Thomas ucciso a 16 anni e l’orizzonte del niente
La cronaca degli ultimi giorni è stata segnata dall’agghiacciante uccisione di un sedicenne a Pescara. Al di là della ricostruzione dell’accaduto e dell’impatto emotivo superficiale che una notizia del genere inevitabilmente suscita per poi tornare altrettanto rapidamente ad anestetizzarsi con le solite distrazioni, vogliamo provare a soffermarci su cosa un fatto come questo dica alla nostra vita. Ci si chiede come sia possibile questa assurda esplosione di violenza seguita dall’indifferenza con cui dopo aver ucciso si va in spiaggia a farsi un bagno. In un’intervista al Corriere la madre di un’amica di uno dei ragazzi fermati per l’omicidio ha detto: «Credo che a quel ragazzo nessuno abbia trasmesso nulla». Forse qui sta il problema. Su questo vi proponiamo la lettura dell’articolo di Marina Corradi pubblicato su Avvenire. L’avvocato di uno dei ragazzi accusati del delitto ha dichiarato: «Non ci sono ricette, non ci sono segreti. Il mestiere di genitore è semplicemente un mestiere impossibile, nel quale occorre avere fortuna. Non si dica che mancava il controllo dei genitori, perché non è vero. I miei clienti vigilavano sul loro figlio. Chi può giudicare? La fortuna, ripeto, è tutto». Per Corradi siamo di fronte a «parole che fanno trasalire». Se tutto dipende dalla fortuna, dal caso, più nessuno allora veglia sul destino dei figli, non c’è alcun Dio che abbia a cuore i nostri figli? «Quale dirompente modernità – si chiede – ha creato questa forma mentis annichilente, per cui siamo niente, una pallina sulla roulette?». Possiamo rassegnarci a questo?
Nessuno veglia sul destino dei figli
L’avvocato di uno degli accusati del delitto ha detto: la fortuna è tutto. Ma allora, nessuno veglia sul destino dei figli, non c’è alcun Dio che abbia a cuore i nostri figli?
di Marina Corradi
da Avvenire – 25 giugno 2024
Pescara, due ragazzi di buona famiglia. La vittima, un piccolo, disgraziato trafficante. 16 anni aveva Christopher, e 200 euro, pare, doveva a quei due. Che, poi, quella sera sono andati al mare.
La madre di un arrestato prega: prega che a brandire il coltello non sia stato suo figlio. Ma sono le parole di un avvocato dei ragazzi, che ti restano in mente. Chissà, forse anche quell’avvocato è un padre. Dice al Corriere: «Non ci sono ricette, non ci sono segreti. Il mestiere di genitore è semplicemente un mestiere impossibile, nel quale occorre avere fortuna. Non si dica che mancava il controllo dei genitori, perché non è vero. I miei clienti vigilavano sul loro figlio. Chi può giudicare? La fortuna, ripeto, è tutto».
Parole che fanno trasalire. La fortuna, anzi, la Fortuna, è tutto. Nessun Dio più ci dice, come nei Salmi: «Quando ti formavo nel grembo di tua madre, già ti conoscevo». Nessun Dio che sappia anche quanti capelli abbiamo sul capo. Via, storie, favole, teneri ricordi di un catechismo buttato via a sedici anni. Nessuno veglia sul destino dei figli nelle notti del sabato, che sulle strade al mattino rendono sempre dei morti.
Semplicemente, non c’è alcun Dio che abbia a cuore i nostri figli: che abbia un disegno, magari anche difficile o doloroso, su di loro. Fortuna, ci vuole. Come si fa? Scegliere gli ambienti “migliori”, sorvegliare le pagelle, frugare goffamente negli smartphone? Basta? È sufficiente? Fortuna, in realtà, vuole dire il niente.
Come in una roulette che gira veloce, con la pallina che salta e corre finché si posa graziosa, imprevedibile, su un numero. Pair, impair, rouge, noir, i giocatori fissano la ruota. La Fortuna è misteriosa e ingovernabile. E altrettanto varrebbe, quanto al crescere i figli? Che orizzonte pauroso. Se fosse diffuso, spiegherebbe in parte la nostra denatalità. Non solo soldi in meno o part time negati, ma: paura. Guarda cosa succede, leggi i giornali: cosa possono diventare a sedici anni, quei figli spesso unici, spesso vezzeggiati.
Nell’orizzonte di un Caso neopagano, veramente può far paura, avere un figlio. Ma, in due generazioni, quanta memoria si è persa. Anche al di là dell’Italia cristiana. C’era una cultura laica che si tramandava: le fede nella giustizia, nell’eguaglianza, nella libertà. Quanti giovani partigiani sono morti per questo. Avevano ricevuto una eredità. Hanno combattuto per qualcosa. Figli perduti ma non per un nulla, non nel Caso.
Quale dirompente modernità ha creato questa forma mentis annichilente, per cui siamo niente, una pallina sulla roulette? Forse, il troppo? Troppo benessere, troppa roba, troppi soldi? C’è bisogno ancora di combattere, c’è bisogno di pregare in un mondo in cui tutto pare, almeno se nasci dalla parte giusta, garantito? La coscienza cristiana di essere figli, la necessità di una mendicanza, si è annacquata in quasi 80 anni di pace? Duro da dirsi, ma le madri che avevano i ragazzi al fronte pregavano, e insegnavano a pregare. Voglia il cielo che non arrivi, vicina, una guerra, a ricordarci il nostro essere figli.
E come ci si propizia la Fortuna? Con gli oroscopi, con i talismani? Chi si prega la notte, quando “lui” alle cinque ancora non è tornato? La fede in un Dio che ci conosce, uno per uno, è stata alla radice dell’Occidente cristiano. Chissà quale Italia verrà, nell’era della Fortuna. Ma già si vedono molte culle e banchi vuoti. Non si hanno figli, nell’orizzonte del niente.
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