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Fissiamo il Pensiero

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Alzare lo sguardo dal buio

  • Data 27 Marzo 2022

di Paolo Pezzi
Arcivescovo metropolita di Mosca

Nelle scorse settimane un amico mi ha ricordato come Bulgakov conclude il suo romanzo teatrale La guardia bianca: “Tutto passa [solo il presente resta]. Passano le sofferenze e i dolori, passano il sangue, la fame, la pestilenza. La spada sparirà, le stelle invece resteranno, e ci saranno, le stelle, anche quando dalla terra saranno scomparse le ombre persino dei nostri corpi e delle nostre opere. Non c’è uomo che non lo sappia. Ma perché allora non vogliamo rivolgere lo sguardo alle stelle? [ora, nel presente] Perché?”.
Alzare lo sguardo alle stelle significa introdurre un fattore imprevisto, ma certo sul destino degli uomini. L’iniziativa di Papa Francesco di consacrare al Cuore Immacolato di Maria la Russia e l’Ucraina va in questa direzione. Individuare e indicare a tutti, indipendentemente dal loro credo esistenziale, politico o, perché no?, ideologico, che resta pur sempre limitato, un punto di fuga, una strada percorribile. Alzare lo sguardo dal buio pesto in cui ci troviamo per rivolgerlo a una fiammella di luce, che proprio perché “immacolata”, cioè pura, gratuita può rischiarare la tenebra.

Già più di cinquant’anni fa i padri conciliari durante il Vaticano II si domandavano: “Qual è il significato del dolore, del male, della morte che malgrado ogni progresso continuano a sussistere? Cosa valgono le conquiste a così caro prezzo raggiunte?”, riconoscendo che il buio del mondo trova la sua radice nel buio in cui torna di nuovo a ripiombare il cuore dell’uomo: “Gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo” (Gaudium et spes). 

Non è perciò pura teoria accademica, ma questione di vita o di morte alzare lo sguardo alle stelle, a ciò che può rispondere al profondo desiderio del cuore, all’attesa profonda nel cuore, perché il profondo squilibrio radicato nel cuore dell’uomo mina la speranza, cioè la possibilità di vedere una possibile prospettiva per il futuro, ma non può impedire che le stelle ci siano. Il giovane Majakovskij si interrogava: “Ma se le stelle si accendono – / significa – questo serve a qualcuno? /significa – è necessario / che ogni sera / sopra i tetti / si accenda almeno una stella?!”.

Mi ha colpito ricordare che Papa Francesco durante il suo viaggio in Iraq, nella terra di Abramo, richiamava la necessità di alzare lo sguardo alle stelle per affrontare le circostanze del mondo. “Da dove può cominciare allora il cammino della pace? Dalla rinuncia ad avere nemici. Chi ha il coraggio di guardare le stelle, chi crede in Dio, non ha nemici da combattere. Ha un solo nemico da affrontare, che sta alla porta del cuore e bussa per entrare: è l’inimicizia. Mentre alcuni cercano di avere nemici più che di essere amici, mentre tanti cercano il proprio utile a discapito di altri, chi guarda le stelle delle promesse, chi segue le vie di Dio non può essere contro qualcuno, ma per tutti. Non può giustificare alcuna forma di imposizione, oppressione e prevaricazione, non può atteggiarsi in modo aggressivo”. E occorre “sentire” la corrispondenza di questa misteriosa, strana presenza delle stelle alle proprie attese, e magari scoprire che l’infinito ha una prospettiva più interessante per la vita quaggiù sulla terra, quotidiana, di tutte le nostre pretese. Occorre non soffocare l’anelito profondo alla pace, alla convivenza, alla comunione, che sola può superare ogni divisione. 

Se è vero, come dice Dante nel suo bellissimo inno alla Vergine, che Maria “è di speranza fontana vivace”, allora consacrare al suo Cuore Immacolato il nostro cuore meschino, ma pulsante di un desiderio ultimo di felicità, significa non spegnere quella fiammella del desiderio che è in noi. In ogni conflitto la sconfitta più disperante è proprio l’esaurirsi del desiderio dell’attesa. La Maddalena non si arrestò davanti al fatto che non c’era più Gesù nel sepolcro, il suo desiderio di rivederlo, di riabbracciarlo era così forte, che mentre i discepoli Giovanni e Pietro se ne tornarono a casa per cercare soluzioni per il futuro, lei restò davanti al sepolcro, le sue lacrime amare erano divenute “ardenti” di passione. Così che Gesù, quando la chiamerà per nome, le farà sperimentare che la fiammella di speranza nel suo cuore non si era spenta. 

Il cardinale Ratzinger ebbe a dire a Fatima parole confortanti a questo proposito, parole che indicavano una possibilità reale di sostenere la speranza degli uomini: “Il Mio Cuore Immacolato trionferà” disse la Vergine Maria ai pastorelli. “Che cosa significa? Il Cuore aperto a Dio, purificato dalla contemplazione di Dio è più forte dei fucili e delle armi di ogni specie. Il fiat di Maria, la parola del suo cuore, ha cambiato la storia del mondo, perché essa ha introdotto in questo mondo il Salvatore — perché grazie a questo ‘Sì’ Dio poteva diventare uomo nel nostro spazio e tale ora rimane per sempre. Il maligno ha potere in questo mondo, lo vediamo e lo sperimentiamo continuamente; egli ha potere, perché la nostra libertà si lascia continuamente distogliere da Dio. Ma da quando Dio stesso ha un cuore umano ed ha così rivolto la libertà dell’uomo verso il bene, verso Dio, la libertà per il male non ha più l’ultima parola. Da allora vale la parola: ‘Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo’ (Gv 16,33). Il messaggio di Fatima ci invita ad affidarci a questa promessa”. La consacrazione al Cuore Immacolato di Maria diviene allora un domandare che “l’inizio di ogni giornata sia un sì al Signore che ci abbraccia e rende fertile il terreno del nostro cuore per il compiersi della Sua opera nel mondo, che è la vittoria sulla morte e sul male” (Luigi Giussani). 

da ilsussidiario.net – 25 marzo 2022

 

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piergiorgio

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Due settimane fa su Repubblica lo psicoanalista Massimo Recalcati aveva chiaramente sottolineato che l’educazione affettiva «non può essere considerata una materia di scuola tra le altre, non può ridursi a un sapere tecnico perché tocca ciò che di più intimo, inafferrabile e bizzarro c’è nella soggettività umana. L’idea che il desiderio possa essere oggetto di un sapere specialistico rivela un equivoco profondo: la sessualità non si insegna come si insegna la grammatica o la matematica. E poi chi dovrebbe insegnarla? Un biologo? Uno psicologo? Un insegnante di scienze naturali? Un tecnico appositamente formato? La sessualità non è un sapere universale da trasmettere, ma un’esperienza del tutto singolare e incomparabile che deve essere piuttosto custodita». 

Su questa lunghezza d’onda nella newsletter di oggi vogliamo proporvi la lettura dell’editoriale di Giuliano Ferrara pubblicato sul Foglio nei giorni scorsi. «Questa cosa – esordisce l’articolo – dell’educazione affettiva o affettivo-sessuale, col permesso dei genitori, mi sembra una castroneria». Ferrara suggerisce piuttosto la via dell’educazione sentimentale attraverso la letteratura, cominciando magari da Flaubert. L’ora di educazione affettiva fatta da insegnanti, specialisti, psicologi, in collaborazione scuola famiglia, è solo «un modo di abbrutire e diminuire la personalità degli alunni e delle alunne».  È un’ondata «di affettivismo psicologico priva di carisma e di fascino». «Si rivolgano – aggiunge Ferrara – alla letteratura, se c’è bisogno di apportare un bene patrimoniale sentimentale che integri il bagaglio delle giovani anime in cerca di una strada nella e nelle relazioni affettive e sentimentali». Parole sacrosante che sentiamo molto vere nella nostra esperienza. Non è stato infatti per un pallino culturale che come Fondazione San Benedetto quindici anni fa abbiamo lanciato a Brescia il Mese Letterario riconoscendo nella letteratura, e in particolare nelle opere di alcuni grandi scrittori o poeti, quel fuoco che è alimentato dal desiderio di bellezza e di verità che è nel cuore di ogni uomo e che molto c’entra con l’educazione dei nostri affetti. Per Ferrara quindi  affidare l’educazione dei sentimenti e dell’amore, questo «incunearsi nella spigolosità e nella rotondità delle anime», «a uno spirito cattedratico o a una expertise di tipo sociale», sarebbe «un errore che si potrebbe facilmente evitare con il ricorso a racconti e storie interessanti». Racconti e storie che la letteratura, attraverso la lettura, ci offre a piene mani. 

Pier Paolo Pasolini e Anna Laura Braghetti, due storie che ci parlano
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Pier Paolo Pasolini, di cui il 2 novembre sono stati ricordati i cinquant’anni della sua uccisione. Anna Laura Braghetti, brigatista rossa, morta giovedì a 72 anni, che fu carceriera di Aldo Moro e che nel 1980 sparò uccidendolo al vicepresidente del Csm Vittorio Bachelet. È di loro, di Pasolini e di Braghetti, che vogliamo occuparci in questa newsletter soprattutto per «fissare il pensiero» su alcuni spunti che la loro storia personale ci offre e che riteniamo significativi per noi oggi. Su Pasolini vi proponiamo un intervento del filosofo Massimo Borghesi, che lo definisce «un grande intellettuale, come pochi in Italia nel corso del Novecento» capace di interpretare con largo anticipo i cambiamenti che ora stiamo vivendo.
In particolare Borghesi si sofferma sulla posizione di Pasolini rispetto al ’68: «L’antifascismo inteso come progressismo, cioè come lotta alla reazione, per Pasolini non era più alternativa democratica, ma il modo con cui si realizzava un nuovo fascismo. Questa è l’intelligenza di Pasolini sul passaggio tra anni Sessanta e Settanta: vede nascere una nuova ideologia apparentemente progressista ma funzionale a un nuovo potere di destra». Per Borghesi Pasolini, a differenza di Marcuse, è disincantato, «capisce che il ’68 è rivolta della borghesia, non del proletariato: non trovi un operaio nella rivolta del ’68. È una rivolta degli studenti, dei figli della buona borghesia delle città. E qual è il messaggio del ’68? Un nuovo individualismo di massa. Serve ad abbandonare – contestare, distruggere – i vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra, e così crea l’uomo a una dimensione: senza radici, senza legami, contro famiglia ed elementi comunitari. Favorisce un individualismo di massa egoistico e solipsistico, trionfo della società borghese allo stato puro».
Pasolini non aveva forse intravisto il mondo in cui oggi siamo immersi?  Per questo val la pena leggerlo e rileggerlo. E come Fondazione San Benedetto l’abbiamo messo più volte a tema negli incontri del Mese Letterario, già sin dalla prima edizione.
Sulla storia di Anna Laura Braghetti vi invitiamo invece a leggere l’articolo di Lucio Brunelli apparso sull’Osservatore Romano. Dopo aver ripercorso le sue tappe come terrorista, Brunelli sottolinea che poi in Braghetti maturò il pentimento: «Un pentimento graduale e autentico, quindi lancinante, consapevole del terribile male compiuto. E compiuto – questo il paradosso più drammatico di quella storia – in nome di un ideale di giustizia». Fino all’incontro in carcere con il fratello di Bachelet. «Da lui – raccontava Braghetti – ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile».
A un convegno sul carcere organizzato dalla Caritas, qualche tempo dopo – ricorda Brunelli -, «la Braghetti incontrò il figlio di Bachelet, Giovanni. Si riconobbero e si salutarono. Giovanni le disse: “Bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato”. Anna Laura commentò: “Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene”». Questa la conclusione di Brunelli: «Forse sono ingenuo o forse è la vecchiaia ma ogni volta che leggo queste pagine mi commuovo nel profondo. E penso che solo un Dio, e un Dio vivo, può fare miracoli così».

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