Qualcosa di più forte e profondo della distruzione
Qualcosa di più forte e profondo della distruzione
Data 26 Luglio 2025
La newsletter di oggi è l’ultima prima della pausa estiva. Mentre il mondo è in fiamme e gli orrori della guerra si moltiplicano, anche in queste settimane per molti dedicate al riposo e alle vacanze crediamo che non si possa far finta di nulla, aprire una parentesi dalla vita reale o staccare la spina come si usa dire. Non si può andare in vacanza senza portarsi dietro queste ferite.Portarsele con sé rende più bello e più vero il tempo del riposo. Per questo oggi vogliamo proporvi la lettura di due testimonianzeda due dei principali teatri di guerra: l’Ucraina e Gaza. Già nelle scorse settimane avevamo ricordato il caso di Vasilij Grossman, lo scrittore ucraino che dentro lo scenario di morte prodotto dalle ideologie del ’900, non aveva mai smesso di cercare «l’umano nell’uomo»come inizio di una possibilità di speranza. Le testimonianze di oggi ci dicono che anche nelle situazioni più difficili, la violenza, la distruzione e la morte possono non essere l’ultima parola.
La prima, pubblicata sul sito «La Nuova Europa», è di Adriano Dell’Asta, professore di lingua e letteratura russa all’Università Cattolica e vicepresidente della Fondazione Russia Cristiana. Racconta la storia di Alina, giovane donna ucraina, malata di cancro in fase terminale, che nei suoi ultimi giorni di vita ha trovato accoglienza in un hospice a Charkiv, mantenuto aperto anche sotto le bombe.
Una strada nel centro di Charkiv dopo un bombardamento russo
Tutto sembra perduto, senza speranza, in guerre ogni giorno sempre più distruttive e spregiatrici di giustizia e umanità… eppure c’è chi lotta e resiste per accompagnare sin nella morte chi è senza speranza e riaffermare una dignità e una pace che nessun malvagio può cancellare. È l’infinita sorpresa di un miracolo reale che non sapremmo neppure immaginare.
La seconda testimonianza ci è offerta dalla dichiarazione fatta dal patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa al suo rientro dalla visita a Gaza insieme al patriarca ortodosso Teofilo III. «Siamo entrati – ha detto aprendo la conferenza stampa – in un luogo devastato, ma anche pieno di meravigliosa umanità. Abbiamo camminato tra le polveri delle rovine, tra edifici crollati e tende ovunque: nei cortili, nei vicoli, per le strade e sulla spiaggia – tende che sono diventate la casa di chi ha perso tutto. Ci siamo trovati tra famiglie che hanno perso il conto dei giorni di esilio perché non vedono alcuna prospettiva di ritorno. I bambini parlavano e giocavano senza battere ciglio: erano già abituati al rumore dei bombardamenti. Eppure, in mezzo a tutto questo, abbiamo incontrato qualcosa di più profondo della distruzione: la dignità dello spirito umano che rifiuta di spegnersi».
I patriarchi Pizzaballa e Teofilo durante la conferenza stampa del 22 luglio a Gerusalemme
L’appuntamento con la newsletter «Fissiamo il pensiero» tornerà domenica 7 settembre. Buone vacanze!
Il miracolo della pace è che anche sotto le bombe esiste la pietà
Qualche giorno fa, un’amica russa,una fotografa che dall’inizio della guerra vive in Ucraina per documentare i crimini commessi dai suoi compatrioti nel corso della loro aggressione, ci aveva raccontato la storia di una giovane donna ucraina ammalata di cancro e bisognosa di cure, sperando che da noi si trovasse la cura risolutiva.
Ci aveva anche mandato la documentazione medica,chiedendoci di verificare se fosse possibile portarla in Italia. I medici che avevamo interpellato ci avevano detto che ormai la situazione era irreversibile e che non aveva senso tentare un qualsiasi trasferimento: Alina, così si chiamava la malata, sarebbe quasi sicuramente morta durante il trasporto.
Questa mattina l’amica fotografa ci ha mandato questo messaggio: «Alina è morta oggi, in pace, in un luogo pulito e silenzioso. Se n’è andata senza soffrire, nello stupendo hospice dell’ospedale municipale n. 17 di Charkiv… Eravamo riusciti a portarla in questo posto benedetto da Dio [a Charkiv, sotto le bombe!] solo ieri mattina. Sino alla fine, accanto ad Alina è rimasto il suo amico Dima che ieri mi aveva sussurrato in un orecchio: “Vorrei morire con lei…”. Grazie a tutti quelli che ci hanno aiutato. I nostri sforzi comuni le hanno permesso di andarsene con dignità. Prima o poi racconterò la sua storia, ma adesso non ne ho la forza. Pace e amore a tutti!».
In attesa di questo racconto non potevamo tacerne del tutto:storia di una tragedia irreparabile, che si è consumata durante una guerra altrettanto irreparabile e senza fine, che getta tutti in una disperazione ogni giorno più spaventevole. La stessa amica che ce la raccontava – ripeto, russa – aveva espressioni durissime nei confronti del male commesso dalla sua gente: indegna, incapace di ritrovare la dignità di un’opposizione sia pur minima.
E noi che la sentivamo avvertivamo lo stesso senso di indegnità pensando alle preoccupazioni di tanta parte della nostra gente, assillata più dall’ansia di stare in pace che non dal desiderio della pace. E, travolti dalle impressioni, non ci rendevamo conto che lei, rischiando la vita da più di tre anni per documentare il male dei suoi era già la loro speranza, piccola e minoritaria, ma reale.
E neppure ci rendevamo conto che quell’hospice,mantenuto aperto e pulito sotto le bombe che colpiscono proprio i luoghi più indifesi, era il segno di qualcosa di più di una speranza, era il segno di una società che resiste e rende possibile una dignità nonostante tutto e col rischio di essere spazzata via a ogni istante, eppure ben reale.
E noi? Sentiamo, almeno, il dolore dell’amica fotografache dice di non avere la forza, e invece ce l’ha? Sussurrando, ci sfida a non tacere, almeno noi, o meglio, ad accompagnare questi amici, non girando la faccia dall’altra parte, ma stando ai piedi della loro croce e capendo che questo stare, nel dolore della sua impotenza, nel dolore della sua sofferenza, è già un partecipare a quella rinascita che non siamo capaci di darci da soli eppure, anch’essa, è così reale, in Alina e Dima, nella loro amica fotografa e in chi tiene in piedi quell’hospice benedetto da Dio.
Da Gaza con il cuore spezzato
Dichiarazione del Cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme alla conferenza stampa congiunta – Centro Notre Dame di Gerusalemme
22 luglio 2025
«Siamo afflitti, ma sempre gioiosi; poveri, ma arricchiamo molti; non possediamo nulla, ma possediamo tutto». – (2 Corinzi 6,10)
Cari fratelli e sorelle,
il Patriarca Teofilo III ed io siamo tornati da Gaza con il cuore spezzato.Ma anche incoraggiati dalla testimonianza di molte persone che abbiamo incontrato.
Siamo entrati in un luogo devastato, ma anche pieno di meravigliosa umanità.Abbiamo camminato tra le polveri delle rovine, tra edifici crollati e tende ovunque: nei cortili, nei vicoli, per le strade e sulla spiaggia – tende che sono diventate la casa di chi ha perso tutto. Ci siamo trovati tra famiglie che hanno perso il conto dei giorni di esilio perché non vedono alcuna prospettiva di ritorno. I bambini parlavano e giocavano senza battere ciglio: erano già abituati al rumore dei bombardamenti.
Eppure, in mezzo a tutto questo, abbiamo incontrato qualcosa di più profondo della distruzione:la dignità dello spirito umano che rifiuta di spegnersi. Abbiamo incontrato madri che preparavano da mangiare per gli altri, infermiere che curavano le ferite con gentilezza e persone di tutte le fedi che continuavano a pregare il Dio che vede e non dimentica mai.
Cristo non è assente da Gaza.È lì, crocifisso nei feriti, sepolto sotto le macerie eppure presente in ogni atto di misericordia, in ogni candela nell’oscurità, in ogni mano tesa verso chi soffre.
Non siamo venuti come politici o diplomatici, ma come pastori.La Chiesa, l’intera comunità cristiana, non li abbandonerà mai. È importante sottolineare e ripetere che la nostra missione non è rivolta a un gruppo specifico, ma a tutti. I nostri ospedali, rifugi, scuole, parrocchie – San Porfirio, la Sacra Famiglia, l’ospedale arabo Al-Ahli, la Caritas – sono luoghi di incontro e condivisione per tutti: cristiani, musulmani, credenti, scettici, rifugiati, bambini.
Gli aiuti umanitari non sono solo necessari, sono una questione di vita o di morte.Rifiutarli non è un ritardo, ma una condanna. Ogni ora senza cibo, acqua, medicine e riparo provoca un danno profondo.
L’abbiamo visto: uomini che resistono al sole per orenella speranza di un semplice pasto. È un’umiliazione difficile da sopportare quando la si vede con i propri occhi. È moralmente inaccettabile e ingiustificabile. Sosteniamo quindi l’opera di tutti gli attori umanitari – locali e internazionali, cristiani e musulmani, religiosi e laici – che stanno rischiando tutto per portare la vita in questo mare di devastazione umana.
E oggi leviamo la nostra voce in un appello ai leaderdi questa regione e del mondo: non può esserci futuro basato sulla prigionia, lo sfollamento dei palestinesi o sulla vendetta. Deve esserci un modo per restituire la vita, la dignità e tutta l’umanità perduta. Facciamo nostre le parole di Papa Leone XIV pronunciate domenica scorsa durante l’Angelus: «Rinnovo il mio appello alla comunità internazionale affinché osservi il diritto umanitario e rispetti l’obbligo di proteggere i civili, nonché il divieto di punizioni collettive, l’uso indiscriminato della forza e lo sfollamento forzato della popolazione».
È ora di porre fine a questa assurdità, di porre fine alla guerra e di mettere al primo posto il bene comune delle persone. Preghiamo e chiediamo il rilascio di tutti coloro che sono stati privati della libertà, il ritorno dei dispersi e degli ostaggi e la guarigione delle famiglie che da tempo soffrono da tutte le parti.
Quando questa guerra sarà finita, avremo un lungo viaggio davanti a noiper iniziare il processo di guarigione e riconciliazione tra il popolo palestinese e il popolo israeliano, dalle troppe ferite che questa guerra ha causato nella vita di troppi: una riconciliazione autentica, dolorosa e coraggiosa. Non dimenticare, ma perdonare. Non cancellare le ferite, ma trasformarle in saggezza. Solo un percorso di questo tipo può rendere possibile la pace, non solo politicamente, ma anche umanamente. Come pastori della Chiesa in Terra Santa, rinnoviamo il nostro impegno per una pace giusta, per la dignità incondizionata e per un amore che trascende tutti i confini.
Non trasformiamo la pace in uno slogan, mentre la guerra rimane il pane quotidiano dei poveri.
Questa settimana abbiamo scelto come proposta di lettura una conversazione con lo psicoanalista Massimo Recalcati pubblicata nei giorni scorsi sul Sole 24 Ore dopo l’uscita del suo ultimo libro, “La luce e l’onda. Cosa significa insegnare” (Einaudi). Dei numerosi spunti che offre ne segnaliamo in particolare due particolarmente interessanti. Il primo riguarda l’insegnamento. Oggi la scuola è ridotta ad «asilo sociale o ad azienda che dispensa informazioni». Per Recalcati occorre «cambiare passo», ritrovare la figura del maestro che spinge il bambino nell’impatto con l’onda della realtà. Il secondo spunto è il desiderio come fuoco che rende viva la nostra vita. «Il desiderio – sottolinea Recalcati – è una potenza che allarga l’orizzonte della nostra vita. In fondo non è tanto importante avere una vita lunga. Importante è piuttosto avere una vita ricca, ampia, larga, una vita animata, scossa, resa più viva, dal desiderio. Il desiderio è il contrario del discontinuo, della rincorsa affannosa di quello che illusoriamente ci farebbe felici. È una nostra vocazione. Il desiderio emerge così, come una nostra inclinazione singolare, un nostro talento».
Il 9 ottobre è stata pubblicata l’esortazione apostolica «Dilexi te», il primo documento a firma di Papa Leone XIV. È dedicata all’amore verso i poveri. Un documento da leggere che segna questo inizio del suo pontificato e che si pone in continuità con l’ultima enciclica di Papa Francesco pubblicata un anno fa con il titolo «Dilexit nos», sul Sacro Cuore di Gesù. In questo modo si vuole sottolineare come l’esperienza dell’amore di Cristo e la concretezza della cura della Chiesa verso i poveri siano inscindibili. Non sono separabili, non c’è l’una senza l’altra. Tutti temi che non sono certo sotto i radar dell’informazione o delle cronache abituali, e che per molti aspetti possono spiazzare. Il Papa arriva addirittura a definire la cura per i poveri «il nucleo incandescente della missione ecclesiale». Non ne tratta in termini sociologici. Precisa subito che «non siamo nell’orizzonte della beneficenza, ma della Rivelazione». In un commento sull’Osservatore Romano, che vi invitiamo a leggere, Andrea Tornielli, direttore editoriale del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, scrive che «la centralità dell’amore ai poveri è nel cuore del Vangelo stesso e non può dunque essere derubricata a “pallino” di alcuni Pontefici o di determinate correnti teologiche, né può essere presentata come una conseguenza sociale e umanitaria estrinseca alla fede cristiana e al suo annuncio». Anche di questo avremo modo di parlare direttamente con lo stesso Tornielli che sarà a Brescia il prossimo 24 ottobre su invito della Fondazione San Benedetto.
La gravissima situazione della Terra Santa, la guerra in Ucraina che non accenna a fermarsi, sono solo i due scenari più esplosivi per il loro carico di violenza insensata, morte e distruzione, alle porte di casa nostra, senza dimenticare quanto sta accadendo purtroppo in molti altri angoli del mondo dall’Africa ad Haiti, per arrivare al Myanmar, e di cui non si parla mai. Non è il tempo delle polemiche. Soffiare sul fuoco delle contrapposizioni in questa situazione è quanto di più sterile si possa fare. Diventano armi di distrazione di massa che impediscono di considerare le emergenze reali a cominciare da quelle delle popolazioni indifese che da Gaza a Kiev subiscono gli effetti della violenza. E la prima emergenza adesso è la costruzione della pace. Ci riconosciamo totalmente nel giudizio espresso nel volantino diffuso in questi giorni da Comunione e Liberazione che vi invitiamo a leggere. In tale contesto, crediamo che il compito dell’Europa, ancor di più oggi, sia decisivo per dar corpo a percorsi alternativi che non siano basati sulla legge del più forte. Come ha più volte sottolineato anche nelle ultime settimane il presidente Mattarella si tratta di «fare l’Europa per superare la logica del conflitto e delle guerre, per evitare l’oppressione dell’uomo sull’uomo, per ribadire la dignità di ogni essere umano, di ogni persona». Oggi questa è l’unica strada praticabile che abbiamo di fronte per dare un futuro alle nostre democrazie. Su questo come Fondazione San Benedetto proporremo nei prossimi mesi iniziative specifiche. Certamente l’Europa si trova di fronte a un bivio ineludibile: procedere verso una progressiva decadenza diventando irrilevante e tradendo le grandi promesse da cui era nata, oppure ritrovare una propria identità originale alternativa alle autocrazie che oggi dominano il mondo. Su questi temi vi invitiamo a leggere, come spunto di riflessione, l’articolo di Allister Heath, editorialista del quotidiano britannico The Telegraph.