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Il Mese Letterario, un’occasione per scoprire sé stessi

  • Data 30 Novembre 2024

Questa settimana ci soffermiamo ancora sul Mese Letterario per segnalarvi anzitutto che a questo link, sul sito dell’Associazione Mese Letterario,

(foto La Voce del Popolo)

trovate il video integrale dell’incontro su Omero tenuto pochi giorni fa da Valerio Capasa al Teatro Sociale davanti a oltre 700 studenti delle scuole superiori bresciane.

Si è trattato del primo appuntamento del Mese Letterario School edition appositamente ideato per le scuole. Come Fondazione San Benedetto, pur non essendo direttamente coinvolti nell’iniziativa, siamo contenti che dall’idea del Mese Letterario, nata ormai più di quindici anni fa, stiano gemmando nuove proposte attorno alla valorizzazione della letteratura come un formidabile aiuto nel «cammino verso la scoperta di sé stessi». È una storia che continua.

Su questo tema vi proponiamo la lettura dell’editoriale di don Luca Montini pubblicato sulla prima pagina del settimanale La Voce del popolo dedicato proprio all’incontro su Omero visto attraverso gli occhi di alcuni studenti. Giovani che, «come Telemaco, sono alla ricerca di sé stessi», non si accontentano di essere spettatori passivi della propria vita e «sono pronti a intraprendere un viaggio».

Paolo VI, un Papa nella tempesta

Paolo VI consegna l’anello cardinalizio a Joseph Ratzinger

Nell’ottobre di dieci anni fa Paolo VI veniva beatificato. L’avvenimento è stato ricordato venerdì a Concesio durante un incontro nella sede dell’Istituto Paolo VI che ha visto l’intervento del cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero vaticano delle Cause dei Santi. La ricorrenza di questo importante anniversario è per noi l’occasione per riproporre il testo dell’intervento che il 3 ottobre 2014 fece a Brescia nell’aula magna dell’Università Cattolica, l’allora direttore del quotidiano Il Foglio Giuliano Ferrara durante l’incontro promosso dalla Fondazione San Benedetto pochi giorni prima della beatificazione del pontefice bresciano.

Un intervento memorabile, di grande spessore, che fu preceduto anche da non poche polemiche. Fu poi pubblicato integralmente dal Foglio proprio nel giorno della beatificazione, il 19 ottobre 2014. Vi invitiamo a rileggerlo perché lo riteniamo un’occasione straordinaria per riscoprire la figura di questo grande Papa. Lo potete trovare a questo link.


Omero, Dante, Shakespeare: compagni di viaggio

di Luca Montini – da La Voce del popolo – 28 novembre 2024

Itaca, circa 3000 anni fa. Un ragazzo nemmeno ventenne, seduto solo in mezzo a una folla di uomini intenti a banchettare tiene lo sguardo fisso sui mosaici che compongono il pavimento della sua lussuosa dimora. Il corpo è immobile, la mente vaga. Non è ingenuo, sa benissimo la ragione che ha portato lì quei signori: vogliono sposare sua madre, la regina, e prendere il posto di suo padre. Appunto, il padre. “E chi l’ha mai visto? Tutti ne parlano come di un eroe, e se fosse qui – pensa il ragazzo tra sé e sé – saprebbe come risolvere la situazione. Ma io non so nemmeno che faccia abbia, mio padre. Non conosco il calore delle sue mani, la forza del suo braccio, l’ardore del suo spirito”. Quel ragazzo si chiama Telemaco. Ma anche Pietro, Giacomo, Marco, Martina, Anna, Alessia. Anche loro padre è assente; anche la loro casa è spesso abitata da sconosciuti a cui vorrebbero gridare di andarsene mentre sdraiati in camera scorrono TikTok, airpods nelle orecchie per non sentire e schermo davanti agli occhi per non vedere. Anche loro iniziano a dimenticare cosa significhi essere figli.

Lo scorso giovedì, al Teatro Sociale di Brescia – e in streaming per chi non ha trovato posto – davanti a quasi ottocento studenti, il professor Valerio Capasa si è fatto guida e maestro di coloro che, come Telemaco, sono alla ricerca di sé stessi, di chi non si accontenta di essere un passivo spettatore della propria vita, di tutti quelli che sono pronti a intraprendere un viaggio. “Vai a Pilo, e cerca notizie di tuo padre – disse un giorno a Telemaco Pallade Atena – e nel cuore gli ispirò forza e ardire, gli infuse un ricordo del padre più intenso di prima”. “Crescere – commenta Capasa – significa che puoi cercare quello che ti manca. Atena non dice: conformati, accontentati, siediti e stai in silenzio. Ma: alzati e cerca tuo padre, mettiti in cammino verso ciò che il tuo cuore desidera davvero. In questo senso, una mancanza – per Telemaco il padre, ma ognuno conosce la propria – può essere l’inizio di una ricerca”.

La dinamica è la stessa per Ulisse. Si trova su un’isola paradisiaca da sette anni dopo dieci anni a combattere la città di Troia, dorme tra le braccia della bellissima ed eternamente giovane Calipso, dimentico di fatiche e problemi. Eppure, la mattina, prima che sorga il sole, sulla spiaggia piange ricordando il figlio e la moglie lontana. “Quello che cerco l’ho nel cuore” – scrive Pavese interpretando i pensieri dell’eroe greco – ovvero: “Il mio cuore vuole di più, cerca qualcosa di più della dimenticanza. Le distrazioni non bastano, voglio la mia Itaca”. La vita è un viaggio, la scuola è un viaggio. O, perlomeno, può e dovrebbe esserlo. Per questo l’Associazione Mese Letterario ha proposto un cammino verso la scoperta di sé stessi, verso la risposta alla domanda “chi sono io?”. Il viaggio più bello, e l’unico che abbiamo il dovere di compiere – pena: una vita mediocre, borghese, silente. E la letteratura può essere una formidabile compagna di viaggio. Siamo partiti con Omero, seguiranno Dante e Shakespeare. Perché insieme a Telemaco e Ulisse, Dante e Virgilio, Amleto e molti altri, come loro e con loro, anch’io, anche noi desideriamo camminare verso la verità di noi stessi. E so per certo che tanti dei miei alunni desiderano la stessa cosa.

(foto La Voce del popolo)

Lo desidera Ines, timidissima diciottenne, silenziosa in classe ma un fiume in piena quando scrive. “Che spettacolo leggere un libro in questo modo” mi ha detto Matteo, incredibilmente e inaspettatamente commosso per chissà quale passaggio che ha toccato una corda del suo cuore. Addirittura, Chiara, alla fine dell’incontro ha confidato di volersi iscrivere a letteratura all’università. E molti altri, moltissimi altri. Tutti? No! C’è anche chi s’è annoiato, distratto, appisolato. Non è la fine del mondo: domani è un altro giorno, la campanella suonerà ancora, e sarà un altro round, un’altra occasione per scoprire se sia valsa la pena intraprendere il viaggio dal comodo letto fino alla classe e da lì a vele spiegate fino a Itaca.

Tag:Giuliano Ferrara, Luca Montini, Mese letterario, Omero, Paolo VI, Valerio Capasa

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piergiorgio

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È la letteratura la vera educazione affettiva
15 Novembre, 2025

In queste settimane la discussione sulla cosiddetta educazione affettiva o affettivo-sessuale nelle scuole è subito degenerata in uno scontro nel quale più si alza il volume delle polemiche pretestuose più diventa difficile comprendere veramente i termini della questione. Da molti anni sulla scuola è stato scaricato qualunque tipo di «emergenza sociale» che avesse a che fare con le generazioni più giovani cercando di approntare risposte con tanto di istruzioni per l’uso e ricette alla bisogna attraverso l’intervento degli immancabili esperti, di sportelli psicologici, etc. L’ora di educazione affettiva è solo l’ultimo anello di una lunga catena. Un vero disastro.

Due settimane fa su Repubblica lo psicoanalista Massimo Recalcati aveva chiaramente sottolineato che l’educazione affettiva «non può essere considerata una materia di scuola tra le altre, non può ridursi a un sapere tecnico perché tocca ciò che di più intimo, inafferrabile e bizzarro c’è nella soggettività umana. L’idea che il desiderio possa essere oggetto di un sapere specialistico rivela un equivoco profondo: la sessualità non si insegna come si insegna la grammatica o la matematica. E poi chi dovrebbe insegnarla? Un biologo? Uno psicologo? Un insegnante di scienze naturali? Un tecnico appositamente formato? La sessualità non è un sapere universale da trasmettere, ma un’esperienza del tutto singolare e incomparabile che deve essere piuttosto custodita». 

Su questa lunghezza d’onda nella newsletter di oggi vogliamo proporvi la lettura dell’editoriale di Giuliano Ferrara pubblicato sul Foglio nei giorni scorsi. «Questa cosa – esordisce l’articolo – dell’educazione affettiva o affettivo-sessuale, col permesso dei genitori, mi sembra una castroneria». Ferrara suggerisce piuttosto la via dell’educazione sentimentale attraverso la letteratura, cominciando magari da Flaubert. L’ora di educazione affettiva fatta da insegnanti, specialisti, psicologi, in collaborazione scuola famiglia, è solo «un modo di abbrutire e diminuire la personalità degli alunni e delle alunne».  È un’ondata «di affettivismo psicologico priva di carisma e di fascino». «Si rivolgano – aggiunge Ferrara – alla letteratura, se c’è bisogno di apportare un bene patrimoniale sentimentale che integri il bagaglio delle giovani anime in cerca di una strada nella e nelle relazioni affettive e sentimentali». Parole sacrosante che sentiamo molto vere nella nostra esperienza. Non è stato infatti per un pallino culturale che come Fondazione San Benedetto quindici anni fa abbiamo lanciato a Brescia il Mese Letterario riconoscendo nella letteratura, e in particolare nelle opere di alcuni grandi scrittori o poeti, quel fuoco che è alimentato dal desiderio di bellezza e di verità che è nel cuore di ogni uomo e che molto c’entra con l’educazione dei nostri affetti. Per Ferrara quindi  affidare l’educazione dei sentimenti e dell’amore, questo «incunearsi nella spigolosità e nella rotondità delle anime», «a uno spirito cattedratico o a una expertise di tipo sociale», sarebbe «un errore che si potrebbe facilmente evitare con il ricorso a racconti e storie interessanti». Racconti e storie che la letteratura, attraverso la lettura, ci offre a piene mani. 

Pier Paolo Pasolini e Anna Laura Braghetti, due storie che ci parlano
8 Novembre, 2025

Pier Paolo Pasolini, di cui il 2 novembre sono stati ricordati i cinquant’anni della sua uccisione. Anna Laura Braghetti, brigatista rossa, morta giovedì a 72 anni, che fu carceriera di Aldo Moro e che nel 1980 sparò uccidendolo al vicepresidente del Csm Vittorio Bachelet. È di loro, di Pasolini e di Braghetti, che vogliamo occuparci in questa newsletter soprattutto per «fissare il pensiero» su alcuni spunti che la loro storia personale ci offre e che riteniamo significativi per noi oggi. Su Pasolini vi proponiamo un intervento del filosofo Massimo Borghesi, che lo definisce «un grande intellettuale, come pochi in Italia nel corso del Novecento» capace di interpretare con largo anticipo i cambiamenti che ora stiamo vivendo.
In particolare Borghesi si sofferma sulla posizione di Pasolini rispetto al ’68: «L’antifascismo inteso come progressismo, cioè come lotta alla reazione, per Pasolini non era più alternativa democratica, ma il modo con cui si realizzava un nuovo fascismo. Questa è l’intelligenza di Pasolini sul passaggio tra anni Sessanta e Settanta: vede nascere una nuova ideologia apparentemente progressista ma funzionale a un nuovo potere di destra». Per Borghesi Pasolini, a differenza di Marcuse, è disincantato, «capisce che il ’68 è rivolta della borghesia, non del proletariato: non trovi un operaio nella rivolta del ’68. È una rivolta degli studenti, dei figli della buona borghesia delle città. E qual è il messaggio del ’68? Un nuovo individualismo di massa. Serve ad abbandonare – contestare, distruggere – i vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra, e così crea l’uomo a una dimensione: senza radici, senza legami, contro famiglia ed elementi comunitari. Favorisce un individualismo di massa egoistico e solipsistico, trionfo della società borghese allo stato puro».
Pasolini non aveva forse intravisto il mondo in cui oggi siamo immersi?  Per questo val la pena leggerlo e rileggerlo. E come Fondazione San Benedetto l’abbiamo messo più volte a tema negli incontri del Mese Letterario, già sin dalla prima edizione.
Sulla storia di Anna Laura Braghetti vi invitiamo invece a leggere l’articolo di Lucio Brunelli apparso sull’Osservatore Romano. Dopo aver ripercorso le sue tappe come terrorista, Brunelli sottolinea che poi in Braghetti maturò il pentimento: «Un pentimento graduale e autentico, quindi lancinante, consapevole del terribile male compiuto. E compiuto – questo il paradosso più drammatico di quella storia – in nome di un ideale di giustizia». Fino all’incontro in carcere con il fratello di Bachelet. «Da lui – raccontava Braghetti – ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile».
A un convegno sul carcere organizzato dalla Caritas, qualche tempo dopo – ricorda Brunelli -, «la Braghetti incontrò il figlio di Bachelet, Giovanni. Si riconobbero e si salutarono. Giovanni le disse: “Bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato”. Anna Laura commentò: “Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene”». Questa la conclusione di Brunelli: «Forse sono ingenuo o forse è la vecchiaia ma ogni volta che leggo queste pagine mi commuovo nel profondo. E penso che solo un Dio, e un Dio vivo, può fare miracoli così».

Il Cristo di Manoppello e Sgarbi trafitto dalla bellezza
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«Nei mesi attuali di oscurantismo, immersi nell’orrore di Gaza, nella guerra in Ucraina, nell’oppressione della cronaca, anche personale, mi convinco che vi sia molto più Illuminismo cioè quella tendenza a invadere il reale di razionale – nel pellegrinaggio al Cristo di Manoppello che non nella realtà di oggi, che sembra imporci comportamenti irrazionali». Lo scrive Vittorio Sgarbi in un articolo sul settimanale «Io Donna» a proposito del Volto Santo di Manoppello, il velo che porta impressa l’immagine del volto di Gesù, custodito nella chiesa di un piccolo paese in provincia di Pescara. Una reliquia di origine misteriosa di fronte alla quale passa in secondo piano se sia l’impronta di un volto o un’immagine dipinta. Per Sgarbi «quel volto è il volto di Cristo anche se non è l’impronta del suo volto, perché è ciò che la nostra mente sente essere vero, non la verità oggettiva di quella cosa». Si dice trafitto dalla «sua bellezza, che splende più della sua verità, cioè della sua vera o presunta corrispondenza al volto del vero Gesù, “veramente” risorto». Ecco oggi l’esperienza di cui più la nostra vita ha bisogno è proprio questo essere feriti dal desiderio della bellezza. Solo questa esperienza può mobilitare ragione, intelligenza e volontà a prendere sul serio la nostra sete di infinito, spingendo a non accontentarsi di false risposte tanto comode quanto illusorie. E si può solo essere grati che a ricordarcelo sia un inquieto e un irregolare come Sgarbi.

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