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L’onda della realtà e il desiderio, conversazione con Recalcati

  • Data 18 Ottobre 2025

Questa settimana abbiamo scelto come proposta di lettura una conversazione con lo psicoanalista Massimo Recalcati pubblicata nei giorni scorsi sul Sole 24 Ore dopo l’uscita del suo ultimo libro, La luce e l’onda. Cosa significa insegnare (Einaudi). Dei numerosi spunti che offre ne segnaliamo in particolare due particolarmente interessanti. Il primo riguarda l’insegnamento. Oggi la scuola è ridotta ad «asilo sociale o ad azienda che dispensa informazioni». Per Recalcati occorre «cambiare passo», ritrovare la figura del maestro che spinge il bambino nell’impatto con l’onda della realtà. Il secondo spunto è il desiderio come fuoco che rende viva la nostra vita. «Il desiderio – sottolinea Recalcati – è una potenza che allarga l’orizzonte della nostra vita. In fondo non è tanto importante avere una vita lunga. Importante è piuttosto avere una vita ricca, ampia, larga, una vita animata, scossa, resa più viva, dal desiderio. Il desiderio è il contrario del discontinuo, della rincorsa affannosa di quello che illusoriamente ci farebbe felici. È una nostra vocazione. Il desiderio emerge così, come una nostra inclinazione singolare, un nostro talento».

Da Francesco a Leone, il 24 ottobre dialogo con Andrea Tornielli 

Venerdì 24 ottobre alle 18.30, a Brescia nella Sala convegni della Poliambulanza, in via Bissolati 57, la Fondazione San Benedetto propone un incontro-dialogo con Andrea Tornielli, direttore editoriale del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, sul tema «Da Papa Francesco a Papa Leone, le nuove sfide per la Chiesa». Sarà un’occasione straordinaria per dialogare anche attraverso le domande del pubblico sul momento attuale della vita della Chiesa. La partecipazione è aperta a tutti previa registrazione a questo link e sino ad esaurimento posti.


Quei maestri straordinari dai quali ho imparato a non imitarli

«Maestro è una parola e una figura in via d’estinzione. Il suo tramonto coincide con l’imporsi di un linguaggio disossato, informatizzato, senza più rapporti con la vita, subordinato al feticismo delle cifre, colonizzato dalla videocrazia e da una dimensione solo artificiale dell’intelligenza. La nostra scuola non respira bene. La sua esistenza è ridotta a quella di un asilo sociale o di un’azienda che dispensa informazioni. Il nostro tempo vorrebbe decretare la morte dei maestri nel nome di una riduzione della didattica a pura tecnica di apprendimento. Bisognerebbe invece cambiare passo. Intanto restituire alla scuola la dimensione della luce. È questa dimensione che la figura del maestro custodisce. La trasmissione del sapere non avviene per accumulazione ma per illuminazione». A parlare è lo psicoanalista Massimo Recalcati in una conversazione con Francesca Barbiero pubblicata su Il Sole 24 Ore del 12 ottobre, dopo la pubblicazione del suo ultimo libro, La luce e l’onda. Cosa significa insegnare (Einaudi).

Massimo Recalcati

«La metafora della luce e dell’onda – continua l’articolo – è ispirata da uno dei maestri di Recalcati, Gilles Deleuze. Immaginiamo una spiaggia, nel mare mosso un istruttore insegna a un bambino a nuotare. L’istruttore mima la rana, il delfino, la farfalla, e il bambino ripete nel modo più fedele possibile i gesti del suo maestro. Ma è questo che definisce il processo di apprendimento e formazione? “Manca qualcosa di essenziale che deve ancora accadere – spiega Recalcati –. E finalmente accade quando il maestro spinge con decisione il bambino contro l’onda che si sta infrangendo verso la riva. È solo l’impatto con il reale dell’onda che può scuotere l’allievo dal suo torpore imitativo costringendolo ad assimilare singolarmente il sapere sino ad allora compreso solo astrattamente“. L’onda è “il reale anarchico”, è l’imprevedibile e ingovernabile della vita che scombussola l’apprendimento scolastico: “L’obiettivo fondamentale di ogni processo di formazione non può ridursi ad essere la replica del sapere del maestro, perché scaturisce sempre da un salto singolare, da un impatto con l’incalcolabile e l’imprevedibile che l’onda rappresenta“. Ma imitare il maestro è solo il primo passo. “È necessario – prosegue Recalcati – uno strappo, una deviazione, una audacia come quella che il bambino sulla spiaggia deve mostrare nel suo fronteggiare in solitudine l’urto imprevedibile dell’onda. Bisogna abbandonare l’illusione scolastica che apprendere sia davvero fare perfettamente come fa il maestro. L’idealizzazione monumentale dei maestri tende a paralizzare la nostra iniziativa rendendo impossibile un gesto di creazione. Se è sempre necessario fare con dei maestri è altrettanto necessario non fare come loro, ma trovare l’imperfezione singolare che caratterizza il nostro stile. È quello che Lacan diceva ai suoi allievi, mentre li ammoniva di non scimmiottarlo: fate come me, non imitatemi!“.

Nella vita di Recalcati i maestri non sono mancati e sono stati incontri per lui decisivi che hanno determinato il corso dell’esistenza: Giulia Terzaghi, giovane insegnante di lettere nell’istituto tecnico di Quarto Oggiaro, Franco Fergnani, professore di filosofia morale alla Statale di Milano. E poi, in un’estate afosa del 1985, nella biblioteca Sormani, l’incontro con i libri di Lacan perché “tra gli incontri che hanno contribuito alla nostra vita ci sono sicuramente i libri che abbiamo letto. Ma nella vita contano forse ancora di più gli incontri mancati, gli incontri ai quali non abbiamo risposto”.

È comunque il desiderio il vero motore che rende la nostra vita viva. E non è scontato: “Il desiderio – sottolinea Recalcati – è una potenza che allarga l’orizzonte della nostra vita. In fondo non è tanto importante avere una vita lunga. Importante è piuttosto avere una vita ricca, ampia, larga, una vita animata, scossa, resa più viva, dal desiderio. In questo senso il desiderio, se si vuole dire così, serve a rendere una vita degna di essere vissuta. Il desiderio è una vocazione singolare, un’inclinazione o come un talento che accompagna la nostra vita sin dal tempo dell’infanzia. Gli incontri che facciamo possono rafforzare questa inclinazione oppure mostrarcene altre che non conoscevamo. Il desiderio è il contrario del discontinuo, della rincorsa affannosa di quello che illusoriamente ci farebbe felici. È una nostra vocazione. Il desiderio emerge così, come una nostra inclinazione singolare, un nostro talento”.

Per Recalcati il desiderio non ha sempre bisogno del nuovo e il matrimonio non è condannato a essere il cimitero del desiderio: “C’è sempre nell’amore qualcosa che ci cattura non nonostante ci sfugga la chiave per possederlo ma proprio perché quella chiave ci sfugge senza scampo”. Lacan fa una riflessione sulla parola amour, che nella lingua francese porta con sé quella appunto del muro, di una parete che separa in modo inesorabile e non ci dà la chiave per possederlo: “La domanda dell’amore è ancora, encore. Contiene l’infinita domanda di ripetizione che ispira l’incontro d’amore. L’amore non è niente se non i suoi atti. Darsi, donarsi, tuffarsi, saltare nel vuoto, disarmarsi”. Il nostro tempo non ha più idea della durata. Consuma ogni cosa in tempi sempre più rapidi. La bellezza della durata consiste invece nel pensare che il tempo non ci allontana dall’inizio – dal primo bacio, dal primo incontro – ma lo sappia rinnovare, sappia restare fedele al tempo dell’evento, al tempo dell’inizio.

Recalcati crede nell’amore ma non nella felicità come condizione dell’essere umano: “Non siamo fatti per la felicità ma per le possibilità della gioia. La gioia non è uno stato dell’essere ma un’esperienza. Possiamo fare un’esperienza di gioia, guardando nostro figlio o il mare. Per questo è fuorviante la definizione che l’Oms fa della salute mentale come stato di completo benessere fisico, sociale e psicologico”.

Quando Recalcati incontra i genitori dei suoi pazienti non si concentra su quanto siano stati tra di loro in armonia rispetto al loro ruolo di genitore ma quanto quel figlio sia stato desiderato: “Il figlio non può e non deve essere divorato dalle aspettative familiari. Ogni figlio ha un desiderio singolare. E desiderare i figli è anche desiderare di perderli”. Recalcati nega di essersi occupato più di padri che di madri. “Alla madre ho dedicato un libro, Le mani della madre. Quello che io chiamo madre non corrisponde necessariamente alla madre reale intesa come la genitrice biologica del figlio. Madre al pari di padre sono figure che trascendono il sesso, il sangue, la stirpe e la biologia. Io credo nell’utilità di differenziare la funzione materna da quella paterna, ma non credo che queste funzioni debbano coincidere con delle realtà anatomiche. Sono funzioni psichicamente differenti: madre è il nome della cura che sa ospitare la singolarità del figlio, che sa non essere anonima. Padre è il nome del simbolo della legge, del limite, di ciò, come diceva Lacan, che unisce e non oppone il desiderio alla legge”».

Tag:maestro, Massimo Recalcati, scuola

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piergiorgio

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In particolare Borghesi si sofferma sulla posizione di Pasolini rispetto al ’68: «L’antifascismo inteso come progressismo, cioè come lotta alla reazione, per Pasolini non era più alternativa democratica, ma il modo con cui si realizzava un nuovo fascismo. Questa è l’intelligenza di Pasolini sul passaggio tra anni Sessanta e Settanta: vede nascere una nuova ideologia apparentemente progressista ma funzionale a un nuovo potere di destra». Per Borghesi Pasolini, a differenza di Marcuse, è disincantato, «capisce che il ’68 è rivolta della borghesia, non del proletariato: non trovi un operaio nella rivolta del ’68. È una rivolta degli studenti, dei figli della buona borghesia delle città. E qual è il messaggio del ’68? Un nuovo individualismo di massa. Serve ad abbandonare – contestare, distruggere – i vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra, e così crea l’uomo a una dimensione: senza radici, senza legami, contro famiglia ed elementi comunitari. Favorisce un individualismo di massa egoistico e solipsistico, trionfo della società borghese allo stato puro».
Pasolini non aveva forse intravisto il mondo in cui oggi siamo immersi?  Per questo val la pena leggerlo e rileggerlo. E come Fondazione San Benedetto l’abbiamo messo più volte a tema negli incontri del Mese Letterario, già sin dalla prima edizione.
Sulla storia di Anna Laura Braghetti vi invitiamo invece a leggere l’articolo di Lucio Brunelli apparso sull’Osservatore Romano. Dopo aver ripercorso le sue tappe come terrorista, Brunelli sottolinea che poi in Braghetti maturò il pentimento: «Un pentimento graduale e autentico, quindi lancinante, consapevole del terribile male compiuto. E compiuto – questo il paradosso più drammatico di quella storia – in nome di un ideale di giustizia». Fino all’incontro in carcere con il fratello di Bachelet. «Da lui – raccontava Braghetti – ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile».
A un convegno sul carcere organizzato dalla Caritas, qualche tempo dopo – ricorda Brunelli -, «la Braghetti incontrò il figlio di Bachelet, Giovanni. Si riconobbero e si salutarono. Giovanni le disse: “Bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato”. Anna Laura commentò: “Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene”». Questa la conclusione di Brunelli: «Forse sono ingenuo o forse è la vecchiaia ma ogni volta che leggo queste pagine mi commuovo nel profondo. E penso che solo un Dio, e un Dio vivo, può fare miracoli così».

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