Il Meeting e la forza di un’esperienza
Caro Aldo, al Meeting di Rimini si incontrano esperienze che sembrano «impossibili» come ciò che sta succedendo in Israele, negli ospedali. Lo hanno testimoniato con due interventi da brividi suor Aziza e il dottor Salem Billan. In Israele vi sono ospedali dove israeliani e palestinesi, ebrei, musulmani e cristiani operano insieme. Mentre fuori imperversano gli scontri, nelle corsie degli ospedali vi è la pace e come ha detto il dottor Billan bisogna portarla nella società. Perché vi è la pace negli ospedali? Perché lì non si guarda se uno è israeliano o palestinese, ma si guarda l’uomo!
Gianni Mereghetti
Caro Gianni,
Grazie per la sua testimonianza, che mi ricorda il Parents Circle, l’associazione in cui il cardinal Martini quando era a Gerusalemme faceva incontrare i genitori israeliani e palestinesi che avevano perso un figlio in guerra o per un attentato terroristico. Ma al centro della sua lettera c’è il Meeting di Rimini. Ci sono tornato dopo qualche anno, e ho ritrovato quell’atmosfera di accoglienza, di serenità, di forza che ricordavo. Passiamo un intero anno a discutere di giovani, considerandoli un mistero impenetrabile — i millennials, la generazione Z —, e poi al Meeting ne trovi migliaia; e non sono chini sui cellulari. Ci sono volontari che dedicano al Meeting le loro ferie: giovani ingegneri, architetti, interpreti, giuristi, medici mettono la loro esperienza al servizio della comunità. Uno scrittore che stimo molto, Antonio Socci, ha sostenuto che negli ultimi tempi Rimini è diventata anche una passerella per Vip. Ma pure trent’anni fa si applaudiva Andreotti e si criticava De Mita (che rispose definendo i ciellini «teologi da spiaggia»). Il Meeting si è sempre confrontato con la politica, ed è giusto che sia così. Stavolta poi l’ha fatto al massimo livello, con quasi tutti i leader — moderati dal direttore del Corriere Luciano Fontana — e con il passo d’addio (forse solo provvisorio) di Mario Draghi. Alla fine il collante è la curiosità per il mondo e l’attitudine a non considerare nessuno come un estraneo. Perché alla fine — l’hanno notato Franco Nembrini e Massimo Camisasca parlando di Dante — «de te fabula narratur»: è sempre di te che parla la storia.
Aldo Cazzullo
dal Corriere della Sera – 27 agosto 2022