L’inganno dell’eutanasia, la denuncia di Houellebecq
Tesi numero 1: nessuno ha voglia di morire. In generale, si preferisce una vita indebolita a un’assenza totale di vita; perché si può ancora beneficiare di piccole gioie. La vita, ad ogni modo, non è forse, e quasi per definizione, un processo di indebolimento? Ed esistono forse altre gioie al di fuori delle piccole gioie (questa cosa meriterebbe un approfondimento)?
Tesi numero 2: nessuno ha voglia di soffrire. Di soffrire fisicamente, intendo. La sofferenza morale ha un suo fascino, si può persino farne una materia estetica (e io non mi sono privato dal farlo). La sofferenza fisica, invece, non è altro che un vero e proprio inferno, svuotato di interesse così come di senso, da cui non si può trarre alcun insegnamento. La vita potrà anche essere stata descritta sommariamente (e ingannevolmente) come una ricerca del piacere; ma sicuramente è molto più un evitamento della sofferenza; e pressoché chiunque, posto dinanzi all’alternativa tra una sofferenza insostenibile e la morte, sceglie la morte.
Tesi numero 3, la più importante: la sofferenza fisica può essere eliminata. All’inizio del Diciannovesimo secolo: scoperta della morfina; da allora sono apparse un gran numero di molecole simili. Alla fine del Diciannovesimo secolo: riscoperta dell’ipnosi; continua a essere poco utilizzata in Francia. L’omissione di questi fatti può spiegare da sola i sondaggi sconcertanti in favore dell’eutanasia (96% di opinioni favorevoli, se mi ricordo bene)». (…)
I sostenitori dell’eutanasia fanno i gargarismi con parole di cui sviano il significato, a tal punto che non dovrebbero nemmeno più avere il diritto di pronunciarle. Nel caso della compassione, la menzogna è palpabile. Nel caso della dignità, siamo di fronte a qualcosa di più insidioso. Ci siamo seriamente allontanati dalla definizione kantiana di dignità sostituendo gradualmente l’essere morale (negando la nozione stessa di essere morale?) con l’essere fisico, rimpiazzando la capacità propriamente umana di agire per obbedienza all’imperativo categorico con la concezione, più animale e più piatta, di stato di salute, che è diventato una specie di condizione di possibilità della dignità umana, fino a rappresentarne l’unico vero significato. In questo senso, per tutta la mia vita, non ho avuto quasi l’impressione di mostrare una dignità eccezionale; e non mi sento come se andasse meglio. Smetterò di perdere i miei capelli e i miei denti, i miei polmoni inizieranno a cadere a pezzi. Diventerò più o meno indifeso, forse incontinente, forse cieco. Dopo un po’, raggiunto un certo stadio di degrado fisico, finirò inevitabilmente per dirmi (ancora felice se non mi viene indicato) che non ho più dignità. E allora? Se questa è dignità, possiamo vivere molto bene senza di essa; ne facciamo a meno. (…) La conclusione, temo, è ovvia: sono un essere umano assolutamente privo di ogni dignità.
Una stronzata comune è dire che la Francia è “indietro” rispetto altri paesi. La motivazione del progetto di legge a favore dell’eutanasia che verrà presto depositato è comica a questo proposito: cercando i Paesi rispetto ai quali la Francia è in ritardo, si trovano il Belgio, l’Olanda e il Lussemburgo; non sono molto impressionato. (…) È stato Jacques Attali che, in un vecchio libro, ha insistito molto sul costo per la comunità di mantenere in vita persone molto anziane; e non c’è da stupirsi che Alain Minc, più recentemente, sia andato nella stessa direzione, Attali è solo un Minc più stupido. (…)
I cattolici resisteranno come meglio possono ma, triste a dirsi, ci siamo più o meno abituati al fatto che i cattolici perdano ogni volta. I musulmani e gli ebrei pensano su questo argomento, come su molti altri cosiddetti argomenti “societari” (brutta parola), esattamente come i cattolici; i media sono generalmente molto bravi a coprirlo. Non mi faccio molte illusioni, queste confessioni finiranno per piegarsi, sottomettendosi al giogo della “legge repubblicana”; i loro sacerdoti, rabbini o imam accompagneranno il futuro eutanasico dicendo che questo non è terribile, ma che domani andrà meglio, e che anche se gli uomini li abbandonano, Dio si prenderà cura di loro. Ammettiamolo. (…)
Rimangono i medici, sui quali avevo riposto poche speranze, probabilmente perché li conoscevo poco, ma è innegabile che alcuni di loro resistano e rifiutino ostinatamente di dare la morte ai loro pazienti, e forse rimarranno l’ultima barriera. Non so da dove provenga questo coraggio, forse è solo il rispetto del giuramento di Ippocrate. “Non darò veleno a nessuno, se richiesto, né prenderò l’iniziativa di un tale suggerimento”. È possibile, deve essere stato un momento importante nella loro vita, la pronuncia pubblica di questo giuramento. In ogni caso, è una bella lotta, anche se sembra una lotta “per l’onore”. Non sarebbe esattamente niente, l’onore di una civiltà; ma è tutta un’altra cosa che è in gioco, antropologicamente è una questione di vita o di morte. Dovrò essere molto esplicito: quando un Paese, una società, una civiltà arriva a legalizzare l’eutanasia, perde ai miei occhi ogni diritto al rispetto. Diventa allora non solo legittimo, ma auspicabile distruggerlo; in modo che qualcos’altro, un altro Paese, un’altra società, un’altra civiltà abbia la possibilità di nascere.
Michel Houellebecq
da Le Figaro, 6 aprile 2021