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A tu per tu con le questioni radicali della vita

  • Data 9 Novembre 2024
«Le questioni radicali, oggi, sono la vita e la morte, il significato del vivere, il senso della sua conclusione». Lo scrive Luciano Violante, nel suo libro «Ma io ti ho sempre salvato» (ed. Bollati Boringhieri), che sarà presentato venerdì 15 novembre alle 18.15, a Brescia al Centro Paolo VI in via Gezio Calini 30, in un incontro promosso dalla Fondazione San Benedetto. L’ex presidente della Camera dei deputati ne parlerà insieme a Julián Carrón, docente di teologia all’Università Cattolica di Milano.

Luciano Violante 

In vista di tale appuntamento questa settimana vi proponiamo la lettura di alcuni brevi estratti dal libro di Violante che ci sembrano particolarmente significativi. Nel testo viene messa a tema la questione del rapporto con la morte, partendo dall’esperienza diretta e personale dell’autore raccontata in pagine molto toccanti. «Nei momenti di crisi, come quello che stiamo attraversando, è necessario porsi le domande cruciali del convivere civile, imporci di tornare ai fondamentali. Quando la tenuta stessa della società civile sembra essere messa in discussione conviene fermarsi e domandarci quale sia il collante che ci tiene uniti, quale il criterio che sopra ogni altro può farci restare umani».

Julián Carrón
Ricordiamo che la partecipazione è aperta a tutti sino a esaurimento posti, previa registrazione a questo link dove è possibile iscriversi immediatamente. Chi intendesse partecipare e non si fosse ancora iscritto è invitato a farlo al più presto, in quanto, avendo già ricevuto molte richieste, stiamo valutando la possibilità di predisporre una seconda sala videocollegata.

 


Vivere la vita a occhi aperti

dal libro di Luciano Violante «Ma io ti ho sempre salvato» (ed. Bollati Boringhieri)
Siamo impreparati alla morte, eppure è un evento certo. Le nostre società, spinte da scienza e tecnologia, narcisiste per il predominio dell’immagine sulla parola, prigioniere di pensieri brevi e fugaci per la frammentazione dell’esistenza quotidiana, non introiettano più il concetto del limite e quindi della certezza della morte. Eppure la consapevolezza potrebbe indurci a una pausa; attendere, fermare l’azione, connettere i concetti e i fatti, radunare i fili, andare oltre il momento. Superare il rischio, dell’«altro da fare». Quando riusciamo a pensare a chi è morto, e a volte lo facciamo, ci accorgiamo che con la morte non finisce solo una persona; finiscono in modo non recuperabile fasci di affetti, di relazioni, di sentimenti, archi di vita.
Una persona non è solo corpo, voce, sguardo. E letture, ascolti, pensieri, amori, dolori, sentimenti, cose e luoghi. Nel circuito di un vitalismo fine a sé stesso, orfano di pensiero e tanto presente nelle nostre esperienze, la vita dell’altro si essicca. Spogliato della sua vita di relazione, privato della capacità di produrre e della possibilità di consumare, non più utile per i sondaggi di opinione, il morto può offrire ai vivi solo la propria vissuta umanità. Ma hanno tutti la volontà di ripercorrere quella vita, di impegnarsi a conoscerne il senso profondo, con il rischio di percorrere anche sé stessi e porsi domande scomode? (pag. 50)
Respingiamo la realtà della morte perché ci rifiutiamo di riflettere sulla realtà della vita. Eppure il rapporto è strettissimo.
I grandi miti, le grandi religioni, le grandi filosofie ruotano attorno a una interpretazione del rapporto tra vita e morte. Il tema dell’oltre la morte e del rapporto tra morte e vita vissuta ha animato miti di straordinaria potenza, è stato parte costitutiva di grandi filosofie e di grandi religioni che hanno costruito e costruiscono un «oltre» che ha rapporto con la vita vissuta. Oggi, una secolarizzazione ricca di automatismi e priva di riflessione ci ha lasciato senza difese in un mondo amministrato da razionalità puramente strumentali. Non siamo consapevoli di ciò che ci manca per capire il senso della nascita e della vita; consideriamo la morte un’improvvisa voragine nella quale precipitare. Nel dibattito pubblico discutiamo su come garantire il diritto a una morte degna, ma non ci interroghiamo su come garantire il diritto a una vita degna.
La morte non è antagonista rispetto alla vita, né è qualcosa di estraneo; presuppone la vita e ne è la conclusione. Non ci confrontiamo sul senso della morte perché non ci confrontiamo sul senso della vita. Non varchiamo la soglia; ci fermiamo alla frenesia vitalistica del giorno per giorno. (pagg. 14-15)
Le questioni radicali, oggi, sono la vita e la morte, il significato del vivere, il senso della sua conclusione. «Un istante ancora», scrive prima di morire Adriano, nel libro di Marguerite Yourcenar, «guardiamo insieme le rive familiari, le cose che certamente non vedremo mai più… cerchiamo di entrare nella morte a occhi aperti…». Questo è possibile solo quando anche la vita è stata vissuta a occhi aperti. Se la vita è stata vissuta superficialmente, facendo prevalere l’appropriazione o la frenesia o l’ignavia, è difficile poi guardare la morte negli occhi. Non si può parlare del senso della propria morte senza parlare del senso della propria vita.
Per un complesso di tabù, per abitudine, per la terribilità che la circonda, per il vuoto di pensiero, non si parla volentieri della morte. Tuttavia, il suo attuale silenzioso protagonismo in tutto il mondo e in tante forme diverse, ci pone domande cruciali sul crinale che la nostra generazione sta attraversando. Non possiamo essere come il navigante sul battello di cui parla Schopenhauer: «Come sul mare in furia che, sconfinato da ogni parte, solleva e sprofonda ululando montagne d’onda, un navigante siede su un battello, confidando nella debole imbarcazione; così l’individuo sta placidamente in mezzo al mondo di affanni appoggiandosi e confidando nel principium individuationis», nel suo essere diverso da tutti gli altri. Ma quel battello non ci salverà, né ci salverà il principium individuationis, se non prendiamo nelle nostre mani il senso della vita e della morte: perché questo è il tema del nostro tempo. (pagg. 9-10)

Tag:Julian Carron, Luciano Violante

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piergiorgio

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La prima, pubblicata sul sito «La Nuova Europa», è di Adriano Dell’Asta, professore di lingua e letteratura russa all’Università Cattolica e vicepresidente della Fondazione Russia Cristiana. Racconta la storia di Alina, giovane donna ucraina, malata di cancro in fase terminale, che nei suoi ultimi giorni di vita ha trovato accoglienza in un hospice a Charkiv, mantenuto aperto anche sotto le bombe. Tutto sembra perduto, senza speranza, in guerre ogni giorno sempre più distruttive e spregiatrici di giustizia e umanità… eppure c’è chi lotta e resiste per accompagnare sin nella morte chi è senza speranza e riaffermare una dignità e una pace che nessun malvagio può cancellare. È l’infinita sorpresa di un miracolo reale che non sapremmo neppure immaginare.

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