«L’era della rivoluzione digitale – l’era di Internet, degli smartphone e l’era nascente dell’intelligenza artificiale – sta costringendo la razza umana a quello che i biologi evoluzionisti chiamano un “collo di bottiglia”, un periodo di rapida pressione che minaccia l’estinzione di culture, costumi e popoli». Lo scrive Ross Douthat, editorialista del New York Times, nell’articolo che vi segnaliamo questa settimana. Non si tratta di un banale intervento contro la tecnologia o il cambiamento in corso, ma di un’osservazione attenta e sicuramente molto critica di quanto sta accadendo che diventa un appello «contro la passività» con cui stiamo accettando che «l’era digitale prenda le cose incarnate» offrendoci in cambio dei «sostituti virtuali». Su questo tema ci siamo già soffermati anche in altre occasioni perché in ballo c’è una sfida cruciale che riguarda anzitutto l’umano. Con questo articolo vogliamo offrire un nuovo contributo alla riflessione e al confronto. Ci ha colpito che Leone XIV abbia spiegato la scelta del suo nome richiamandosi prima di tutto a Papa Leone XIII, che con l’enciclica Rerum novarum, affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale. Come fu allora – ha sottolineato – «oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina socialeper rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro». E ieri in un discorso alla Fondazione Centesimus Annus Leone XIV è ritornato sulla questione invitando a riscoprire «il mandato di educare al senso critico» di fronte alla rivoluzione digitale in corso. Il tema è dunque più che mai centrale e come Fondazione San Benedetto non intendiamo sottrarci a questa sfida che ci riguarda tutti molto da vicino. Nei prossimi mesi proporremoiniziative specificheche possano essere d’aiuto ad affrontare questa fase di cambiamento.
Continua il Mese Letterario, studentesse premiate
Giovedì si è svolta la seconda serata del Mese Letterariocon Edoardo Rialti dedicata ai tragici greci Eschilo, Sofocle, Euripide. Un intervento di grandissimo interesse che presto sarà possibile rivedere sul nostro sito vista la ricchezza e la densità dei contenuti. «Ci siamo dimenticati di essere ben più di tutte le cose che possediamo», ha detto Rialti. All’inizio della serata, sempre molto partecipata, sono state premiate tre ragazze, Sofia Thuong Piagnolente, Alessia Crucitti e Caterina Gentile, che hanno vinto il concorso letterario promosso in occasione del Mese Letterario School Edition. Tutti gli studenti che hanno preso parte al concorso parteciperanno invece a un workshop di lettura e scrittura creativa tenuto da Stas’ Gawronski. Giovedì 22 maggio vi aspettiamo alla terza serata del Mese Letterario con Stas’ Gawronskiche ci parlerà di Cormac McCarthy.
L’auditorium degli Artigianelli gremito per il secondo incontro del Mese LetterarioLe tre studentesse premiate con Laura Ferrari e Orazio Condorelli dell’Associazione Mese Letterario
Incontro per i vent’anni della San Benedetto, posti esauriti
Per l’incontro del 29 maggio a Palazzo Loggia, in occasione dei vent’anni della Fondazione San Benedetto, i posti disponibili in poche ore sono andati esauriti. Ringraziamo tutti coloro che hanno risposto prontamente al nostro invito. Purtroppo per ragioni di capienza strutturale del Salone Vanvitelliano non ci è possibile accettare altre iscrizioni. Comunque anche di questo incontro metteremo a disposizione sul nostro sito il video con la registrazione integrale.
Il vecchio mondo sta finendo
Il collo di bottiglia dell’era digitale ci sta uccidendo dolcemente, allontanando le persone dal reale e portandole nel virtuale, facendo sembrare obsoleta l’esistenza su scala umana. Un intervento di Ross Douthat sul New York Times
«Ogni grande cambiamento tecnologico ha un’ombra distruttiva, le cui profondità inghiottono stili di vita che il nuovo ordine rende obsoleti» scrive Ross Douthat sul New York Times.Ma l’era della rivoluzione digitale – l’era di Internet, degli smartphone e l’era nascente dell’intelligenza artificiale – sta costringendo la razza umana a quello che i biologi evoluzionisti chiamano un “collo di bottiglia”, un periodo di rapida pressione che minaccia l’estinzione di culture, costumi e popoli. Quando gli studenti universitari faticano a leggere testi più lunghi di un paragrafo delle dimensioni di un telefono e Hollywood fatica a competere con YouTube e TikTok, ecco il collo di bottiglia che schiaccia le forme artistiche tradizionali come romanzi e film. Quando i quotidiani e le principali confessioni protestanti svaniscono nell’irrilevanza, quando i ristoranti, i centri commerciali e le università iniziano a tracciare lo stesso arco discendente, ecco il collo di bottiglia che si stringe attorno alle vecchie forme di esistenza della classe media suburbana. Quando moderati e centristi si guardano intorno e si chiedono perché il mondo non stia andando come vogliono, perché il futuro sembra appartenere a strani radicalismi su misura, ad ammiratori di Luigi Mangione e revisionisti della Seconda guerra mondiale, ecco il collo di bottiglia che schiaccia le vecchie forme di politica del consenso, i modi discreti di relazionarsi ai dibattiti politici. Quando i giovani non frequentano nessuno, non si sposano e non mettono su famiglia, ecco il collo di bottiglia che si sta creando per le istituzioni umane più basilari di tutte. E poiché le persone non si accoppiano e non si riproducono, le nazioni invecchiano, diminuiscono e si estinguono, quando lo spopolamento travolgerà l’Asia orientale, l’America Latina e l’Europa, come accadrà, quella sarà l’ultima stretta, la parte più stretta del collo di bottiglia, la vera e propria estinzione.
L’idea che Internet porti con sé una falce è familiare: pensate a Blockbuster Video, al telefono pubblico e ad altre prime vittime della transizione digitale. Ma la portata della potenziale estinzione non è ancora adeguatamente compresa. Non si tratta di un normale ricambio generazionale in cui le agenzie di viaggio chiudono o Netflix sostituisce il videoregistratore. Tutto ciò che diamo per scontato sta entrando nel collo di bottiglia. E per qualsiasi cosa ti stia a cuore – dalla tua nazione alla tua visione del mondo, dalla tua forma d’arte preferita alla tua famiglia – la sfida chiave del XXI secolo è assicurarsi che esista ancora dall’altra parte. Questa sfida è resa più complessa dal fatto che gran parte di questa estinzione sembrerà volontaria. In un normale collo di bottiglia evolutivo, l’obiettivo è sopravvivere a una minaccia fisica immediata – una pestilenza o una carestia, un terremoto, un’alluvione o l’impatto di un meteorite. Il collo di bottiglia dell’era digitale è diverso: la nuova era ci sta uccidendo dolcemente, allontanando le persone dal reale e portandole nel virtuale, distraendoci dalle attività che sostengono la vita quotidiana e, infine, facendo sembrare obsoleta l’esistenza su scala umana. In questo contesto, la sopravvivenza dipenderà dall’intenzionalità e dall’intensità.Qualsiasi aspetto della cultura umana che le persone presumono venga trasmesso automaticamente, senza troppa riflessione cosciente, è ciò che il gergo online chiama NGMI – non ce la farà. Le lingue scompariranno, le chiese periranno, le idee politiche svaniranno, le forme d’arte svaniranno, la capacità di leggere, scrivere e fare calcoli matematici appassirà e la riproduzione della specie fallirà – tranne che tra le persone che sono ponderate, consapevoli di sé e un po’ fanatiche nel garantire che ciò che amano venga portato avanti. La mera eccentricità non garantisce la sopravvivenza: ci saranno forme di resistenza e radicalismo che si riveleranno distruttive e altre che saranno solo vicoli ciechi. Ma la normalità e l’autocompiacimento saranno fatali. E sebbene questa descrizione possa sembrare pessimista, è intesa come un’esortazione, un invito a riconoscere ciò che sta accadendo e a resistergli, a lottare per un futuro in cui le cose e gli esseri umani sopravvivano e prosperino.È un appello all’intenzionalità contro la deriva, allo scopo contro la passività – e in definitiva alla vita stessa contro l’estinzione. Inizia con la sostituzione: l’era digitale prende le cose incarnate e offre sostituti virtuali, spostando interi ambiti di interazione e coinvolgimento umano dal mercato fisico allo schermo del computer. Per l’amore, le app di incontri sostituiscono bar, luoghi di lavoro e chiese. Per l’amicizia, messaggi e messaggi privati sostituiscono il passare il tempo. Per l’intrattenimento, il piccolo schermo sostituisce il cinema e gli spettacoli dal vivo. Per lo shopping e la vendita, il negozio online sostituisce il centro commerciale. Per la lettura e la scrittura, il paragrafo breve e la risposta rapida sostituiscono il libro, il saggio, la lettera. Alcuni di questi sostituti hanno vantaggi significativi. Esistono forme di lavoro intellettuale e scientifico che erano impossibili prima che Internet annientasse la distanza. Il lavoro da remoto può essere una manna per la vita familiare, anche se limita altre forme di interazione sociale. La popolarità online dei podcast potrebbe preannunciare un declino della cultura letteraria in favore di quella orale. Ma in molti casi, i sostituti virtuali sono chiaramente inferiori a ciò che stanno sostituendo. BookTok sta alla letteratura come OnlyFans sta al grande amore romantico. Le fonti online di notizie sono generalmente scadenti rispetto all’ecosistema scomparso dei giornali cartacei. Le amicizie online sono più esili delle relazioni nel mondo reale, gli incontri online accoppiano meno persone con successo rispetto ai mercati degli incontri dell’era precedente. Il porno online… beh, avete capito il mio punto.
Lo scorrimento infinito dei social media è peggio di un bel film,ma non puoi distogliere lo sguardo, e i romanzi sono incredibilmente difficili da leggere rispetto a TikTok o Instagram. La pornografia è peggio del sesso, ma ti offre un simulacro di qualsiasi cosa tu voglia, quando lo vuoi, senza alcuna negoziazione con i bisogni di un altro essere umano. Quindi, anche se alla fine le persone ottengono meno dai sostituti virtuali, tendono comunque a tornarci e alla fine ne dipendono. Così, in condizioni digitali, la vita sociale si attenua, il romanticismo declina, le istituzioni perdono sostegno, le belle arti svaniscono e le arti popolari sono invase da superficialità e le competenze e le abitudini di base che la nostra civiltà dava per scontate vengono trasmesse solo debolmente alla generazione successiva. Infine, man mano che l’esperienza locale incarnata diventa meno importante delle alternative virtuali, il potere della sostituzione e della distrazione alimenta la sensazione che la vita reale sia fondamentalmente obsoleta. Il risultato è un panorama in cui la politica nazionale sembra incredibilmente importante e quella locale irrilevante; dove l’inglese può sembrare l’unica lingua degna di essere conosciuta e un’elezione presidenziale americana sembra un’elezione per la presidenza del mondo; dove la vita dei piccoli paesi e delle culture locali sembra, nella migliore delle ipotesi, anacronistica; dove l’influencer famoso dall’altra parte del mondo prende il posto, nel nostro spazio mentale, che un tempo occupavano amici e vicini.
Questa illusione incoraggia un antiumanesimo di moda, un impulso a giustificare il suicidio e ad espandere l’eutanasia, e un generale senso di futilità personale e culturale che è particolarmente evidente quando si visitano le aree geografiche che stanno invecchiando e spopolando più rapidamente. In questi luoghi si percepisce palpabilmente la sensazione che la storia un tempo si sia svolta qui, ma che ora stia accadendo solo in America e dentro il vostro telefono. Tutto questo descrive la nostra traiettoria prima dell’ingresso dell’intelligenza artificiale, e ogni forza che ho appena descritto è destinata a diventare più intensa man mano che l’intelligenza artificiale rimodella le nostre vite. È come se tutte le tendenze dell’era digitale si fossero accumulate fino a raggiungere questo compimento della sua logica. Quanto sopravvivrà dipenderà dalle nostre scelte deliberate: la scelta di frequentare, amare, sposarsi e procreare, la scelta di lottare per nazioni, tradizioni, forme d’arte e visioni del mondo specifiche, la scelta di limitare la nostra esposizione al virtuale, non necessariamente rifiutando le nuove tecnologie, ma cercando ogni giorno, in ogni contesto, di rendercene padroni. Le piccole nazioni sopravvivranno solo se i loro abitanti del XXI secolo guarderanno indietro ai costruttori di nazioni del XIX secolo, ai nazionalisti irlandesi, ai Giovani Turchi e ai sionisti delle origini, piuttosto che al cosmopolitismo da fine della storia in cui si stanno attualmente dissolvendo. Quindi il liberalismo stesso resisterà e prospererà solo se troverà il modo di intrecciare alcuni di questi intensi impulsi, già attenuati prima di Internet, nella sua visione della buona società, nella sua comprensione dei bisogni e dei doveri umani. (…)
Avere un figlio. Praticare la religione. Trovare la scuola. Sostenere il teatro locale, il museo, l’opera o la sala concerti, anche se si può vedere tutto su YouTube. Prendere il pennello, la palla, suonare uno strumento. Imparare la lingua, anche se esiste un’app. Imparare a guidare, anche se si pensa che presto Waymo o Tesla guideranno per voi. Esporre lapidi, non limitarsi a bruciare i morti. Sedersi con il bambino, aprire il libro e leggere. Mentre il collo di bottiglia si restringe, ogni sopravvivenza dipenderà dal prestare attenzione ancora una volta all’antico ammonimento: ho posto davanti a te la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché tu e la tua discendenza possiate vivere».
Pier Paolo Pasolini, di cui il 2 novembre sono stati ricordati i cinquant’anni della sua uccisione. Anna Laura Braghetti, brigatista rossa, morta giovedì a 72 anni, che fu carceriera di Aldo Moro e che nel 1980 sparò uccidendolo al vicepresidente del Csm Vittorio Bachelet. È di loro, di Pasolini e di Braghetti, che vogliamo occuparci in questa newsletter soprattutto per «fissare il pensiero» su alcuni spunti che la loro storia personale ci offre e che riteniamo significativi per noi oggi. Su Pasolini vi proponiamo un intervento del filosofo Massimo Borghesi, che lo definisce «un grande intellettuale, come pochi in Italia nel corso del Novecento» capace di interpretare con largo anticipo i cambiamenti che ora stiamo vivendo.
In particolare Borghesi si sofferma sulla posizione di Pasolini rispetto al ’68: «L’antifascismo inteso come progressismo, cioè come lotta alla reazione, per Pasolini non era più alternativa democratica, ma il modo con cui si realizzava un nuovo fascismo. Questa è l’intelligenza di Pasolini sul passaggio tra anni Sessanta e Settanta: vede nascere una nuova ideologia apparentemente progressista ma funzionale a un nuovo potere di destra». Per Borghesi Pasolini, a differenza di Marcuse, è disincantato, «capisce che il ’68 è rivolta della borghesia, non del proletariato: non trovi un operaio nella rivolta del ’68. È una rivolta degli studenti, dei figli della buona borghesia delle città. E qual è il messaggio del ’68? Un nuovo individualismo di massa. Serve ad abbandonare – contestare, distruggere – i vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra, e così crea l’uomo a una dimensione: senza radici, senza legami, contro famiglia ed elementi comunitari. Favorisce un individualismo di massa egoistico e solipsistico, trionfo della società borghese allo stato puro».
Pasolini non aveva forse intravisto il mondo in cui oggi siamo immersi? Per questo val la pena leggerlo e rileggerlo. E come Fondazione San Benedetto l’abbiamo messo più volte a tema negli incontri del Mese Letterario, già sin dalla prima edizione.
Sulla storia di Anna Laura Braghetti vi invitiamo invece a leggere l’articolo di Lucio Brunelli apparso sull’Osservatore Romano. Dopo aver ripercorso le sue tappe come terrorista, Brunelli sottolinea che poi in Braghetti maturò il pentimento: «Un pentimento graduale e autentico, quindi lancinante, consapevole del terribile male compiuto. E compiuto – questo il paradosso più drammatico di quella storia – in nome di un ideale di giustizia». Fino all’incontro in carcere con il fratello di Bachelet. «Da lui – raccontava Braghetti – ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile».
A un convegno sul carcere organizzato dalla Caritas, qualche tempo dopo – ricorda Brunelli -, «la Braghetti incontrò il figlio di Bachelet, Giovanni. Si riconobbero e si salutarono. Giovanni le disse: “Bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato”. Anna Laura commentò: “Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene”». Questa la conclusione di Brunelli: «Forse sono ingenuo o forse è la vecchiaia ma ogni volta che leggo queste pagine mi commuovo nel profondo. E penso che solo un Dio, e un Dio vivo, può fare miracoli così».
«Nei mesi attuali di oscurantismo, immersi nell’orrore di Gaza, nella guerra in Ucraina, nell’oppressione della cronaca, anche personale, mi convinco che vi sia molto più Illuminismo cioè quella tendenza a invadere il reale di razionale – nel pellegrinaggio al Cristo di Manoppello che non nella realtà di oggi, che sembra imporci comportamenti irrazionali». Lo scrive Vittorio Sgarbi in un articolo sul settimanale «Io Donna» a proposito del Volto Santo di Manoppello, il velo che porta impressa l’immagine del volto di Gesù, custodito nella chiesa di un piccolo paese in provincia di Pescara. Una reliquia di origine misteriosa di fronte alla quale passa in secondo piano se sia l’impronta di un volto o un’immagine dipinta. Per Sgarbi «quel volto è il volto di Cristo anche se non è l’impronta del suo volto, perché è ciò che la nostra mente sente essere vero, non la verità oggettiva di quella cosa». Si dice trafitto dalla «sua bellezza, che splende più della sua verità, cioè della sua vera o presunta corrispondenza al volto del vero Gesù, “veramente” risorto». Ecco oggi l’esperienza di cui più la nostra vita ha bisogno è proprio questo essere feriti dal desiderio della bellezza. Solo questa esperienza può mobilitare ragione, intelligenza e volontà a prendere sul serio la nostra sete di infinito, spingendo a non accontentarsi di false risposte tanto comode quanto illusorie. E si può solo essere grati che a ricordarcelo sia un inquieto e un irregolare come Sgarbi.
È un tema scomodo quello che affronta Susanna Tamaro nel suo ultimo libro «La via del cuore». Parla della nostra trasformazione, della crisi della nostra umanità, di un processo in atto che ci riguarda nel profondo. Nella newsletter di questa settimana vi segnaliamo la lettura dell’articolo che la stessa Tamaro ha scritto per il Corriere della Sera in occasione dell’uscita del libro. Cita Romano Guardini che più di sessant’anni fa parlava di un «potere in grado di penetrare nell’atomo umano, nell’individuo, nella personalità attraverso il cosiddetto “lavaggio del cervello”, facendogli cambiare contro la sua volontà la maniera in cui vede sé e il mondo, le misure in cui misura il bene e il male». È quanto sta avvenendo oggi in modo accelerato con «l’irrompere nella nostra vita dello smartphone e dei social», con conseguenze molto gravi soprattutto per i bambini. «Veniamo continuamente spinti a inseguire la nostra felicità – scrive Susanna Tamaro -, dove la felicità altro non è che il soddisfare ogni nostro più bizzarro desiderio perché non c’è alcuna legge nel mondo, nessun ordine al di fuori dei diritti del nostro ego». Siamo immersi in un «lunapark di distrazioni» che al fondo è segnato da un «odio per la vita» che non è più «un dono, una grazia, un’imprevedibile avventura, ma un peso angoscioso di cui liberarsi». La postura dell’uomo contemporaneo, come sosteneva Hannah Arendt, diventa così il risentimento. Eppure si può invertire la rotta. «Abbiamo sostituito il cuore di carne con un cuore di pietra – conclude Tamaro – e la situazione di limite in cui ci troviamo ci parla proprio della necessità di invertire la rotta, di essere in grado nuovamente di percepire le due vie che appartengono alla nostra natura (la via del bene e la via del male) e di essere consapevoli che la nostra umanità si realizza in pienezza soltanto nella capacità di discernimento. Il bene, seppure con tempi misteriosi, genera altro bene, mentre il male è in grado soltanto di provocare ottusamente altro male».