Orgoglio italiano
di Marco Fortis
da Il Sole 24 Ore – 27 aprile 2023
Nei giorni scorsi un editoriale del «Corriere della Sera», a firma di Federico Fubini, ha ribadito che l’Italia non può permettersi di rinunciare ai fondi del Next Generation EU. Il PNRR, infatti, è un’occasione unica per l’ammodernamento del nostro Paese, con anche tutto il collegato di riforme che l’Europa ci chiede in cambio: è un treno che non passerà mai più. Sarebbe quindi un grave errore rinunciare a parte dei prestiti del PNRR, come stanno chiedendo alcuni. E su questo punto ci troviamo perfettamente d’accordo con l’editoriale del quotidiano milanese.
Non condividiamo però le argomentazioni addotte per cui l’Italia non dovrebbe lasciarsi sfuggire la possibilità di investire le risorse che l’Unione Europea ci ha messo a disposizione. Risorse che, a nostro avviso, vanno usate non perché il nostro Paese oggi investa poco rispetto a Germania e Francia, come sostenuto nel citato articolo, ma piuttosto per far fare al nostro Paese un ulteriore salto di qualità. Cioè per aggredire quei divari strutturali di efficienza (pubblica amministrazione, digitalizzazione) e territoriali (Nord-Sud) che ancora impediscono alla nostra economia, che è una splendida economia con una grande manifattura, per di più in fase di pieno rilancio, di dispiegare tutto il suo potenziale. I progetti del Pnrr possono contribuire a ridurre i suddetti divari e ad innalzare il nostro tasso di crescita, perciò i prestiti europei vanno usati. Questo obiettivo deve essere la priorità del Governo, su questo non devono esserci dubbi. Non c’è però bisogno di richiamare vecchi stereotipi di arretratezza o di marginalizzazione dell’Italia nel contesto mondiale per “bacchettare” chi rema contro il Pnrr, perché ciò alimenta soltanto confusione.
Che nel 2022 l’Italia abbia speso per investimenti, secondo i dati Eurostat di contabilità nazionale, 457 miliardi di euro di meno della Germania e 240 miliardi in meno della Francia è vero. Ma queste differenze riflettono, in parte, semplicemente, le diverse dimensioni delle economie, nonché peculiarità nazionali nelle strutture delle economie stesse e in più va detto che l’Italia ha molto migliorato i suoi rapporti relativi con la Germania e la Francia rispetto al 2015, quando noi stavamo appena uscendo dal lungo tunnel della doppia crisi dei mutui subprime e dei debiti sovrani. Infatti, il divario della quota degli investimenti totali sul Pil tra Italia e Germania si è ridotto dai 3,1 punti percentuali del 2015 a un modesto 0,8% nel 2022 e il divario con la Francia è sceso da 4,6 a 3 punti percentuali. Si potrebbe obiettare che questo secondo divario è ancora alto ma occorre sapere che dei 240 miliardi che la Francia investe in più rispetto a noi ben 110 dipendono da investimenti in proprietà intellettuale, che in Francia sono strutturalmente elevati per la presenza di grandissimi gruppi nell’energia, nell’aeronautica, nei trasporti, nella chimica-farmaceutica, nell’elettronica, nonché nel lusso. Gruppi la cui presenza comunque non impedisce alla Francia di avere nel complesso una industria manifatturiera che è largamente dietro quella italiana, che è più forte e dinamica di quella transalpina per valore aggiunto ed export grazie al nostro modello vincente di piccole, medie e medio-grandi imprese diffuse, distretti e filiere corte.
Nella buona sostanza, escludendo gli investimenti in proprietà intellettuale, la quota degli investimenti sul Pil dell’Italia è sostanzialmente la stessa di Francia e Germania: il che dovrebbe rassicurarci abbastanza sul fatto che non siamo una economia “arretrata”.
Un divario negli investimenti tra noi e Germania e Francia è semmai nell’edilizia residenziale, nonostante i superbonus da noi introdotti negli anni recenti, ma si tratta di un divario, comunque, poco aggredibile con il Pnrr e legato anche a tendenze demografiche diverse tra i tre maggiori Paesi dell’Euro area, con l’Italia svantaggiata perché in netto declino di popolazione. In ogni caso, anche il divario dell’Italia nella quota degli investimenti in edilizia residenziale sul Pil con la Germania, pari nel 2022 a 1,8%, è più o meno il medesimo del 2015 (1,7%), mentre quello con la Francia è sceso da -1,8% a -1%. Nell’edilizia non residenziale, ambito dove il Pnrr potrebbe dare un impulso a nostro favore nei prossimi anni, la quota degli investimenti sul Pil dell’Italia (5,4%) è già oggi più elevata di quella della Germania (4,7%) e non così distante da quella della Francia (6,3%).
Ma, soprattutto, è negli investimenti in macchinari, impianti, ICT e mezzi di trasporto che l’Italia non accetta lezioni da nessuno, tanto più che i vari Piani Industria 4.0 del nostro Paese, dal governo Renzi in poi, negli ultimi anni hanno ulteriormente favorito la nostra massa di investimenti di questo tipo, che già erano sempre stati storicamente molto alti in passato. Dal 2015 in avanti, tuttavia, l’Italia ha accelerato e nel 2022 la nostra quota di investimenti tecnici sul Pil è risultata decisamente la più alta tra le tre maggiori economie dell’Euro area, pari al 7,4%, contro il 6,6% della Germania e il 5,2% della Francia. Dal 2015 al 2022 gli investimenti in macchinari, impianti, ICT e mezzi di trasporto dell’Italia sono cresciuti a valori correnti di circa 42 miliardi di euro, contro gli incrementi di 36 miliardi e di 48 miliardi, rispettivamente, di Francia e Germania, che però sono economie di dimensioni nettamente maggiori della nostra. In questo tipo di investimenti siamo sempre stati sopra la Francia in rapporto al Pil ma nel 2022 lo siamo addirittura diventati di 2,2 punti percentuali. Mentre abbiamo raggiunto la Germania nel 2019 ed oggi le diamo 8 decimali secchi di distacco.
In definitiva, il Pnrr serve all’Italia non per far uscire dal baratro un’economia arretrata, come spesso viene definita quella italiana da una vecchia vulgata che ormai ha decisamente stancato, ma per rendere più dinamica una economia italiana già forte e moderna, il cui Pil è cresciuto quasi dell’11% negli ultimi due anni grazie alle riforme già avviate prima della pandemia e poi grazie alla guida del Governo Draghi. E se c’è una lezione da trarre dai dati sugli investimenti è, piuttosto, quella che ci serve non solo il Pnrr ma che è necessario anche che gli incentivi Industria 4.0 continuino e diventino strutturali per mantenere il vantaggio che abbiamo conquistato su Francia e Germania, aspetto di cui ancora pochi hanno compreso l’importanza storica, anche nella prospettiva futura di una competizione globale in cui l’Italia può essere sempre più protagonista.