• Chi siamo
  • Attività
  • Video
  • Archivio
  • Sostienici
  • Statuto
  • Organi
  • Contatti
Email:
info@fondazionesanbenedetto.it
Fondazione San BenedettoFondazione San Benedetto
  • Chi siamo
  • Attività
  • Video
  • Archivio
  • Sostienici
  • Statuto
  • Organi
  • Contatti

Fissiamo il Pensiero

  • Home
  • Fissiamo il Pensiero
  • Il fallimento della scuola dei diritti

Il fallimento della scuola dei diritti

  • Data 14 Novembre 2021

In un’intervista al settimanale “Io Donna” del 6 novembre Paola Mastrocola, una vita passata a insegnare nelle scuole superiori, parla della condizione attuale dell’istruzione in Italia. Con il marito Luca Ricolfi, sociologo e docente di Analisi dei dati, ha appena pubblicato il libro “Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza” (La nave di Teseo), nel quale racconta quello che ha visto accadere negli ultimi vent’anni: una catastrofe. Ecco alcuni passaggi dell’intervista. 

Perché parlare di catastrofe? Siamo a questo punto?

Purtroppo sì. Siamo al punto d’arrivo di un processo iniziato vent’anni fa, che ha portato a un’impreparazione sempre più grave. Quando entrano al liceo, i ragazzi – parlo della mia esperienza – non sanno scrivere, né tenere un discorso complesso. Se in prima superiore devo fermarmi a spiegare la differenza tra il “che” congiunzione e il “che” pronome relativo non ci siamo. Abbiamo smantellato la scuola del sapere, non la vogliamo proprio più. E che cosa vogliamo al suo posto?

Un’altra cosa, dove si tengono corsi di democrazia, di inclusione, di educazione alla cittadinanza. Parole fumose, adatte al conformismo di oggi. Senza contare che sottolineare la necessità dell’inclusione vuol dire che abbiamo sbagliato. Non crede che potrebbe passare per nostalgica?

Ma no! È come se dicessi che bisogna imparare a camminare prima di andare a cavallo. Ci sono bambini che escono dalle elementari senza saper né leggere, né scrivere. Ma la scuola elementare non si può toccare, sembra che sia il paradiso in terra. E vogliamo parlare delle medie? Oggi sono considerate l’anello debole. Invece io lì ho imparato tantissimo, ho avuto quella preparazione che mi ha permesso di entrare al liceo. Ma era una scuola semplice: gli insegnanti esigevano da noi lo studio, e noi studiavamo. Chi non studiava veniva bocciato. Sicuramente la bocciatura non era una soluzione, e penalizzava le classi basse. Ma promuovere tutti, compreso chi non lo merita, neanche: sposta in avanti il problema, soprattutto per chi ha meno risorse. Ho insegnato al biennio dello scientifico, non sa quanti ragazzi ho visto cambiare indirizzo, con le lacrime agli occhi, perché non ce la facevano. Condannati a frequentare un corso che non volevano all’istituto tecnico, perché non avevano gli strumenti per seguire quello che amavano. Anche questa è dispersione scolastica, ed è una bocciatura più soft. Terribile. Non è una scuola democratica.

Allora qual è la scuola democratica?

Quella che mantiene alto il livello. Solo così si favoriscono i deboli, si danno loro gli strumenti per andare avanti, le capacità di interpretare il reale, di analizzarlo. Gli altri, i privilegiati sono sostenuti dalle famiglie che pagano per quel grande scandalo che sono le lezioni private. Non dobbiamo usare con i ragazzi il linguaggio di internet, quello lo conoscono già. Dobbiamo dare qualcosa che crei un attrito. La letteratura antica ci pone davanti a parole difficili: occorre un insegnante che sappia spiegare e un alunno che voglia lavorarci.

Come l’Iliade tradotta da Vincenzo Monti? Non sarà poco comprensibile oggi?

È solo l’esempio di quella scuola che don Milani rifiutava, a favore di una versione più facile. Ma lo stesso vale per Leopardi, o Petrarca. Non si possono leggere in prosa, sarebbe come dire a un bambino che ha davanti una montagna: “te la spiano, così non fai fatica”. Ma in questo modo gli togliamo la bellezza di salire in montagna. Se il figlio dell’idraulico non farà il notaio, non è solo perché è figlio dell’idraulico ma perché non riesce a laurearsi; la scuola non l’ha preparato come avrebbe dovuto. E questo è gravissimo. La teoria progressista che conta l’ambiente non basta a spiegare chi va avanti e chi no. L’abbassamento degli standard ha aumentato le disuguaglianze.

L’anno di svolta secondo la sua tesi è il 2000, quello della riforma Berlinguer. Perché è il punto di non ritorno?

Berlinguer ha cambiato radicalmente la scuola, e tutte le riforme che sono seguite sono andate avanti su quella strada. Sono entrati i progetti, il piano dell’offerta formativa, il diritto al successo formativo anche se non studi, perché ne hai diritto. La conseguenza è stata una grande indulgenza nella valutazione. Grazie anche alla cultura progressista, che ha demonizzato gli insegnanti che si opponevano all’abbassamento dell’asticella. Aggiungiamo poi le Raccomandazioni europee per le competenze, che hanno sostituito le conoscenze. Vuol dire che non importa più il sapere puro, bello di per sé, ma il saper fare. Non importa quello che sai in astratto, ma quello che sai di spendibile. Va bene per le Stem, per le scuole tecnico-professionali. Ma cosa ne facciamo di Dante e Petrarca? Quale abilità devo verificare su Leopardi? Dietro l’idea di una scuola che prepara al lavoro c’è la svalutazione della conoscenza. L’accento non è più sulla crescita della persona ma sull’utile. Ce la faranno a sopravvivere la letteratura, la filosofia, l’algebra astratta?

Molti dicono che la lezione frontale è superata.

La lezione frontale è, semplicemente, la lezione. È il fondamento del mestiere. Bisogna saperla fare, e si impara facendo. Limitiamo per favore lo spazio alla pedagogia, non serve. Non riduciamo la scuola a schede, test a crocette, percorsi. L’insegnante non deve solo trasmettere quello che sa, ma la sua passione, questa è la forza della lezione. Quando spiega suda, trema, si emoziona, gioca, va fuori tema, e questo si trasmette ai ragazzi. Se vede che si annoiano cambia in corsa, li coinvolge e sa come farlo. Ha tutto il suo mondo a disposizione per affascinarli. Parliamo della tecnologia? Non è una soluzione ma solo uno strumento, come la lavagna.

Nel libro ricorda una scena dolorosa frequente: il colloquio con i genitori, ai quali dovrà dire che il figlio “non ha le basi”.

Proprio così. Per molto tempo ho pensato che tra i miei alunni andavano male quelli che non studiavano, gli strafottenti, gli indolenti. Ma non era così: non avevano le basi. Se lo studio non poggia su niente, ci si sente frustrati, e si finisce con il lasciar correre, sperando in una promozione che, visto il diritto al successo formativo, prima o poi arriverà. Ai genitori che mi chiedevano cosa fare non sapevo rispondere, e finivo per autorizzarli a fare quella cosa ingiusta e sbagliata che sono le lezioni private.

E oggi, crede che qualcosa stia cambiando?

Credo che lentamente si cominci col riconoscere i danni della burocrazia, dei test a crocette, della battaglia dei pedagogisti contro la lezione frontale che hanno cancellato ogni passione, sia negli insegnanti, sia negli studenti. E invece proprio la passione muove le nostre vite.

  • Condividi
piergiorgio

Articolo precedente

A ferro e fuoco Dostoevskij e la nostra anima
14 Novembre 2021

Prossimo articolo

La giornata di Pasquale, avanti e indietro in treno
21 Novembre 2021

Ti potrebbe interessare anche

Un’alternativa europea alla legge del più forte
4 Ottobre, 2025

La gravissima situazione della Terra Santa, la guerra in Ucraina che non accenna a fermarsi, sono solo i due scenari più esplosivi per il loro carico di violenza insensata, morte e distruzione, alle porte di casa nostra, senza dimenticare quanto sta accadendo purtroppo in molti altri angoli del mondo dall’Africa ad Haiti, per arrivare al Myanmar, e di cui non si parla mai. Non è il tempo delle polemiche. Soffiare sul fuoco delle contrapposizioni in questa situazione è quanto di più sterile si possa fare. Diventano armi di distrazione di massa che impediscono di considerare le emergenze reali a cominciare da quelle delle popolazioni indifese che da Gaza a Kiev subiscono gli effetti della violenza. E la prima emergenza adesso è la costruzione della pace. Ci riconosciamo totalmente nel giudizio espresso nel volantino diffuso in questi giorni da Comunione e Liberazione che vi invitiamo a leggere. In tale contesto, crediamo che il compito dell’Europa, ancor di più oggi, sia decisivo per dar corpo a percorsi alternativi che non siano basati sulla legge del più forte. Come ha più volte sottolineato anche nelle ultime settimane il presidente Mattarella si tratta di «fare l’Europa per superare la logica del conflitto e delle guerre, per evitare l’oppressione dell’uomo sull’uomo, per ribadire la dignità di ogni essere umano, di ogni persona». Oggi questa è l’unica strada praticabile che abbiamo di fronte per dare un futuro alle nostre democrazie. Su questo come Fondazione San Benedetto proporremo nei prossimi mesi iniziative specifiche. Certamente l’Europa si trova di fronte a un bivio ineludibile: procedere verso una progressiva decadenza diventando irrilevante e tradendo le grandi promesse da cui era nata, oppure ritrovare una propria identità originale alternativa alle autocrazie che oggi dominano il mondo. Su questi temi vi invitiamo a leggere, come spunto di riflessione, l’articolo di Allister Heath, editorialista del quotidiano britannico The Telegraph.

Il perdono di Erika e la fede nello spazio pubblico
27 Settembre, 2025

Dopo l’assassinio di Charlie Kirk si sono innescate da fronti opposti contrapposizioni molto dure con episodi di violenza verbale, arrivando in qualche caso anche a giustificare quanto è successo. Respingiamo le strumentalizzazioni da qualunque parte provengano che diventano sempre una comoda cortina fumogena che impedisce di guardare la realtà. Ci interessano invece i fatti. E un fatto che senz’altro colpisce è quanto accaduto in occasione dei funerali di Kirk con il gesto di Erika, la vedova di Charlie, che ha pubblicamente perdonato il giovane che le ha ucciso il marito. Un gesto spiazzante, disapprovato dal presidente Trump, che trova la sua unica ragione nella fede in Chi ha detto «Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno», come ha detto Erika. È un fatto su cui riflettere, che zittisce letture sociologiche o visioni ideologiche, e pone la questione della presenza della fede nello spazio pubblico. Su questo tema vi proponiamo la lettura dell’editoriale di Giuliano Ferrara, pubblicato dal Foglio, per il quale non si può liquidare tutto come fanatismo. Il primo passo è cercare di capire il mondo nel quale viviamo senza paraocchi. Oggi l’Europa e l’America sono su due sponde opposte. «In Europa – scrive Ferrara – la laicità è laicismo, ideologia della separazione tra Chiesa e stato divenuta nel tempo esclusione della fede dallo spazio pubblico, fatto di procedure democratiche che si presumono ideologicamente neutre e impermeabili al credo personale e collettivo, accuratamente scristianizzate. In America è diverso, la laicità è la convivenza libera di ricerche di fedi diverse, alle quali lo stato garantisce la piena agibilità senza preferenze o esclusioni, con un riconoscimento simbolico e non solo simbolico, presente nella cultura di massa e nello spazio pubblico dagli albori della Repubblica americana, della centralità di Dio e dell’esperienza del trascendente nella vita personale e in quella della società». L’America senz’altro per molti aspetti oggi può inquietare le nostre coscienze «liberali», ma siamo sicuri che un’Europa che rinnega le proprie radici, in nome di una presunta neutralità ideale, culturale, morale, esaltando i soli diritti individuali, non rischi di implodere su se stessa? Si chiede Ferrara: «Può resistere e fortificarsi una democrazia che s’ingegna a considerarsi neutra, che esclude famiglia, fede e libertà come aspirazione collettiva invece che come emancipazione e teoria dei diritti individuali?». In particolare sul significato del gesto di Erika Kirk vi segnaliamo anche l’articolo di Pietro Baroni, pubblicato dal quotidiano online ilsussidiario.net: «Perché siamo tutti bravissimi – scrive – a gridare pace e ancor più frettolosi a schierarci dalla parte giusta, quella dei buoni che combattono i cattivi; ma nessuno ha più la forza di usare l’unica parola che può portare la vera pace: perdono».

La fuga da Gaza e l’assuefazione all’orrore
20 Settembre, 2025

L’ultima settimana è stata segnata dalle immagini dell’esodo forzato e disperato di centinaia di migliaia di profughi da Gaza dopo l’invasione dell’esercito israeliano, mentre continuano massacri e distruzioni e la popolazione è alla fame. Eppure anche di fronte a queste immagini drammatiche che ci arrivano ogni giorno a getto continuo, rischiamo spesso di assuefarci all’orrore, di atrofizzare la nostra sensibilità a favore dell’indifferenza come se dietro tutto questo non ci fossero volti e storie di persone reali, di uomini concreti con un nome e un cognome. Si arriva persino a farlo diventare oggetto di talk show dove urlare, scontrarsi e insultarsi per passare poi senza colpo ferire alla prossima puntata. Nella newsletter di oggi vogliamo proporvi due articoli sulla situazione di Gaza che ci testimoniano uno sguardo diverso, uno sguardo umano. Il primo è di Marina Corradi ed è tratto da Avvenire. Si sofferma sulle immagini dei profughi e di chi, avendo perso tutto, non ha più neppure l’istinto di fuggire. Immagini che in modo paradossale richiamano alla memoria altre tragiche evacuazioni come quelle dei ghetti ebraici. Il secondo articolo è un’intervista del Sole 24Ore a padre Francesco Ielpo, nuovo custode di Terra Santa e grande amico della San Benedetto: «Ho trovato – racconta – una situazione drammatica, mi verrebbe da dire disumana nella Striscia, e tanta sofferenza anche in Israele dove si vive in un clima di sospetto, una situazione di conflitto in cui le posizioni si estremizzano». Anche in queste condizioni la Chiesa non perde la speranza e non si stanca di lanciare appelli per la pace: «Noi continuiamo a credere che valga la pena – spiega padre Ielpo – perché è un appello sempre rivolto alle coscienze e quando poi le coscienze cambiano, quando cambia proprio anche la possibilità di intravedere una via diversa, più umana per risolvere le questioni, queste voci, magari non subito, avranno l’effetto che devono avere».           

Cerca

Categorie

  • Fissiamo il Pensiero
  • I nostri incontri
    • I nostri incontri – 2015
    • I nostri incontri – 2016
    • I nostri incontri – 2017
    • I nostri incontri – 2018
    • I nostri incontri – 2019
    • I nostri incontri – 2021
    • I nostri incontri – 2022
    • I nostri incontri – 2023
    • I nostri incontri – 2024
    • I nostri incontri – 2025
  • Mese Letterario
    • 2010 – I Edizione
    • 2011 – II Edizione
    • 2012 – III Edizione
    • 2013 – IV Edizione
    • 2014 – V Edizione
    • 2015 – VI Edizione
    • 2016 – VII Edizione
    • 2017 – VIII Edizione
    • 2018 – IX Edizione
    • 2019 – X Edizione
    • 2021 – XI Edizione
    • 2023 – XIII Edizione
    • 2024 – XIV Edizione
    • 2025 – XV Edizione
  • Scuola San Benedetto – edizioni passate
  • Tutti gli articoli

Education WordPress Theme by ThimPress. Powered by WordPress.

VUOI SOSTENERCI?

Siamo una fondazione che ha scelto di finanziarsi con il libero contributo di chi ne apprezza l’attività

Voglio fare una donazione
Borgo Wührer, 119 - 25123 Brescia
info@fondazionesanbenedetto.it

Resta sempre aggiornato

Iscriviti subito alla nostra newsletter per non perderti le attività e gli eventi organizzati dalla Fondazione San Benedetto.

Iscriviti

Sito Web sviluppato da Nida's - Nati con la crisi.

Copyright © Fondazione San Benedetto Educazione e Sviluppo

Mappa del sito | Privacy Policy | Cookie Policy

Sito Web sviluppato da Nida's - Nati con la crisi.

Privacy Policy | Cookie Policy