche modo è sempre lui a prevalere, mentre Biden un po’ alla volta sembra perdere energia».
Quanto alla contestata nomina della conservative Amy Barrett come giudice alla Corte suprema Maniscalco non vede alcuna forzatura, rientra appieno nel sistema di Checks and Balances previsto dalla Costituzione americana. In passato ci avevano provato anche i democratici con Obama a nominare un giudice della loro area ma poi in Senato non era passato. «Se questa volta passerà è perché ci sono i numeri per farlo, ma è normale».
A poco più di una settimana dal voto rimane dunque una grande atmosfera di incertezza che i due candidati non sembrano in alcun modo essere in grado di dissipare.
di Piergiorgio Chiarini
Bresciaoggi, 25 ottobre 2020