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Ucraina, Russia, Europa, come andrà a finire?

  • Data 20 Febbraio 2022

Václav Havel 

dal discorso per il conferimento della laurea ad honorem all’Università Sciences Po – Parigi

22 ottobre 2009 

 

Il nostro paese – così come gli altri paesi dell’ex blocco sovietico – per molti buoni motivi si è adoperato sin da subito con forza perché si aprissero le porte delle istituzioni occidentali, soprattutto
della Nato e dell’Unione Europea. E così è stato. C’è voluto del tempo e si sono dovuti superare molti ostacoli. Ora ritengo che siamo pienamente inseriti in un ambito che ci è proprio e dal quale fummo strappati con la forza. Ciononostante non sono sicuro che le cosiddette vecchie democrazie occidentali non abbiano una certa nostalgia di quell’antica divisione. E non sono sicuro che, se si decidesse oggi, ci accoglierebbero nel loro consesso. E nemmeno mi stupirei se fosse così. Allo stesso tempo sono consapevole che la pazienza paga: ci ha ripagati come dissidenti, ci ha ripagati nella faticosa costruzione dello Stato democratico. «Non è tirando l’erba che il grano cresce più in fretta». E se a volte può essere snervante, tuttavia ogni cosa ha il suo tempo.

È un male considerare l’Europa inevitabilmente divisa. Nella nostra parte del continente ciò potrebbe provocare la preoccupante fioritura dei nazionalismi e dei loro sostenitori, cosa che succede dove c’è un terreno instabile. All’Occidente e al mondo intero questo causerebbe più problemi di quanti non ne provochi oggi da noi, e l’epidemia continuerebbe a diffondersi. Per questo la pazienza ha senso. Mentre l’impazienza può condurre all’orgoglio e l’orgoglio all’impazienza. L’orgoglio inteso come la convinzione altezzosa di essere gli unici a sapere tutto e a conoscere la storia, gli unici a saperla prevedere. E se il corso degli eventi non segue le nostre idee, allora bisogna intervenire, anche con la forza, come nel caso del comunismo. La sicurezza di sé che avevano i suoi teorici e realizzatori è sfociata nel Gulag.

All’inizio c’era solo la convinzione di sapere come vanno le cose e come costruire un mondo più giusto. Perché perder tempo con le spiegazioni? Coloro che sanno di cosa si tratta devono creare il mondo migliore subito, nell’interesse dell’umanità e senza tenere in considerazione ciò che l’umanità pensa. Il dialogo è solo una perdita di tempo, del resto «quando si taglia il bosco, volano le schegge». L’abbattimento della cortina di ferro e la fine della divisione del mondo in due poli che una volta sembrava la causa di tutti i mali, sono stati eventi di importanza storica. È terminata la violenza perpetrata contro il mondo e si è volatilizzato il pericolo di una terza guerra mondiale. Inizialmente si è pensato addirittura che finisse la storia e sarebbe sorta l’alba radiosa di un periodo oltre la storia. Anche questa è stata una riduzione del mistero della storia, se non semplicemente l’espressione di una scarsa immaginazione. Non c’è stata nessuna fine della storia.

Alcuni pericoli maggiori sono svaniti, ma sotto la coltre ormai lacera del bipolarismo è affiorato un certo numero di pericoli apparentemente minori. Ma quale pericolo può considerarsi minore all’epoca della globalizzazione? Una volta le guerre mondiali scoppiavano in Europa, centro della civiltà mondiale. Siamo sicuri di esserne ormai immuni? E se un dittatore qualsiasi fosse in grado di procurarsi la bomba atomica, non potrebbe succedere che un conflitto locale degeneri in un conflitto mondiale? I terroristi non hanno, oggi, delle possibilità maggiori di un tempo? E in questa prima civiltà atea, priva di legami con l’eterno, non potrebbero aumentare le minacce fondate su una semplice miopia? Non nascono forse generazioni di invasati e fanatici dell’odio, ai quali questa nostra epoca fornisce maggiori possibilità che in passato? Non ci permettiamo quotidianamente centinaia di interventi nella vita del nostro pianeta che potrebbero avere conseguenze irrimediabili e rovinose?

Mi sembra che oggi, forse, la cosa più importante – e la mia riflessione ed esperienza recenti me lo confermano – sia mantenere un rapporto umile con il mondo, rispettare ciò che ci supera, prendere coscienza che vi sono misteri che non capiremo mai e renderci conto che se dobbiamo assumere delle responsabilità verso il mondo, non dobbiamo basarci sulla convinzione di sapere tutto e quindi anche come andrà a finire. Non sappiamo nulla. Ma la speranza non può togliercela nessuno. Del resto, una vita in cui non vi siano imprevisti, sarebbe terribilmente noiosa.

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piergiorgio

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«La parola letteraria è come una spina nel cuore che muove alla contemplazione e ti mette in cammino». Questa settimana apriamo la nostra newsletter domenicale con queste parole di papa Francesco tratte dalla sua lettera ai poeti, pubblicata l’anno scorso, di cui vi proponiamo la lettura. Fra i tanti testi possibili abbiamo scelto questa lettera per esprimere la nostra gratitudine per ciò che questo Papa è stato. Le sue sono parole che vanno dirette al cuore. La poesia e la letteratura diventano un aiuto formidabile «a capire me stesso, il mondo, ma anche ad approfondire il cuore umano». Fanno emergere un’esperienza «debordante», che spinge ad andare «oltre i bordi chiusi», a non addomesticare le inquietudini. «Raccogliete gli inquieti desideri che abitano il cuore dell’uomo – scrive ai poeti -, perché non si raffreddino e non si spengano». Allo stesso modo c’è l’invito a non «addomesticare il volto di Cristo, mettendolo dentro una cornice e appendendolo al muro». Significa «distruggere la sua immagine».

foto rawpixel.com

Quanto scrive Francesco lo sentiamo particolarmente vicino perché esprime molto efficacemente lo spirito che ci ha sempre mosso nella proposta di un’iniziativa come il Mese Letterario. Come abbiamo sottolineato non si tratta di un’attività culturale o di divulgazione, né tantomeno è una forma di intrattenimento. Nel suo piccolo per tante persone è stata invece un’occasione per riscoprire la ricchezza umana che la letteratura può offrire oltre al valore della lettura come atto di libertà. In alcuni grandi scrittori e poeti abbiamo trovato quel fuoco che è alimentato dalle domande fondamentali sull’esistenza e da un desiderio di verità, di giustizia, di bellezza che non accetta di adeguarsi a qualche sistemazione accomodante. Tra parantesi ricordiamo che giovedì 8 maggio prenderà il via la quindicesima edizione del Mese Letterario. Per chi non si fosse ancora iscritto è possibile farlo a questo link dove trovate anche il programma degli incontri. 
Tornando a papa Francesco, in questi giorni sono stati pubblicati parecchi articoli, alcuni davvero interessanti, sulla sua figura e sul suo pontificato. Qui vogliamo semplicemente segnalarvi un breve ricordo scritto dal cardinale Angelo Scola sul Corriere. «In questi giorni — più che interessarmi di analisi e bilanci del papato di Francesco, in ogni caso troppo prematuri — la domanda che si è aperta in me – osserva Scola – è stata: quale richiamo il Padre Eterno ha suggerito alla mia vita e per la mia conversione attraverso papa Francesco?». Ecco questa domanda descrive, prima di ogni analisi o considerazione, la posizione più vera per vivere questi giorni.      

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