• Chi siamo
  • Attività
  • Video
  • Archivio
  • Sostienici
  • Statuto
  • Organi
  • Contatti
Email:
info@fondazionesanbenedetto.it
Fondazione San BenedettoFondazione San Benedetto
  • Chi siamo
  • Attività
  • Video
  • Archivio
  • Sostienici
  • Statuto
  • Organi
  • Contatti

Fissiamo il Pensiero

  • Home
  • Fissiamo il Pensiero
  • Meno antidepressivi, per favore

Meno antidepressivi, per favore

  • Data 31 Gennaio 2021

Come due guardiani centenari fatti di legno e fronde, il tiglio e il castagno presidiano il viale che porta alla villetta Borgna, a Borgomanero di Novara. Eugenio Borgna, voce eminente di quella psichiatria che dialoga con la filosofia, vive da sempre in questa casa dove i destini personali si sono intrecciati con la Storia.

Professore, è questa la dimora che la sua famiglia dovette abbandonare dopo l’armistizio del 1943?

«Sì, mio padre era entrato nella Resistenza e mia madre, con coraggio, riuscì a portare in salvo i suoi sei figli a Grassona, sul lago d’Orta. Il maggiore aveva 14 anni, il minore solo tre mesi. Quando tornammo qui, dopo la guerra, trovammo la casa ridotta ad un fortilizio abbandonato, semi distrutto dai militi in fuga. Ricostruimmo, con fiducia e pazienza».

Lei è appena entrato nel 91° anno e nel suo nuovo libro, «I grandi pensieri vengono dal cuore» (Raffaello Cortina), sovrappone quei giorni e il momento che stiamo vivendo.

«Soprattutto nella qualità del tempo. Un tempo congelato nel presente, paralizzato dalla paura e incapace di guardare al passato. Il passato, insegna Sant’Agostino, è sorgente di speranza perché rivitalizza zone della nostra vita apparentemente dimenticate. Una delle tante forme di impoverimento nate da questa pandemia è la sensazione di non vivere questi mesi o di aver bruciato l’anno appena trascorso. Nulla di più falso».

Sì, ma anche lei nei suoi libri ha riconosciuto più volte che siamo disabituati a guardarci dentro, cosa che potrebbe cambiare la percezione del tempo.

«È vero, ma questa potrebbe essere un’occasione per un cambio di passo. Non dobbiamo temere emozioni come la tristezza o la malinconia. Ho lavorato nel manicomio femminile di Novara e ho vissuto la stagione italiana delle reclusioni per “follia”. Uomini e donne, giovani e vecchi: bastava un’attenzione spiccata alla dimensione interiore, qualche domanda in più sul senso della vita per etichettare le persone come “malati mentali”. Oggi le cose sono diverse, ma la malinconia è ancora guardata con sospetto».

Si potrebbe dire che la malinconia o la tristezza siano viste come tendenze poco adatte alla vita che viviamo perché scarsamente produttive, data la loro natura puramente contemplativa?

«Dirò di più: vedo somministrare fiumi di antidepressivi a persone che stanno vivendo solo una condizione di malinconia. È questo il grande equivoco: una psichiatria che si limita alla farmacologia identifica ogni dolore dell’anima, ogni tristezza leopardiana con una malattia. Ho visto adolescenti sfiorati da fragilità e tristezza, del tutto normali alla loro età però seguiti con apprensione da genitori convinti che quella fosse sofferenza psichica. Ma guai a chi non ha mai conosciuto la malinconia: ha perso momenti di sensibilità».

Com’è nato questo suo approccio?

«Osservando. Sin dall’inizio, mentre mi specializzavo nella clinica delle malattie nervose e mentali all’Università di Milano. Allora predominava la neurologia, ma c’erano pure dei letti dedicati alla psichiatria. Veniva anche Gillo Dorfles che, prima di diventare famoso come critico d’arte, è stato medico psichiatra».

Professore, lei non ha mai nascosto le sue fragilità, anzi, ne ha fatto uno strumento terapeutico. Ci racconta questo corpo a corpo di vulnerabilità, le sue e quelle dei suoi pazienti?

«Il poeta tedesco Friedrich Hölderlin diceva che “noi siamo colloquio”. Ecco, la cura è prima di tutto ascolto, è mettersi di fronte all’altro, intercettarne le parole. Ma anche un sorriso, una speranza. Persino il silenzio deve essere campo di ascolto e come psichiatra conosco tanti silenzi. A volte sono disperati. In questo ascolto, difficile ma emozionante, c’è una sacca di mistero: è un territorio friabile e bisogna sapersi abbandonare a qualcosa che vada oltre il razionale».

È in questa «sacca di mistero» che prende corpo la sua fede, una fede interrogativa, di un uomo di scienza?

«E che si nutre di parole. Per me hanno un senso profondo: nelle mie ricerche hanno sempre trovato spazio poeti, scrittori, filosofi. Sant’Agostino mi ha insegnato la qualità del tempo “vissuto”. Etty Hillesum mi fa riconoscere quello speciale silenzio eloquente che sa esprimere solo chi sta soffrendo. Il mio compito è decifrare la sofferenza, ascoltarla, anche quando diventa una muraglia».

In questi mesi, purtroppo, la morte è diventata un numero che accompagna i bollettini quotidiani della pandemia. C’è rischio di indurre un’indifferenza per assuefazione?

«Sì perché, paradossalmente, mentre si parla della tragedia del “morire in solitudine” in realtà migliaia di persone muoiono sotto gli occhi di tutti. Nei bollettini, in tv, sui giornali. E a morire non è più quella donna, quell’uomo, quell’individuo con una propria storia, un destino, dei sogni. Ma tutto diventa statistica o narrazione. Per carità, cose necessarie all’epidemiologia, però questo priva la morte del suo imprescindibile mistero. Poi ricordiamoci che quando parliamo della morte è sempre quella degli altri».

Questo ricorda il famoso passo del poeta latino Lucrezio sul guardare un naufragio da lontano: si prova angoscia ma anche una sorta di distacco.

«Attenzione quando si parla della morte. O della malattia stessa: vedo troppe diagnosi frettolose e senza appello. Ma una cattiva diagnosi può essere peggiore della malattia, anche perché una diagnosi si smonta difficilmente. Inoltre spero che da questa situazione si traggano lezioni utili a migliorare la qualità della nostra sanità pubblica».

Professore concludiamo con l’argomento più bello e difficile: oggi il tema della speranza è molto discusso, pensiamo solo al lavoro di Martha Nussbaum, però Eugenio Borgna ne parlava già cinquant’anni fa.

«E venni deriso: all’epoca il concetto era trattato con superficialità, accostato al facile ottimismo. Sbagliato. Marc Bloch diceva che la speranza è l’unico antidoto alla paura. Ma la speranza si nutre dei ricordi di cose passate che solo in apparenza si sono liquefatte. Grazie al ricordo rivivono e ci permettono di dare continuità alla nostra vita. Sennò vivremmo in un profetismo astratto o, peggio, incrostati nel qui ed ora. Allora coltiviamo il ricordo, rivitalizziamo il passato. Emily Dickinson scriveva: “Se io potrò impedire/ a un cuore di spezzarsi/ non avrò vissuto invano”. Spero che crescano sempre più medici capaci di fermarsi ad ascoltare».

Intervista di Roberta Scorranese

da La Lettura – 24 gennaio 2021

  • Condividi
piergiorgio

Articolo precedente

Politica: dopo 30 anni basta errori di prospettiva
31 Gennaio 2021

Prossimo articolo

L'effetto terapeutico della bellezza
7 Febbraio 2021

Ti potrebbe interessare anche

Un’alternativa europea alla legge del più forte
4 Ottobre, 2025

La gravissima situazione della Terra Santa, la guerra in Ucraina che non accenna a fermarsi, sono solo i due scenari più esplosivi per il loro carico di violenza insensata, morte e distruzione, alle porte di casa nostra, senza dimenticare quanto sta accadendo purtroppo in molti altri angoli del mondo dall’Africa ad Haiti, per arrivare al Myanmar, e di cui non si parla mai. Non è il tempo delle polemiche. Soffiare sul fuoco delle contrapposizioni in questa situazione è quanto di più sterile si possa fare. Diventano armi di distrazione di massa che impediscono di considerare le emergenze reali a cominciare da quelle delle popolazioni indifese che da Gaza a Kiev subiscono gli effetti della violenza. E la prima emergenza adesso è la costruzione della pace. Ci riconosciamo totalmente nel giudizio espresso nel volantino diffuso in questi giorni da Comunione e Liberazione che vi invitiamo a leggere. In tale contesto, crediamo che il compito dell’Europa, ancor di più oggi, sia decisivo per dar corpo a percorsi alternativi che non siano basati sulla legge del più forte. Come ha più volte sottolineato anche nelle ultime settimane il presidente Mattarella si tratta di «fare l’Europa per superare la logica del conflitto e delle guerre, per evitare l’oppressione dell’uomo sull’uomo, per ribadire la dignità di ogni essere umano, di ogni persona». Oggi questa è l’unica strada praticabile che abbiamo di fronte per dare un futuro alle nostre democrazie. Su questo come Fondazione San Benedetto proporremo nei prossimi mesi iniziative specifiche. Certamente l’Europa si trova di fronte a un bivio ineludibile: procedere verso una progressiva decadenza diventando irrilevante e tradendo le grandi promesse da cui era nata, oppure ritrovare una propria identità originale alternativa alle autocrazie che oggi dominano il mondo. Su questi temi vi invitiamo a leggere, come spunto di riflessione, l’articolo di Allister Heath, editorialista del quotidiano britannico The Telegraph.

Il perdono di Erika e la fede nello spazio pubblico
27 Settembre, 2025

Dopo l’assassinio di Charlie Kirk si sono innescate da fronti opposti contrapposizioni molto dure con episodi di violenza verbale, arrivando in qualche caso anche a giustificare quanto è successo. Respingiamo le strumentalizzazioni da qualunque parte provengano che diventano sempre una comoda cortina fumogena che impedisce di guardare la realtà. Ci interessano invece i fatti. E un fatto che senz’altro colpisce è quanto accaduto in occasione dei funerali di Kirk con il gesto di Erika, la vedova di Charlie, che ha pubblicamente perdonato il giovane che le ha ucciso il marito. Un gesto spiazzante, disapprovato dal presidente Trump, che trova la sua unica ragione nella fede in Chi ha detto «Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno», come ha detto Erika. È un fatto su cui riflettere, che zittisce letture sociologiche o visioni ideologiche, e pone la questione della presenza della fede nello spazio pubblico. Su questo tema vi proponiamo la lettura dell’editoriale di Giuliano Ferrara, pubblicato dal Foglio, per il quale non si può liquidare tutto come fanatismo. Il primo passo è cercare di capire il mondo nel quale viviamo senza paraocchi. Oggi l’Europa e l’America sono su due sponde opposte. «In Europa – scrive Ferrara – la laicità è laicismo, ideologia della separazione tra Chiesa e stato divenuta nel tempo esclusione della fede dallo spazio pubblico, fatto di procedure democratiche che si presumono ideologicamente neutre e impermeabili al credo personale e collettivo, accuratamente scristianizzate. In America è diverso, la laicità è la convivenza libera di ricerche di fedi diverse, alle quali lo stato garantisce la piena agibilità senza preferenze o esclusioni, con un riconoscimento simbolico e non solo simbolico, presente nella cultura di massa e nello spazio pubblico dagli albori della Repubblica americana, della centralità di Dio e dell’esperienza del trascendente nella vita personale e in quella della società». L’America senz’altro per molti aspetti oggi può inquietare le nostre coscienze «liberali», ma siamo sicuri che un’Europa che rinnega le proprie radici, in nome di una presunta neutralità ideale, culturale, morale, esaltando i soli diritti individuali, non rischi di implodere su se stessa? Si chiede Ferrara: «Può resistere e fortificarsi una democrazia che s’ingegna a considerarsi neutra, che esclude famiglia, fede e libertà come aspirazione collettiva invece che come emancipazione e teoria dei diritti individuali?». In particolare sul significato del gesto di Erika Kirk vi segnaliamo anche l’articolo di Pietro Baroni, pubblicato dal quotidiano online ilsussidiario.net: «Perché siamo tutti bravissimi – scrive – a gridare pace e ancor più frettolosi a schierarci dalla parte giusta, quella dei buoni che combattono i cattivi; ma nessuno ha più la forza di usare l’unica parola che può portare la vera pace: perdono».

La fuga da Gaza e l’assuefazione all’orrore
20 Settembre, 2025

L’ultima settimana è stata segnata dalle immagini dell’esodo forzato e disperato di centinaia di migliaia di profughi da Gaza dopo l’invasione dell’esercito israeliano, mentre continuano massacri e distruzioni e la popolazione è alla fame. Eppure anche di fronte a queste immagini drammatiche che ci arrivano ogni giorno a getto continuo, rischiamo spesso di assuefarci all’orrore, di atrofizzare la nostra sensibilità a favore dell’indifferenza come se dietro tutto questo non ci fossero volti e storie di persone reali, di uomini concreti con un nome e un cognome. Si arriva persino a farlo diventare oggetto di talk show dove urlare, scontrarsi e insultarsi per passare poi senza colpo ferire alla prossima puntata. Nella newsletter di oggi vogliamo proporvi due articoli sulla situazione di Gaza che ci testimoniano uno sguardo diverso, uno sguardo umano. Il primo è di Marina Corradi ed è tratto da Avvenire. Si sofferma sulle immagini dei profughi e di chi, avendo perso tutto, non ha più neppure l’istinto di fuggire. Immagini che in modo paradossale richiamano alla memoria altre tragiche evacuazioni come quelle dei ghetti ebraici. Il secondo articolo è un’intervista del Sole 24Ore a padre Francesco Ielpo, nuovo custode di Terra Santa e grande amico della San Benedetto: «Ho trovato – racconta – una situazione drammatica, mi verrebbe da dire disumana nella Striscia, e tanta sofferenza anche in Israele dove si vive in un clima di sospetto, una situazione di conflitto in cui le posizioni si estremizzano». Anche in queste condizioni la Chiesa non perde la speranza e non si stanca di lanciare appelli per la pace: «Noi continuiamo a credere che valga la pena – spiega padre Ielpo – perché è un appello sempre rivolto alle coscienze e quando poi le coscienze cambiano, quando cambia proprio anche la possibilità di intravedere una via diversa, più umana per risolvere le questioni, queste voci, magari non subito, avranno l’effetto che devono avere».           

Cerca

Categorie

  • Fissiamo il Pensiero
  • I nostri incontri
    • I nostri incontri – 2015
    • I nostri incontri – 2016
    • I nostri incontri – 2017
    • I nostri incontri – 2018
    • I nostri incontri – 2019
    • I nostri incontri – 2021
    • I nostri incontri – 2022
    • I nostri incontri – 2023
    • I nostri incontri – 2024
    • I nostri incontri – 2025
  • Mese Letterario
    • 2010 – I Edizione
    • 2011 – II Edizione
    • 2012 – III Edizione
    • 2013 – IV Edizione
    • 2014 – V Edizione
    • 2015 – VI Edizione
    • 2016 – VII Edizione
    • 2017 – VIII Edizione
    • 2018 – IX Edizione
    • 2019 – X Edizione
    • 2021 – XI Edizione
    • 2023 – XIII Edizione
    • 2024 – XIV Edizione
    • 2025 – XV Edizione
  • Scuola San Benedetto – edizioni passate
  • Tutti gli articoli

Education WordPress Theme by ThimPress. Powered by WordPress.

VUOI SOSTENERCI?

Siamo una fondazione che ha scelto di finanziarsi con il libero contributo di chi ne apprezza l’attività

Voglio fare una donazione
Borgo Wührer, 119 - 25123 Brescia
info@fondazionesanbenedetto.it

Resta sempre aggiornato

Iscriviti subito alla nostra newsletter per non perderti le attività e gli eventi organizzati dalla Fondazione San Benedetto.

Iscriviti

Sito Web sviluppato da Nida's - Nati con la crisi.

Copyright © Fondazione San Benedetto Educazione e Sviluppo

Mappa del sito | Privacy Policy | Cookie Policy

Sito Web sviluppato da Nida's - Nati con la crisi.

Privacy Policy | Cookie Policy