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Torniamo a De Gasperi, lo statista «costruttore»

  • Data 2 Giugno 2024

È stato il più grande statista italiano, anche se oggi pochi se ne ricordano. Ad Alcide De Gasperi, di cui nel prossimo agosto ricorreranno i 70 anni dalla morte, Antonio Polito ha voluto dedicare il suo ultimo libro, uscito da pochi giorni e significativamente intitolato «Il costruttore» (Mondadori). Sì perché proprio a lui l’Italia deve la sua rinascita dopo gli orrori e la distruzione della dittatura e della guerra. A lui deve la democrazia, un bene tutt’altro che scontato se solo guardiamo quanto sta accadendo anche adesso nel mondo. Ci pare importante sottolinearlo oggi nel giorno in cui si celebra la festa della repubblica. A Polito, giornalista con una formazione e una storia di sinistra, leale con la storia e la verità, va il merito di aver riscoperto la figura di De Gasperi, troppo presto rimossa dal suo stesso partito. Quella Democrazia Cristiana di cui lui aveva intuito la trasformazione contro la sua volontà nell’emblema della «repubblica dei partiti», un contenitore di potere che qualche decennio dopo sarebbe imploso su se stesso. Tornare a De Gasperi, primo e unico premier forte della repubblica, significa ritrovare la vera politica che sa costruire e che appare un bene sempre più scarso. L’opposto dello spettacolo avvilente a cui assistiamo tutti i giorni a cominciare dalle cronache dei telegiornali. Oggi, sottolinea Polito, c’è «chi vuole rottamare, chi promette di asfaltare, chi minaccia di usare la ruspa. I politici dei nostri giorni amano distruggere, annunciano di voler abbattere l’edificio del passato, anche se di solito finiscono per abbattersi da soli». Non ultimo, a De Gasperi si deve, con Adenauer e Schuman (tutti e tre cattolici), la nascita dell’Europa. Fu lui tra l’altro uno dei principali propugnatori di quella Comunità europea di difesa (poi mai realizzata per l’opposizione della Francia) di cui adesso si torna a parlare insistentemente. Si chiama lungimiranza, e val la pena ricordarlo alla vigilia del voto per il Parlamento europeo. Su tutti questi temi vi invitiamo a leggere anche il dialogo di Maurizio Crippa con Antonio Polito pubblicato sul Foglio in occasione dell’uscita del suo libro.

Elezioni europee e americane, online i video degli incontri

A questo link è possibile rivedere i video dei due incontri promossi dalla Fondazione San Benedetto sulle elezioni europee e sulle presidenziali Usa con gli interventi rispettivamente di Ferruccio de Bortoli, Mario Mauro e Romano Prodi, e di Marco Bardazzi e Lorenzo Pregliasco.


A lezione da De Gasperi. Tutto ciò che la politica di oggi dovrebbe imparare

di Maurizio Crippa – da Il Foglio – 21 maggio 2024

Come la ricerca di un antenato, di un progenitore che ha lasciato un’impronta profonda ma poi è stato dimenticato. Il racconto di Antonio Polito inizia da una tomba, anzi “mausoleo”, a molti sconosciuta, persino ai romani che a quella chiesa sono molto affezionati. Alla parete sinistra del portico d’ingresso della basilica di San Lorenzo fuori le Mura al Verano è addossato un sarcofago in pietra, la scritta recita: “A colui che ha amato la pace e la patria, risplenda la luce eterna”. E’ la tomba di Alcide De Gasperi, probabilmente nemmeno gli attuali protagonisti della scena politica saprebbero dire perché il primo presidente del Consiglio italiano, lo statista che guidò il passaggio della monarchia alla repubblica e avviò la ricostruzione riposi proprio lì. Non lo sanno i giovani, gli altri destinatari cui Polito ha pensato di dedicare le sue “cinque lezioni” degasperiane. Senz’altro non gli acampados della non distante Sapienza, che oggi lo additerebbero come un imperialista guerrafondaio per aver scelto di schierare l’Italia con la Nato. Alcide De Gasperi riposa lì perché fu lui a volere l’immediata ricostruzione della basilica distrutta dal bombardamento alleato del 1943, quando persino Pio XII uscì dalla reclusione in Vaticano per portare, nella Roma in mano ai nazisti, la sua preghiera con popolo di Roma.

Polito ha voluto partire dal luogo concreto di una ferita e di una memoria nazionale per il suo libro in uscita oggi per Mondadori (204 pp., 19 euro) intitolato “Il costruttore” e che ha un sottotitolo esplicito: “Le cinque lezioni di De Gasperi ai politici di oggi”. Idea nata proprio perché De Gasperi è oggi poco conosciuto come uomo ancor meno capito come politico: “Perché lui, in assoluto il maggiore statista italiano, in verità non fu compreso nemmeno allora. Fu presto emarginato, accantonato dal suo spesso partito, la Democrazia cristiana – spiega Polito in questa conversazione col Foglio – L’immagine del ‘De Gasperi uomo solo’ che sua figlia Maria Romana ha voluto consegnare attraverso il suo bel libro è reale, precisa. Il suo modo di intendere la politica era già differente allora e la storia italiana non l’ha seguito. E’ diventata subito una ‘repubblica dei partiti’ e la politica che ha iniziato subito a corrompersi, a perdere il suo significato migliore”. Oggi di De Gasperi domina l’immagine di un duro conservatore. “Conservatore sì, ma non reazionario. La verità è che stato un anti rivoluzionario: lui riteneva che la democrazia sia il contrario della rivoluzione. Oggi che vanno di moda le rivoluzioni, nel senso delle distruzioni di tutto quello che c’era prima, la sua figura di costruttore non è compresa”.

La prima lezione del libro riguarda questo: “Il vero democratico è antifascista e anticomunista allo stesso tempo stesso”. Un giudizio che non piacerà a tutti, nel paese in cui si litiga ogni giorno sulle etichette. “Eppure si dimentica che fu incarcerato due volte, nel 1904 dalla polizia austriaca assieme a Cesare Battisti e dopo il delitto Matteotti a Firenze con l’accusa di tentato espatrio clandestino. Ma la lezione che ha dato è che essere antifascisti significa essere anche anti comunisti. Perché la democrazia non è rivoluzione”. Altro concetto oggi poco di moda, nell’epoca dei rottamatori e delle ruspe. “Invece lui già prima della fine della guerra scrisse: ‘C’è molto da distruggere, ma anche da ricostruire’”.

Forse Polito, che viene da una storia e da una cultura politica di sinistra, non avrebbe mai pensato di avvicinarsi così tanto a una figura come De Gasperi, molto diversa persino dai democristiani di sinistra alla Dossetti, alla Fanfani: “Ma studiando la sua storia, la sua personalità, le sue scelte ci sono cose che lasciano stupiti e per cui prenderlo a esempio. Il conservatore, il filoamericano, il nemico giurato per i comunisti è stato un grande riformatore: mentre il Pci discuteva della rivoluzione di classe lui con la riforma agraria diede un milione di ettari di terra ai contadini; fu lui a sanare la ‘vergogna’ dei Sassi di Matera; lui, il premier più settentrionale della storia d’italia, a creare la Cassa del Mezzogiorno; lui a varare il Piano casa di Fanfani; lui a creare l’eni”. Lo scopo del libro è far capire quanto siano state cruciali non soltanto le sue idee, ma la sua prassi di governo. L’occasione sono i 70 anni dalla morte dello statista trentino, nel 1954, e da quel treno che lo portò a Roma in un cordone di cordoglio popolare che è rimasto, quello sì, nella memoria degli italiani. Però “già allora il suo metodo era stato messo in un angolo. Tutto il campo di gioco della democrazia, della collocazione internazionale al modello istituzionale lo ha tracciato lui. Eppure non è ricordato come lo è un De Gaulle, un Adenauer. Non c’è un libro di divulgazione storica su De Gasperi, è incredibile che di lui non si conosca la persona, la sua qualità, la modestia, la sobrietà, l’umiltà”. Tutte caratteristiche che i politici dovrebbero scoprire.”

Cinque lezioni: “Il vero democratico è antifascista, e anticomunista allo stesso tempo”. “La politica estera è sempre la chiave della politica interna”. “Il rigore serve per la crescita, la crescita fornisce le risorse per le riforme sociali”. “Investire (bene) nel Sud è utile anche allo sviluppo del Nord”. “Il leader è forte se sono forti le istituzioni, non i partiti”. Chissà quanti dell’attuale personale politico passerebbero l’esame. Un’altra cosa che oggi difficilmente si capirebbe, e invece risalta per attualità, è l’ultima lezione: il mito italiano dell’uomo (donna) forte e la debolezza delle istituzioni. “Prendiamo il premier forte – spiega Polito – L’unico aspetto su cui la sua costruzione, i paletti messi per indirizzare il cammino di una buona democrazia non è riuscita fu l’idea di un governo autorevole, non in balia dei partiti. Alla Costituente su questo aspetto intervenne poco, lasciò fare ad altri”. Il quel clima prevalse la paura di creare un governo troppo forte che potesse finire nelle mani dell’avversario. “Così si scelse un modello di governo debole, condizionato dal gioco dei partiti. De Gasperi invece aveva un’impostazione più anglosassone, l’idea di governo come un ‘gabinetto’ esecutivo. I partiti dovevano essere protagonisti in Parlamento e nella società, ma il governo doveva governare. Ma la sua idea fu sconfitta. Lui era avverso a una ‘repubblica dei partiti’, condizionata dalla loro ingerenza; invece ciò che nacque subito dopo di lui fu la repubblica dei partiti”. Riflette Polito: “Per capire quanto diversa fosse la sua visione basta rileggere il cruciale discorso di Predazzo del 1952, nel suo Trebtino. E’ il manifesto politico della sua battaglia contro i ‘distruttori’. Aveva intuito che la ‘repubblica dei partiti’ già lavorava contro l’interesse del paese. E disse: ‘L’unione delle forze per la demolizione che rende impossibile l’unione per la costruzione’”.

Delle cinque, qual è l’altra lezione fondamentale? “Ritengo la collocazione internazionale. Fu lui a volere fortemente l’adesione alla Nato. Persino nella Dc, Dossetti e Gronchi in primis, erano contrari. Erano neutralisti, come lo era anche il Vaticano. Ma lui non cedette e seppe far comprendere che nella incipiente Guerra fredda non si poteva essere neutrali. E convinse persino il Papa. C’è il suo influsso nel decisivo radiomessaggio di Pio XII per il Natale del 1948: ‘Un popolo minacciato o già vittima di una ingiusta aggressione, se vuole pensare ed agire cristianamente, non può rimanere in una indifferenza passiva… semplici spettatori in un atteggiamento d’impassibile neutralità. Chi potrà mai valutare i danni già cagionati in passato da una tale indifferenza, ben aliena dal sentire cristiano, verso la guerra di aggressione?’. Pensiamo all’attualità di quelle parole del Papa a fronte di certe tentazioni neutraliste di oggi”. Democrazia e non rivoluzione, forza delle istituzioni, collocazione internazionale. E poi uno stile di intervento sull’economia davvero di “ri-costruttore”, altra grande lezione dimenticata. Polito cita nel volume la minuta (redatta da Fanfani) di un dialogo tra lui e De Gasperi. Il premier aveva voluto nel governo Luigi Einaudi, aveva affidato i ministeri economici ai liberali per mantenere il rigore nei conti. Fanfani gli chiedeva di istituire addirittura un “ministero della spesa” sottratto al controllato del Bilancio. “Un dialogo che dice tutto del perenne conflitto che ha sempre animato e tuttora agita la politica italiana: tra il partito della responsabilità e il partito della spesa, l’eterna idea di finanziare lo sviluppo in deficit”. il premier si oppose, pochi anni dopo Fanfani lo sostituirà a Palazzo Chigi. Ma la grandezza di De Gasperi, spiega Polito, è avere individuato rappresentato il “quarto partito italiano, il partito dei risparmiatori, sì, dei piccoli risparmiatori”. Non un arcigno partito dei ricchi, si tratta di responsabilità verso le persone. Per Polito è un insegnamento che arriva all’oggi, persino a certe tentazioni attuali: “In Italia c’è una tara antica, lasciata dal fascismo: l’idea che il ‘partito’ è tutto, occupa tutto e fa tutto, è lui che risolve. Il partito che si sostituisce allo stato, alle istituzioni, e che si identifica con il popolo”. Il contrario di ciò che lo statista trentino sosteneva. E pensare che De Gasperi, il conservatore De Gasperi, durante gli anni del fascismo trascorsi “in esilio” in Vaticano lavorando come bibliotecario, aveva riscoperto persino i pregi del 1789: “Le libertà politiche fondamentali, insomma le basi del sistema rappresentativo, sono conquistate già nell’89 col concorso dei cattolici”, scriveva, riscoprendo la tradizione democratico-liberale europea come componente legittima del suo futuro partito.in questo atteggiamento liberale, che come racconta Polito deriva anche dal suo cosmopolitismo, dal suo essere cresciuto e avere iniziato l’attività politica in un impero multinazionale, c’è anche la radice del suo europeismo, che oggi sarebbe il contrario del sovranismo. “Basterebbe studiarsi oggi gli accordi con l’Austria per le minoranze linguistiche dell’alto Adige per trovare un esempio di convivenza eccelso. Una visione cosmopolita che ha radici profonde. Nessuno nota mai che i tre grandi costruttori dell’Europa, Adenauer, Schuman e De Gasperi, oltre che tre cattolici, sono cresciuti tutti in territori di confine: Adenauer renano, Schuman lorenese e di famiglia francese”. Schuman è Venerabile per la chiesa cattolica, De Gasperi è “servo di Dio” ed è in corso il processo di beatificazione. “Mi sono domandato oggi dove militerebbe una personalità così. Mi sono risposto che sarebbe contro i due populismi distruttori, Salvini o Conte. Ci sono tra poco le elezioni europee, riscoprire De Gasperi è un grande contributo anche in questa direzione”.

Tag:Alcide De Gasperi, Antonio Polito

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piergiorgio

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È la letteratura la vera educazione affettiva
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In queste settimane la discussione sulla cosiddetta educazione affettiva o affettivo-sessuale nelle scuole è subito degenerata in uno scontro nel quale più si alza il volume delle polemiche pretestuose più diventa difficile comprendere veramente i termini della questione. Da molti anni sulla scuola è stato scaricato qualunque tipo di «emergenza sociale» che avesse a che fare con le generazioni più giovani cercando di approntare risposte con tanto di istruzioni per l’uso e ricette alla bisogna attraverso l’intervento degli immancabili esperti, di sportelli psicologici, etc. L’ora di educazione affettiva è solo l’ultimo anello di una lunga catena. Un vero disastro.

Due settimane fa su Repubblica lo psicoanalista Massimo Recalcati aveva chiaramente sottolineato che l’educazione affettiva «non può essere considerata una materia di scuola tra le altre, non può ridursi a un sapere tecnico perché tocca ciò che di più intimo, inafferrabile e bizzarro c’è nella soggettività umana. L’idea che il desiderio possa essere oggetto di un sapere specialistico rivela un equivoco profondo: la sessualità non si insegna come si insegna la grammatica o la matematica. E poi chi dovrebbe insegnarla? Un biologo? Uno psicologo? Un insegnante di scienze naturali? Un tecnico appositamente formato? La sessualità non è un sapere universale da trasmettere, ma un’esperienza del tutto singolare e incomparabile che deve essere piuttosto custodita». 

Su questa lunghezza d’onda nella newsletter di oggi vogliamo proporvi la lettura dell’editoriale di Giuliano Ferrara pubblicato sul Foglio nei giorni scorsi. «Questa cosa – esordisce l’articolo – dell’educazione affettiva o affettivo-sessuale, col permesso dei genitori, mi sembra una castroneria». Ferrara suggerisce piuttosto la via dell’educazione sentimentale attraverso la letteratura, cominciando magari da Flaubert. L’ora di educazione affettiva fatta da insegnanti, specialisti, psicologi, in collaborazione scuola famiglia, è solo «un modo di abbrutire e diminuire la personalità degli alunni e delle alunne».  È un’ondata «di affettivismo psicologico priva di carisma e di fascino». «Si rivolgano – aggiunge Ferrara – alla letteratura, se c’è bisogno di apportare un bene patrimoniale sentimentale che integri il bagaglio delle giovani anime in cerca di una strada nella e nelle relazioni affettive e sentimentali». Parole sacrosante che sentiamo molto vere nella nostra esperienza. Non è stato infatti per un pallino culturale che come Fondazione San Benedetto quindici anni fa abbiamo lanciato a Brescia il Mese Letterario riconoscendo nella letteratura, e in particolare nelle opere di alcuni grandi scrittori o poeti, quel fuoco che è alimentato dal desiderio di bellezza e di verità che è nel cuore di ogni uomo e che molto c’entra con l’educazione dei nostri affetti. Per Ferrara quindi  affidare l’educazione dei sentimenti e dell’amore, questo «incunearsi nella spigolosità e nella rotondità delle anime», «a uno spirito cattedratico o a una expertise di tipo sociale», sarebbe «un errore che si potrebbe facilmente evitare con il ricorso a racconti e storie interessanti». Racconti e storie che la letteratura, attraverso la lettura, ci offre a piene mani. 

Pier Paolo Pasolini e Anna Laura Braghetti, due storie che ci parlano
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Pier Paolo Pasolini, di cui il 2 novembre sono stati ricordati i cinquant’anni della sua uccisione. Anna Laura Braghetti, brigatista rossa, morta giovedì a 72 anni, che fu carceriera di Aldo Moro e che nel 1980 sparò uccidendolo al vicepresidente del Csm Vittorio Bachelet. È di loro, di Pasolini e di Braghetti, che vogliamo occuparci in questa newsletter soprattutto per «fissare il pensiero» su alcuni spunti che la loro storia personale ci offre e che riteniamo significativi per noi oggi. Su Pasolini vi proponiamo un intervento del filosofo Massimo Borghesi, che lo definisce «un grande intellettuale, come pochi in Italia nel corso del Novecento» capace di interpretare con largo anticipo i cambiamenti che ora stiamo vivendo.
In particolare Borghesi si sofferma sulla posizione di Pasolini rispetto al ’68: «L’antifascismo inteso come progressismo, cioè come lotta alla reazione, per Pasolini non era più alternativa democratica, ma il modo con cui si realizzava un nuovo fascismo. Questa è l’intelligenza di Pasolini sul passaggio tra anni Sessanta e Settanta: vede nascere una nuova ideologia apparentemente progressista ma funzionale a un nuovo potere di destra». Per Borghesi Pasolini, a differenza di Marcuse, è disincantato, «capisce che il ’68 è rivolta della borghesia, non del proletariato: non trovi un operaio nella rivolta del ’68. È una rivolta degli studenti, dei figli della buona borghesia delle città. E qual è il messaggio del ’68? Un nuovo individualismo di massa. Serve ad abbandonare – contestare, distruggere – i vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra, e così crea l’uomo a una dimensione: senza radici, senza legami, contro famiglia ed elementi comunitari. Favorisce un individualismo di massa egoistico e solipsistico, trionfo della società borghese allo stato puro».
Pasolini non aveva forse intravisto il mondo in cui oggi siamo immersi?  Per questo val la pena leggerlo e rileggerlo. E come Fondazione San Benedetto l’abbiamo messo più volte a tema negli incontri del Mese Letterario, già sin dalla prima edizione.
Sulla storia di Anna Laura Braghetti vi invitiamo invece a leggere l’articolo di Lucio Brunelli apparso sull’Osservatore Romano. Dopo aver ripercorso le sue tappe come terrorista, Brunelli sottolinea che poi in Braghetti maturò il pentimento: «Un pentimento graduale e autentico, quindi lancinante, consapevole del terribile male compiuto. E compiuto – questo il paradosso più drammatico di quella storia – in nome di un ideale di giustizia». Fino all’incontro in carcere con il fratello di Bachelet. «Da lui – raccontava Braghetti – ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile».
A un convegno sul carcere organizzato dalla Caritas, qualche tempo dopo – ricorda Brunelli -, «la Braghetti incontrò il figlio di Bachelet, Giovanni. Si riconobbero e si salutarono. Giovanni le disse: “Bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato”. Anna Laura commentò: “Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene”». Questa la conclusione di Brunelli: «Forse sono ingenuo o forse è la vecchiaia ma ogni volta che leggo queste pagine mi commuovo nel profondo. E penso che solo un Dio, e un Dio vivo, può fare miracoli così».

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