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Perché piace tanto Tolkien

  • Data 18 Settembre 2023

A cinquant’anni dalla morte del professore e scrittore, un rabbino elogia sul Wall Street Journal il suo realismo cristiano. “In occidente c’è ancora sete di verità”

«Se, negli anni Trenta, qualcuno avesse cercato di prevedere l’autore inglese di bestseller del XX secolo, probabilmente non avrebbe scelto un professore di Oxford» scrive sul Wall Street Journal il rabbino Meir Soloveichik. «John Ronald Reuel Tolkien, morto 50 anni fa, il 2 settembre 1973, trascorse tutta la sua vita professionale nell’accademia, ma il suo impatto sul mondo andò ben oltre la torre d’avorio. La sua serie di romanzi “Il Signore degli Anelli”, che ha lanciato il genere moderno della letteratura fantasy, ha venduto oltre 150 milioni di copie ed è servita come materiale per i film di grande successo di Peter Jackson. La fama di Tolkien iniziò con un’opera molto più leggera, “Lo Hobbit”, pubblicata nel 1937. Un libro per bambini: è la storia di Bilbo Baggins, una creatura pigra che viene improvvisamente spaventata fino all’alacrità da un mago in visita e da un entourage di nani che lo reclutano per unirsi alla loro invasione della tana di un drago. Lungo la strada, Bilbo acquisisce un utile anello che gli permette di diventare invisibile, un dispositivo magico essenziale per il trionfo della sua ricerca.

Tolkien avrebbe potuto continuare la sua carriera come autore di libri per bambini di enorme successo. Invece, ha fatto seguire allo “Hobbit” la trilogia “Il Signore degli Anelli”, in cui viene rivelato che il ninnolo scoperto da Bilbo era stato forgiato molto tempo prima dall’oscuro signore Sauron. La sua scoperta del talismano perduto da tempo mette in moto una serie di eventi in cui personaggi provenienti da tutto il regno della Terra di Mezzo – il mago Gandalf, umani, nani ed elfi – si uniscono per combattere contro le forze dell’oscurità. Al nipote di Bilbo, Frodo, viene affidato il terribile compito di portare l’anello nelle profondità del territorio di Sauron, per distruggerlo nei fuochi in cui è stato forgiato. A differenza dello “Hobbit”, la trilogia – che comprende “La Compagnia dell’Anello”, “Le Due Torri” e “Il Ritorno del Re” – è densamente scritta, con paragrafi su paragrafi che descrivono la geografia della Terra di Mezzo. I film di Peter Jackson mantengono questo elemento dei romanzi. Tolkien scrisse anche un’appendice che spiega la storia della Terra di Mezzo e ha inventato linguaggi come l’elfico di sana pianta. Eppure Tolkien credeva che questi dettagli fossero essenziali, poiché una grande creazione letteraria deve offrire ai suoi lettori un mondo intero in cui abitare la loro immaginazione.

La complessità del mondo di Tolkien non ha in alcun modo limitato la sua popolarità, con molti fan che si sono dedicati allo studio attento dei vari aspetti della Terra di Mezzo. Dato che presentano maghi, orchi, goblin ed elfi, è facile congetturare che la magia dei libri di Tolkien risieda… beh, nella magia. Eppure nessun’altra serie fantasy si avvicina alla popolarità del “Signore degli Anelli”, anche se molte altre presentano elfi e maghi in abbondanza. Per comprendere l’incanto duraturo delle opere di Tolkien, è necessario comprendere una caratteristica centrale della sua vita che il film biografico “Tolkien” del 2019 ha in gran parte scelto di ignorare: la sua fede cattolica. Se le vendite del “Signore degli Anelli” competono con quelle della Bibbia stessa, è perché la serie offre una visione profondamente biblica del mondo. La realtà e la consistenza del peccato umano descritto nella Genesi è un tema centrale in tutti i libri di Tolkien. L’anello di Sauron, giustamente inteso, è molto più di un “MacGuffin”, un oggetto la cui unica importanza è che aiuta a portare avanti la trama. Piuttosto, l’anello è uno dei veri personaggi del romanzo, che rappresenta il peccato e le sue molteplici tentazioni. La fragilità morale dell’umanità si manifesta nel modo in cui alcuni personaggi cedono a quelle tentazioni. Eppure altri sono in grado di resistergli. La redenzione alla fine arriva nella Terra di Mezzo attraverso Aragorn, il discendente di una stirpe di re perduta da tempo: un chiaro riferimento alla storia biblica di Davide e alla garanzia di Isaia che un giorno l’erede di Davide redimerà il mondo. Cristiani come Tolkien identificano questo discendente profetizzato come Gesù, sebbene Aragorn assomigli più da vicino alla concezione ebraica del messia come un grande re guerriero. La Bibbia ci chiede di vedere la storia attraverso la lente sia della provvidenza che del potere, poiché gli eventi riflettono la tensione tra la scelta umana e l’intervento divino. Anche Tolkien crea un mondo in cui le nostre scelte individuali fanno la differenza, anche se certi eventi sono profetizzati e previsti. Sauron può trionfare per un giorno, o anche per una generazione, ma il re ritornerà e le nostre stesse azioni contribuiranno a determinare quando arriverà quel giorno. Il destino di tutta la Terra di Mezzo sembra dipendere da un unico hobbit.

Oggi, sempre più persone in occidente si astengono dall’identificarsi con qualsiasi fede, e alcune delle nostre storie più popolari, come “Avatar” di James Cameron, offrono miti che sono più pagani che biblici. Eppure il fatto che i libri di Tolkien continuino a vendere e a essere letti dimostra perché molte persone credono ancora che la complessa interpretazione del nostro mondo offerta dalla Scrittura sia la rappresentazione più accurata della realtà. Una storia con alcuni personaggi decisamente non umani ci offre una profonda meditazione sull’esistenza umana e sul modo in cui le nostre vite diventano importanti a causa dei ruoli che scegliamo di interpretare. Ebrei e cristiani credono, in modi diversi, nel definitivo “ritorno del re”. Ma crediamo anche che siamo chiamati a vivere con coraggio in un mondo in cui ciò non è ancora avvenuto. In una delle scene più famose del libro e del film, Frodo desidera mestamente di vivere in un’epoca precedente alla riscoperta dell’anello, prima che il male si manifestasse così profondamente. “Anch’io”, risponde Gandalf, “e anche tutti coloro che vivono abbastanza per vedere tempi simili. Ma non spetta a loro deciderlo. Tutto ciò che dobbiamo decidere è cosa fare con il tempo che ci viene concesso”.

Questo consiglio dato da un mago a uno hobbit offre una breve sintesi di ciò che la Bibbia comunica all’umanità e di ciò che ha sostenuto uomini e donne di fede in alcuni dei tempi più bui. Cinquant’anni dopo la morte di Tolkien, la serie che ha contribuito a creare il genere fantasy resiste grazie al suo realismo».

(Traduzione di Giulio Meotti)

da il Foglio – 11 settembre 2023

Tag:Tolkien

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Tornando al titolo del Meeting, questo sta a indicare ogni anno il passo di una storia che continua e che non si ferma a guardare indietro, bloccata su se stessa. È l’espressione di un ideale che si fa vita. Ben altro che un contenitore di eventi o, peggio, di intrattenimento. Si spiega così che dopo 46 anni il Meeting ci sia ancora e sia un luogo sempre interessante e sorprendente. Un percorso analogo lo stiamo facendo come San Benedetto. Abbiamo già in preparazione alcuni incontri sui temi dell’Europa e dell’intelligenza artificiale, e tanto altro, non mancheremo di tenervi aggiornati. Al di là delle singole iniziative la fondazione è prima di tutto un luogo di incontro e di amicizia aperto a tutti. Intanto siamo già in grado di confermarvi che da giovedì 25 settembre alle 18.30 nella nostra sede di Borgo Wührer 119 a Brescia, ci ritroveremo per la Scuola di comunità. Partendo dalla lettura di alcuni testi di don Luigi Giussani è un’occasione per mettere a confronto domande ed esperienze che riguardano la nostra vita e il suo significato. Gli incontri, della durata di un’ora, si terranno con cadenza quindicinale sempre alle 18.30. La proposta è libera, gratuita e aperta a tutti. Chiediamo solo la continuità della partecipazione come segno di serietà nel percorso che ci apprestiamo a cominciare. Il giorno 25 verranno date indicazioni su come si svolgeranno gli incontri con il calendario fino a dicembre e sul testo di riferimento.

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La newsletter di oggi è l’ultima prima della pausa estiva. Anche in queste settimane per molti dedicate al riposo e alle vacanze, mentre il mondo è in fiamme e gli orrori della guerra si moltiplicano, crediamo che non si possa far finta di nulla, aprire una parentesi o staccare la spina come si usa dire. Non si può andare in vacanza senza portarsi dietro queste ferite. Portarsele con sé rende più bello e più vero il tempo del riposo. Per questo oggi vogliamo proporvi la lettura di due testimonianze da due dei principali teatri di guerra: l’Ucraina e Gaza. Già scorse settimane avevamo ricordato il caso di Vasilij Grossman, lo scrittore ucraino che dentro lo scenario di morte prodotto dalle ideologie del ’900, non aveva mai smesso di cercare «l’umano nell’uomo» come inizio di una possibilità di speranza. Le testimonianze di oggi ci dicono che anche nelle situazioni più difficili, la violenza, la distruzione e la morte possono non essere l’ultima parola. 

La prima, pubblicata sul sito «La Nuova Europa», è di Adriano Dell’Asta, professore di lingua e letteratura russa all’Università Cattolica e vicepresidente della Fondazione Russia Cristiana. Racconta la storia di Alina, giovane donna ucraina, malata di cancro in fase terminale, che nei suoi ultimi giorni di vita ha trovato accoglienza in un hospice a Charkiv, mantenuto aperto anche sotto le bombe. Tutto sembra perduto, senza speranza, in guerre ogni giorno sempre più distruttive e spregiatrici di giustizia e umanità… eppure c’è chi lotta e resiste per accompagnare sin nella morte chi è senza speranza e riaffermare una dignità e una pace che nessun malvagio può cancellare. È l’infinita sorpresa di un miracolo reale che non sapremmo neppure immaginare.

La seconda testimonianza ci è offerta dalla dichiarazione fatta dal patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa al suo rientro dalla visita a Gaza insieme al patriarca ortodosso Teofilo III. «Siamo entrati – ha detto aprendo la conferenza stampa – in un luogo devastato, ma anche pieno di meravigliosa umanità. Abbiamo camminato tra le polveri delle rovine, tra edifici crollati e tende ovunque: nei cortili, nei vicoli, per le strade e sulla spiaggia – tende che sono diventate la casa di chi ha perso tutto. Ci siamo trovati tra famiglie che hanno perso il conto dei giorni di esilio perché non vedono alcuna prospettiva di ritorno. I bambini parlavano e giocavano senza battere ciglio: erano già abituati al rumore dei bombardamenti. Eppure, in mezzo a tutto questo, abbiamo incontrato qualcosa di più profondo della distruzione: la dignità dello spirito umano che rifiuta di spegnersi».

L’appuntamento con la newsletter «Fissiamo il pensiero» tornerà domenica 7 settembre. Buone vacanze!

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