Non siamo autosufficienti, ecco perché ci serve il Natale
Non siamo autosufficienti, ecco perché ci serve il Natale
Data 21 Dicembre 2024
Natività di Gesù, Giotto, Padova, Cappella degli Scrovegni
Quella di oggi è l’ultima newsletter prima del Natale ed è l’occasione per scambiarci gli auguri. Vogliamo farlo proponendovi la lettura di un articolo di Sergio Belardinelli pubblicato pochi giorni fa dal quotidiano Il Foglio. Affronta un tema inusuale per un articolo di giornale: la preghiera. Eppure quella di pregare è «una delle caratteristiche specifiche degli uomini». «Preghiamo i nostri simili, il destino, gli dei, Dio. Nessun altro animale lo fa», sottolinea Belardinelli. È segno allo stesso tempo della nostra fragilità, di una natura segnata dal male e dall’imperfezione, e della nostra grandezza che riconoscendo la sua dipendenza strutturale si sottrae alla sua autoreferenzialità aprendosi all’altro e implorandone l’aiuto. «Preghiamo perché siamo esseri bisognosi, mai completamente autosufficienti», si legge nell’articolo. Con una sottolineatura fondamentale: mentre quando preghiamo i nostri simili possiamo verificare in tempi brevi se la nostra richiesta viene esaudita, quando ci rivolgiamo invece a Dio le cose cambiano completamente. In questo caso l’effetto delle nostre preghiere non è altrettanto facile da verificare. «Soltanto la fede – scrive Belardinelli – ci dice che non possiamo chiedere a Dio di esaudire le nostre preghiere senza metterci nelle sue mani, senza riconoscere che la sua volontà è più importante della nostra». Tutto questo si scontra con le tragedie della vita, il dolore, le ingiustizie, le guerre, ma «Dio per principio non delude mai». E questo è anche l’annuncio del Natale, del Dio che si fa bambino e viene in mezzo a noi.
Da ultimo vogliamo esprimere le nostre felicitazioni a don Armando Nolli al quale nei giorni scorsi è stato assegnato il Grosso d’oro, il massimo riconoscimento civico che il Comune di Brescia può conferire, per il suo impegno costante al servizio della comunità, l’attenzione ai più bisognosi, la capacità di coinvolgere realtà sociali, associative e tanti giovani in iniziative solidali.
La consegna del Grosso d’oro a don Armando Nolli
È davvero lungo l’elenco di quanto ha fatto, dalla direzione della Caritas ai vent’anni come parroco di San Faustino e Giovita. Oggi presta il suo servizio nella parrocchia di Santo Stefano alla Bornata nel cui territorio c’è anche la nostra sede di Borgo Wührer. Come Fondazione San Benedetto gli siamo particolarmente riconoscenti per la sua autentica amicizia e per aver ricevuto da lui, in tanti anni, concreti segni di incoraggiamento nella nostra azione.
Buon Natale e un buon 2025!
L’appuntamento con la nostra newsletter «Fissiamo il pensiero» tornerà domenica 12 gennaio.
L’uomo che prega Dio, il destino o i suoi simili ammette la sua povertà
di Sergio Belardinelli – da Il Foglio del 18 dicembre 2024
Una delle caratteristiche specifiche degli uomini è quella di pregare.Preghiamo i nostri simili, il destino, gli dei, Dio. Nessun altro animale lo fa. Pregando manifestiamo la nostra fondamentale fragilità, la nostra dipendenza, l’impossibilità di una assoluta autonomia, se si vuole, i tratti caratteristici di una natura lapsa, segnata dal male e dall’imperfezione. Riconoscere tutto questo è però anche il segno della nostra grandezza, ci costringe a pensare, ci sottrae per certi versi alla nostra autoreferenzialità, mostrandoci un altro lato del nostro essere, una relazione costitutiva con l’altro, comunque venga inteso, che tale resta anche quando la solidarietà che ne consegue non viene percepita né praticata.
L’implorazione dell’aiuto di un “altro” manifesta questa nostra specialissima costituzione ontologica ed esistenziale. Preghiamo perché siamo esseri bisognosi, mai completamente autosufficienti. Su questo credo che non ci siano dubbi. Basta guardare un bambino, un ammalato e chiunque si trovi in una qualsiasi difficoltà. Considerato però che il significato della preghiera varia a seconda dell’“altro” a cui ci rivolgiamo – un conto è pregare, poniamo, un nostro simile, altro conto è pregare Dio –, giova forse spendere in proposito qualche considerazione.
Quando, ad esempio, un affamato chiede a qualcuno di dargli da mangiare, non può avere alcuna certezza che la sua richiesta verrà esaudita; può sperarlo; e comunque non tarderà molto a verificare se lo sarà o meno; deve solo attendere che l’altro prenda la sua decisione. Qui l’effetto della preghiera è facilmente verificabile. Nel caso in cui ci rivolgiamo a Dio, invece, la situazione è del tutto diversa e persino paradossale. Un affamato che prega Dio affinché lo aiuti a procurarsi un tozzo di pane ha la certezza che la sua preghiera non cadrà nel vuoto, giacché Dio, almeno il Dio dei cristiani, ascolta sempre i suoi figli. Ma l’effetto di questa preghiera non è altrettanto facile da verificare come lo sono gli effetti delle preghiere che rivolgiamo ai nostri simili. Iddio ci ascolta e sicuramente vuole il nostro bene, ma le sue vie non sono le nostre vie. Spesso i suoi disegni sono così imperscrutabili che non possiamo nemmeno escludere che molti tra coloro che muoiono di fame muoiano pregando Dio di dar loro da mangiare. Uno scandalo che dai tempi di Giobbe riempie di sdegno il cuore degli uomini, suscitando altresì il dubbio che abbia il minimo senso rivolgere a Dio una qualsiasi preghiera.
Che sia forse meglio confidare negli uomini piuttosto che in Dio?Non credo, ma ci vuole fede. Di certo le preghiere che rivolgiamo agli uomini hanno criteri di verifica immediati e indiscutibili: avevo fame e quel tizio mi ha dato da mangiare. Con Dio le cose stanno diversamente. Soltanto la fede conferisce il giusto senso alla preghiera che rivolgiamo all’onnipotente. Soltanto la fede ci dice che non possiamo chiedere a Dio di esaudire le nostre preghiere senza metterci nelle sue mani, senza riconoscere che la sua volontà è più importante della nostra. Ogni preghiera è in fondo un confidare in qualcuno. Lo è quando ci rivolgiamo a un nostro simile e lo è quando ci rivolgiamo a Dio. Se chiediamo a qualcuno di aiutarci e questi non lo fa, possiamo dire con buone ragioni che sia un egoista o comunque uno che non ha alcuna voglia di farlo. Avevamo riposto la nostra fiducia nella persona sbagliata. Con Dio questo errore non è neanche immaginabile. Dobbiamo fidarci a tal punto di lui che, rispetto alla sua imperscrutabile volontà, siamo persino disposti ad accettare che sia per il nostro bene che egli non realizza ciò che gli chiediamo.
In quest’ottica, restano ovviamente le tragedie della vita;restano le ingiustizie, il dolore, la guerra con il suo orrendo seguito di morte, ma, a differenza degli uomini, Dio per principio non delude mai. In compenso chiede a noi di esaudire le preghiere dei nostri simili e di collaborare in questo modo ai suoi piani imperscrutabili, volti a sanare tutte le ferite che da sempre ci procuriamo gli uni con gli altri. Ci chiede perseveranza nella preghiera, non in una logica di scambio, né come ostinata volontà di ottenere ciò che vorremmo, bensì come docile apertura di credito nei confronti della possibilità che ciò che gli chiediamo corrisponda a ciò che egli vuole. Una sorta di accettazione preventiva di ciò che accade e che accadrà. In quest’ottica, ripeto, Dio non delude mai. Soprattutto non delude gli umili, coloro che soffrono, i perseguitati. Pare che siano le loro preghiere a essere più potenti. Non a caso sono loro, non certo i sapienti, diciamo pure, gli intellettuali, a essere chiamati beati.
In attesa del Conclave che dovrà eleggere il nuovo papa, nella newsletter di questa settimana ci soffermiamo ancora sulla figura di papa Francesco proponendovi la testimonianza di due giovani siciliani, Giuseppe e Claudia, oggi marito e moglie, che l’hanno conosciuto in un frangente molto complicato della loro vita. La riprendiamo dall’articolo, pubblicato sul sito del movimento di Comunione e Liberazione, che vi invitiamo a leggere. È la storia di un’amicizia imprevedibile, una testimonianza che parla da sola per la sua semplicità e per la straordinaria intensità di vita che comunica.
«La parola letteraria è come una spina nel cuore che muove alla contemplazione e ti mette in cammino». Questa settimana apriamo la nostra newsletter domenicale con queste parole di papa Francesco tratte dalla sua lettera ai poeti, pubblicata l’anno scorso, di cui vi proponiamo la lettura. Fra i tanti testi possibili abbiamo scelto questa lettera per esprimere la nostra gratitudine per ciò che questo Papa è stato. Le sue sono parole che vanno dirette al cuore. La poesia e la letteratura diventano un aiuto formidabile «a capire me stesso, il mondo, ma anche ad approfondire il cuore umano». Fanno emergere un’esperienza «debordante», che spinge ad andare «oltre i bordi chiusi», a non addomesticare le inquietudini. «Raccogliete gli inquieti desideri che abitano il cuore dell’uomo – scrive ai poeti -, perché non si raffreddino e non si spengano». Allo stesso modo c’è l’invito a non «addomesticare il volto di Cristo, mettendolo dentro una cornice e appendendolo al muro». Significa «distruggere la sua immagine».
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Quanto scrive Francesco lo sentiamo particolarmente vicino perché esprime molto efficacemente lo spirito che ci ha sempre mosso nella proposta di un’iniziativa come il Mese Letterario. Come abbiamo sottolineato non si tratta di un’attività culturale o di divulgazione, né tantomeno è una forma di intrattenimento. Nel suo piccolo per tante persone è stata invece un’occasione per riscoprire la ricchezza umana che la letteratura può offrire oltre al valore della lettura come atto di libertà. In alcuni grandi scrittori e poeti abbiamo trovato quel fuoco che è alimentato dalle domande fondamentali sull’esistenza e da un desiderio di verità, di giustizia, di bellezza che non accetta di adeguarsi a qualche sistemazione accomodante. Tra parantesi ricordiamo che giovedì 8 maggio prenderà il via la quindicesima edizione del Mese Letterario. Per chi non si fosse ancora iscritto è possibile farlo a questo link dove trovate anche il programma degli incontri.
Tornando a papa Francesco, in questi giorni sono stati pubblicati parecchi articoli, alcuni davvero interessanti, sulla sua figura e sul suo pontificato. Qui vogliamo semplicemente segnalarvi un breve ricordo scritto dal cardinale Angelo Scola sul Corriere. «In questi giorni — più che interessarmi di analisi e bilanci del papato di Francesco, in ogni caso troppo prematuri — la domanda che si è aperta in me – osserva Scola – è stata: quale richiamo il Padre Eterno ha suggerito alla mia vita e per la mia conversione attraverso papa Francesco?». Ecco questa domanda descrive, prima di ogni analisi o considerazione, la posizione più vera per vivere questi giorni.
«L’uomo che vuole fare senza Dio, fallisce. Alla fine dei conti, arriva a fare esperienza di vuoto. Di vuoto di senso. Non riesce a costruire prospettive a lungo termine. In questa società post secolare l’uomo è rimasto con la fame dentro. Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Mi viene ora in mente l’Inquisitore dei Fratelli Karamazov, “dategli il pane e staranno bene!”. Diamo il pane, diamo la giustizia umana… tutte cose che abbiamo già visto. Poi l’uomo si accorge che resta affamato, alla ricerca di qualcosa che gli riempia la vita e il cuore. Lì la Chiesa deve intervenire con la sua proposta». A parlare così è il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, in un’intervista davvero interessante pubblicata dal Foglio, che vi vogliamo proporre come lettura in occasione di questa Pasqua 2025. Un testo da leggere con grande attenzione che contiene passaggi illuminanti che vanno al cuore dei problemi di oggi. Nell’intervista Pizzaballa si sofferma sull’attuale situazione in Terra Santa, dove «niente tornerà più come prima», per passare poi alla crisi della Chiesa e al tema della fede. «Non dobbiamo temere i cambiamenti – sottolinea il patriarca -, non dobbiamo vivere di paura. Sta finendo un modello di Chiesa. Credo che Benedetto XVI l’abbia detto bene: sappiamo che sta finendo qualcosa ma non sappiamo come sarà dopo. Si definirà col tempo. Anche questa crisi, dunque, produrrà qualcosa. Le nostre valutazioni sono sempre molto umane, c’è la tentazione del potere, dei numeri, della visibilità. Ci sta anche, eh. Dobbiamo essere visibili. Ma non dobbiamo temere più di tanto questo, perché c’è anche Dio, c’è anche lo Spirito Santo. C’è la Chiesa che, attraverso la testimonianza di tante realtà, crea ancora qualcosa di buono. Non avrei troppa paura. Bisogna preoccuparsi, e lo ripeto, di essere autentici, genuini. La Chiesa non deve fare marketing: la Chiesa deve dire che non c’è niente di meglio nella vita che incontrare Gesù Cristo». Quello di Pizzaballa è anche un forte invito a riscoprire la differenza che il cristianesimo introduce nella vita dell’uomo e della società: «Il rischio – spiega – c’è sempre, sia nella Chiesa sia fuori dalla Chiesa, quello di non complicarsi la vita, di stare nell’ordinario, fatto di orizzonti normali, che stanno dentro una comprensione solo umana. Mentre invece l’incontro con Dio rompe sempre gli schemi e su questo il cristianesimo deve fare la differenza. Se non la fa, puoi avere anche tante chiese e belle basiliche, ma diventi irrilevante perché non hai niente di importante da dire».