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Viva gli uomini leali con la propria coscienza e intelligenza

  • Data 4 Dicembre 2022

di Michela Proietti 

dal Corriere della Sera – 3 dicembre 2022

https://www.corriere.it/cronache/personaggi-italia/22_dicembre_03/piero-bassetti-intervista2-fbcef204-727d-11ed-b391-c82cf2fd5f04.shtml


Piero Bassetti, 94 anni il prossimo 20 dicembre. Qual è il suo stato d’animo?

«Sto constatando che la vecchiaia è un periodo piacevolissimo: ti deresponsabilizza, ma hai un sostrato di autorevolezza che deriva dal fatto che sei a contatto con la morte. Mentre i nove decimi delle persone sono autorizzate a non pensare alla morte, uno come me deve pensare che c’è il filo rosso da raggiungere. Determina tutto il tempo, è la fine della gara».

La gente come si rivolge a lei?

«Vuole consigli e suggerimenti. Il rapporto con il fine corsa, se vissuto senza incubi, ti dà una chance nei rapporti: la gente è più sciolta, sei ancora in corsa ma fuori concorso. Un relax per chi come me è sempre stato impegnato».

Politico, imprenditore ed ex velocista italiano. E soprattutto primo Presidente della Regione Lombardia, dal 1970 al 1974.

«La mia è stata una vita in prima linea. Se uno ama le cose a cui dedica il suo tempo non può dire che si sacrifica».

Lei è credente?

«Risposta difficile! Ho trascorso la vita matura da non credente, ma quando mia moglie Carla che adoravo è morta, dopo 50 anni di matrimonio, ho capito che dire “di là non c’è più niente” è una affermazione assurda».

Come lo ha capito?

«Se ne è andata tra le mie braccia, il flussometro segnava zero. Ma sapevo che le sue unghie stavano ancora crescendo, che quella era mia moglie, non era evaporata: ho avuto la netta sensazione che fosse solo andata altrove. Il nulla non è la risposta: in Inghilterra ogni casato ha il suo fantasma. La nostra civiltà sarà molto impegnata nella riflessione sull’Oltre: ne ho scritto in un libretto, Oltre lo Specchio di Alice. Il tema non è la qualità dell’Oltre, ma la sua presenza».

Le interessa il metaverso?

«Ovviamente, cambierà radicalmente la nostra vita».

Creerà nuove solitudini?

«Sì, ma viviamo un cambiamento più rilevante della invenzione della stampa: TikTok è più innovativo del libro».

Da che famiglia proviene?

«Borghese e imprenditoriale. La Bassetti ha inventato il lenzuolo con gli angoli, cambiando il modo di dormire dell’Italia. Con la Pirelli abbiamo uniformato i materassi. Mi sono sempre interrogato sul fatto che avremmo dovuto chiedere il permesso di tale cambio».

Del lenzuolo?

«Certo. Con la mia Fondazione Bassetti ho riflettuto sui cambiamenti legati alla innovazione: le cose che mutano il mondo vengono prese senza che ci sia assunzione di responsabilità, anche perché l’innovazione è la realizzazione dell’improbabile e l’improbabile non è prevedibile».

La sua famiglia le ha mai rimproverato di aver preferito la politica all’azienda?

«Eravamo 6 figli, potevo permettermi di diversificare. E poi mia madre era una intellettuale, considerava la politica di gran lunga superiore al business. I soldi fanno piacere, ma fa piacere anche ottenere successo politico o letterario».

Si è mai pentito di aver scelto la politica?

«Mai, all’epoca il prestigio non così era legato alla ricchezza. In questo siamo stati americanizzati brutalmente. Ma in Veneto o in Toscana l’abbinamento reddito-gloria è meno forte che a Milano».

Quanto si sente milanese?

«Più che milanese mi sento lombardo. Milano aspira ad essere una metropoli, cioè un modello in crisi. Propone schemi di organizzazione comunitaria che sono quelli di una città cinese di 30 milioni persone, ma che non può essere una Milano 30 volte più grande».

Sono arrivati i grattacieli.

«Piazza Gae Aulenti è bellissima ma è fatta per dire “ce l’abbiamo anche noi”. I grattacieli non incontrano l’identità della città. Molti sono vuoti».

Il problema da risolvere?

«La parola influencer contiene una contraddizione: attribuiamo il ruolo di influenzarci a qualcuno che abbiamo scelto quantitativamente, non qualitativamente. Così non siamo capaci di scegliere il deputato perché applichiamo la dimensione quantitativa».

La borghesia lombarda.

«Distrutta dal rito del weekend. Era durante il fine settimana che si prendevano le decisioni importanti: dopo la partita di bridge o mentre si mangiava un panino, si discuteva su quale fosse il sindaco migliore».

Esiste ancora il salotto?

«Una volta c’era quello di Giulia Maria Crespi dove incontravi i giornalisti del Corriere e parlavi di cultura. Casomai il salotto è stato sostituito dai raduni di pettegoli: non sono produttivi, perché non si pettegola sulla Moratti ma sulle corna degli altri».

Lei ne anima qualcuno?

«Il mio: si chiama il Salottone e l’ho creato con amici come Salvatore Carruba. Ci ritroviamo una volta al mese online».

Letizia Moratti Presidente?

«Dovrebbe avere un rapporto migliore con la sua femminilità imparando da Giorgia Meloni, che ha avuto il potere anche in quanto donna. La Moratti vuole il potere in quanto brava manager».

Le donne in Italia.

«Oggi serve il potere di cura. Gli uomini avevano il comando perché maneggiavano l’aratro, ora il mondo va accarezzato. E in Italia abbiamo un rispetto per la donna che gli americani non hanno: abbiamo inventato la Madonna».

Dopo di lei chi è stato il miglior Presidente?

«Roberto Formigoni. Siamo abituati a rimuoverlo per i suoi errori, ma la coppia Formigoni–Sanese ha fatto la Regione. Poi Guzzetti».

Roberto Maroni?

«In eredità ha lasciato la presenza della provincia lombarda in Regione e il fatto di interpretare al meglio il leghismo: era dentro al pensiero di Bossi che a sua volta era dentro a quello di Miglio. La Lega di Maroni aveva valore».

Un politico che le piace.

«Mattarella: apprezzo la sua capacità di mediazione».

Lei è un uomo elegante.

«Mai saputo! Evidentemente è merito di quello che a Milano chiamavamo il “sartello”, un bravo artigiano. Per lo smoking c’era il Prandoni».

Caraceni?

«Era per gli attori e i dandy. E poi era romano».

Due libri di formazione.

«I Promessi Sposi e Le anime morte di Gogol’».

La prima domanda che si fa a Milano è : «cosa fai?».

«Prevale l’interesse per l’azione e non per il pensiero. Tra intellettuali si dovrebbe dire di cosa ti occupi».

Va in ufficio tutti i giorni?

«In pensione mai».

Cosa significa andare in pensione?

«Essere ritenuto un vecchio. Una scansione che dovremmo rielaborare».

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piergiorgio

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È la letteratura la vera educazione affettiva
15 Novembre, 2025

In queste settimane la discussione sulla cosiddetta educazione affettiva o affettivo-sessuale nelle scuole è subito degenerata in uno scontro nel quale più si alza il volume delle polemiche pretestuose più diventa difficile comprendere veramente i termini della questione. Da molti anni sulla scuola è stato scaricato qualunque tipo di «emergenza sociale» che avesse a che fare con le generazioni più giovani cercando di approntare risposte con tanto di istruzioni per l’uso e ricette alla bisogna attraverso l’intervento degli immancabili esperti, di sportelli psicologici, etc. L’ora di educazione affettiva è solo l’ultimo anello di una lunga catena. Un vero disastro.

Due settimane fa su Repubblica lo psicoanalista Massimo Recalcati aveva chiaramente sottolineato che l’educazione affettiva «non può essere considerata una materia di scuola tra le altre, non può ridursi a un sapere tecnico perché tocca ciò che di più intimo, inafferrabile e bizzarro c’è nella soggettività umana. L’idea che il desiderio possa essere oggetto di un sapere specialistico rivela un equivoco profondo: la sessualità non si insegna come si insegna la grammatica o la matematica. E poi chi dovrebbe insegnarla? Un biologo? Uno psicologo? Un insegnante di scienze naturali? Un tecnico appositamente formato? La sessualità non è un sapere universale da trasmettere, ma un’esperienza del tutto singolare e incomparabile che deve essere piuttosto custodita». 

Su questa lunghezza d’onda nella newsletter di oggi vogliamo proporvi la lettura dell’editoriale di Giuliano Ferrara pubblicato sul Foglio nei giorni scorsi. «Questa cosa – esordisce l’articolo – dell’educazione affettiva o affettivo-sessuale, col permesso dei genitori, mi sembra una castroneria». Ferrara suggerisce piuttosto la via dell’educazione sentimentale attraverso la letteratura, cominciando magari da Flaubert. L’ora di educazione affettiva fatta da insegnanti, specialisti, psicologi, in collaborazione scuola famiglia, è solo «un modo di abbrutire e diminuire la personalità degli alunni e delle alunne».  È un’ondata «di affettivismo psicologico priva di carisma e di fascino». «Si rivolgano – aggiunge Ferrara – alla letteratura, se c’è bisogno di apportare un bene patrimoniale sentimentale che integri il bagaglio delle giovani anime in cerca di una strada nella e nelle relazioni affettive e sentimentali». Parole sacrosante che sentiamo molto vere nella nostra esperienza. Non è stato infatti per un pallino culturale che come Fondazione San Benedetto quindici anni fa abbiamo lanciato a Brescia il Mese Letterario riconoscendo nella letteratura, e in particolare nelle opere di alcuni grandi scrittori o poeti, quel fuoco che è alimentato dal desiderio di bellezza e di verità che è nel cuore di ogni uomo e che molto c’entra con l’educazione dei nostri affetti. Per Ferrara quindi  affidare l’educazione dei sentimenti e dell’amore, questo «incunearsi nella spigolosità e nella rotondità delle anime», «a uno spirito cattedratico o a una expertise di tipo sociale», sarebbe «un errore che si potrebbe facilmente evitare con il ricorso a racconti e storie interessanti». Racconti e storie che la letteratura, attraverso la lettura, ci offre a piene mani. 

Pier Paolo Pasolini e Anna Laura Braghetti, due storie che ci parlano
8 Novembre, 2025

Pier Paolo Pasolini, di cui il 2 novembre sono stati ricordati i cinquant’anni della sua uccisione. Anna Laura Braghetti, brigatista rossa, morta giovedì a 72 anni, che fu carceriera di Aldo Moro e che nel 1980 sparò uccidendolo al vicepresidente del Csm Vittorio Bachelet. È di loro, di Pasolini e di Braghetti, che vogliamo occuparci in questa newsletter soprattutto per «fissare il pensiero» su alcuni spunti che la loro storia personale ci offre e che riteniamo significativi per noi oggi. Su Pasolini vi proponiamo un intervento del filosofo Massimo Borghesi, che lo definisce «un grande intellettuale, come pochi in Italia nel corso del Novecento» capace di interpretare con largo anticipo i cambiamenti che ora stiamo vivendo.
In particolare Borghesi si sofferma sulla posizione di Pasolini rispetto al ’68: «L’antifascismo inteso come progressismo, cioè come lotta alla reazione, per Pasolini non era più alternativa democratica, ma il modo con cui si realizzava un nuovo fascismo. Questa è l’intelligenza di Pasolini sul passaggio tra anni Sessanta e Settanta: vede nascere una nuova ideologia apparentemente progressista ma funzionale a un nuovo potere di destra». Per Borghesi Pasolini, a differenza di Marcuse, è disincantato, «capisce che il ’68 è rivolta della borghesia, non del proletariato: non trovi un operaio nella rivolta del ’68. È una rivolta degli studenti, dei figli della buona borghesia delle città. E qual è il messaggio del ’68? Un nuovo individualismo di massa. Serve ad abbandonare – contestare, distruggere – i vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra, e così crea l’uomo a una dimensione: senza radici, senza legami, contro famiglia ed elementi comunitari. Favorisce un individualismo di massa egoistico e solipsistico, trionfo della società borghese allo stato puro».
Pasolini non aveva forse intravisto il mondo in cui oggi siamo immersi?  Per questo val la pena leggerlo e rileggerlo. E come Fondazione San Benedetto l’abbiamo messo più volte a tema negli incontri del Mese Letterario, già sin dalla prima edizione.
Sulla storia di Anna Laura Braghetti vi invitiamo invece a leggere l’articolo di Lucio Brunelli apparso sull’Osservatore Romano. Dopo aver ripercorso le sue tappe come terrorista, Brunelli sottolinea che poi in Braghetti maturò il pentimento: «Un pentimento graduale e autentico, quindi lancinante, consapevole del terribile male compiuto. E compiuto – questo il paradosso più drammatico di quella storia – in nome di un ideale di giustizia». Fino all’incontro in carcere con il fratello di Bachelet. «Da lui – raccontava Braghetti – ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile».
A un convegno sul carcere organizzato dalla Caritas, qualche tempo dopo – ricorda Brunelli -, «la Braghetti incontrò il figlio di Bachelet, Giovanni. Si riconobbero e si salutarono. Giovanni le disse: “Bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato”. Anna Laura commentò: “Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene”». Questa la conclusione di Brunelli: «Forse sono ingenuo o forse è la vecchiaia ma ogni volta che leggo queste pagine mi commuovo nel profondo. E penso che solo un Dio, e un Dio vivo, può fare miracoli così».

Il Cristo di Manoppello e Sgarbi trafitto dalla bellezza
1 Novembre, 2025

«Nei mesi attuali di oscurantismo, immersi nell’orrore di Gaza, nella guerra in Ucraina, nell’oppressione della cronaca, anche personale, mi convinco che vi sia molto più Illuminismo cioè quella tendenza a invadere il reale di razionale – nel pellegrinaggio al Cristo di Manoppello che non nella realtà di oggi, che sembra imporci comportamenti irrazionali». Lo scrive Vittorio Sgarbi in un articolo sul settimanale «Io Donna» a proposito del Volto Santo di Manoppello, il velo che porta impressa l’immagine del volto di Gesù, custodito nella chiesa di un piccolo paese in provincia di Pescara. Una reliquia di origine misteriosa di fronte alla quale passa in secondo piano se sia l’impronta di un volto o un’immagine dipinta. Per Sgarbi «quel volto è il volto di Cristo anche se non è l’impronta del suo volto, perché è ciò che la nostra mente sente essere vero, non la verità oggettiva di quella cosa». Si dice trafitto dalla «sua bellezza, che splende più della sua verità, cioè della sua vera o presunta corrispondenza al volto del vero Gesù, “veramente” risorto». Ecco oggi l’esperienza di cui più la nostra vita ha bisogno è proprio questo essere feriti dal desiderio della bellezza. Solo questa esperienza può mobilitare ragione, intelligenza e volontà a prendere sul serio la nostra sete di infinito, spingendo a non accontentarsi di false risposte tanto comode quanto illusorie. E si può solo essere grati che a ricordarcelo sia un inquieto e un irregolare come Sgarbi.

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