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«La vera cultura antidoto alla stagnazione e alla mediocrità»

  • Data 19 Febbraio 2023

Pubblichiamo il testo integrale dell’omelia del vescovo di Brescia monsignor Pierantonio Tremolada pronunciata in occasione della festa dei Santi patroni Faustino e Giovita il 15 febbraio 2023

Un affettuoso saluto a tutti voi, convenuti in questa chiesa dei Santi Patroni bresciani in occasione della loro festa solenne. Consentitemi di rinnovare il mio ringraziamento per la vicinanza dimostratami in questi mesi della mia malattia e di condividere con voi la gioia di ritornare per grazia di Dio a guidare il cammino della diocesi bresciana. Un saluto cordiale al capitolo della Cattedrale, al parroco di questa chiesa, Mons. Maurizio Funazzi, presidente della Confraternita dei Santi Patroni e a tutta la Confraternita, ai concelebranti, presbiteri e diaconi. Un saluto deferente alle autorità della città e del territorio bresciano, cui va anche il nostro ringraziamento per l’immancabile presenza in questa importante circostanza. Un saluto caloroso e del tutto particolare al vescovo di Bergamo, monsignor Francesco Beschi, e al sindaco di Bergamo, Giorgio Gori. È per noi un onore e una gioia avervi qui a rappresentare la città e la diocesi con la quale siamo stati nominati – Bergamo e Brescia insieme – Capitale italiana della cultura per l’anno 2023.

La circostanza è davvero unica e si impone per la sua rilevanza. È l’occasione per fermarci una volta di più a considerare l’importanza della cultura per la società e per coglierne il singolare valore nell’attuale momento storico. Permettete dunque che anch’io condivida con voi qualche semplice convincimento, che vorrei poi trasformare in augurio per le nostre due città e per le nostre due chiese.

Mi piace pensare alla cultura come al sapere che fa vivere, o forse meglio, al saper vivere. Nella cultura il vivere si coniuga con il comprendere, l’esperienza con la coscienza. Potremmo dire che la cultura è l’autocoscienza della vita stessa. All’opposto della cultura sta il non sapere, un’ignoranza che non è interessata a ricercare il senso delle cose. Il nemico da combattere è l’indifferenza, il lasciarsi vivere, la superficialità, la chiacchiera, lo slogan, la battuta, un sentire istintivo. Il vero sentire, che qualifica la persona sapiente, è in realtà qualcosa di molto profondo e di molto complesso. Fonde insieme la mente e il cuore. Domanda un pensiero e lo immerge nel profondo dell’anima, gli dona la carica dell’emozione e dell’affetto.

Dove c’è cultura non c’è il sentito dire ma un onesto convincimento, frutto di una intensa riflessione interiore. Insieme a questo vi è però anche la passione, lo slancio, il coraggio, perché il pensiero vero non è mai pura teoria: è carica che arricchisce la vita. La vera cultura è fermento di rinnovamento per la società, antidoto alla stagnazione e alla mediocrità.

C’è un rapporto inscindibile che unisce la cultura e la coscienza. Chi coltiva il vero sapere matura ogni giorno di più un’acuta consapevolezza delle cose, ha il gusto delle grandi domande e l’allergia per le facili risposte. La cultura, infatti, conosce la fatica della ricerca ed è abituata a un ascolto rispettoso dei diversi pareri. Non è altezzosa e arrogante. Si propone in modo pacato, come contributo alla conoscenza della realtà guadagnato con la fatica dello studio e con la pratica costante della riflessione. La vera cultura è ricca di competenza ma priva di supponenza. Sa bene che l’esperienza del vivere è sconfinata e che c’è bisogno del contributo di molti per raccogliere anche solo qualche briciola di verità.

È stato detto – a mio giudizio opportunamente – che la via maestra della conoscenza non è il dubbio ma lo stupore e che alla base del vero sapere c’è il senso dell’ineffabile. Gli uomini e le donne di cultura non sono dei conquistatori o addirittura dei predatori, che si impadroniscono con l’intelligenza della realtà che li circonda: sono piuttosto degli umili esploratori, sempre accompagnati dalla grata ammirazione per quanto sono in grado di scoprire o di creare.

Il vero sapere ha poi una intrinseca dimensione etica, è sempre accompagnato dal senso di responsabilità. La cultura sente il dovere di mantenere alto nella società il livello della giustizia e più in generale delle grandi virtù. Non è pura erudizione, che facilmente gonfia l’io orgoglioso. La vera cultura conosce gli estesi orizzonti del bene, è tensione costante verso la felicità di tutti, ha piacere nel constatare la ricchezza che deriva dal convergere dei diversi saperi.

Una società povera di cultura è una società di basso profilo e ad alto rischio. Un’economia dominata dalla logica del consumo e una tecnologia che è legge a se stessa non sono in grado di dare alla vita personale e sociale la sua piena verità. C’è assolutamente bisogno di cultura, cioè della scienza e dell’arte, nelle loro molteplici espressioni. La vera scienza e l’arte sono in grado di aprirci alla reale dimensione del mondo. Un senso di immensità ci prende quando affrontiamo la realtà con competenza scientifica (pensiamo all’immensamente grande e all’immensamente piccolo) e ancora di più quando leggiamo una poesia, ascoltiamo una sinfonia, ammiriamo un capolavoro della pittura. Dice bene il Salmo: “Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stesse che tu hai creato, che cos’è l’uomo perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi?”. La trascendenza è parte essenziale del mistero del mondo: la terra non esiste senza cielo, la parola senza il silenzio, la conoscenza senza la riverenza.

La cultura, tuttavia, non è irenica. Essa è piuttosto la punta più avanzata della dolorosa consapevolezza che il mondo è ferito. Devastazioni della natura e crudeltà del cuore umano sono le espressioni più evidenti di un enigma che ha lasciato senza parole l’umanità pensante di ogni tempo. Il male purtroppo è di casa in un mondo che rimane carico di mistero. Questa tensione faticosamente componibile è ciò che segna la nostra vita e ciò che le grandi anime sono in grado di cogliere in tutta la sua drammaticità. Potremmo dire che la vera cultura è segnata da un’alternanza: quella tra le lacrime di ammirazione e le lacrime di dolore, tra la contemplazione e l’afflizione.

I poeti e in genere gli artisti sono i più capaci di introdurci in questo paradosso, accompagnandoci fino al limite estremo della tensione del cuore, senza la pretesa di offrire una risposta ragionevole alla domanda che necessariamente sorge: perché? L’economia del profitto e la tecnica autoreferenziale restano mute di fronte a questa istanza del cuore. Il loro profilo è troppo basso per raggiungere queste altezze. La cultura, invece, è capace di elevarsi e di dialogare con l’esperienza religiosa, che attinge umilmente al mistero santo di Dio.

Vi è un’alleanza potente tra la vita e la cultura. Quest’ultima non solo interpreta la vita ma la difende e la promuove, ne mantiene alto il profilo e ne custodisce il senso ultimo. L’indifferenza e la superficialità non riusciranno purtroppo a impedire che si aprano nell’esperienza quotidiana del vivere voragini spaventose. Quando il cuore e la mente non sono vigilanti, illuminati dalla verità di un nobile sapere, l’assurdo può avere il sopravvento e non sarà impossibile raggiungere limiti inimmaginabili di barbarie: la follia della guerra, il brutale sfruttamento dei più deboli, la criminalità senza scrupoli, la sistematica distruzione dell’eco sistema, le atrocità dei delitti quotidiani raccontati dalla cronaca nera. Sentinella della pace e della giustizia, custode del vero e del bello che è proprio della vita, la cultura dà respiro al cuore, ci mantiene immersi nella luce rasserenante del bene, offre un appoggio saldo alla speranza.

In questo anno 2023, anno di Brescia e Bergamo Capitale della cultura, il mio augurio è che le nostre due città crescano in questa coscienza del valore della cultura e nella capacità di promuoverla, che abbiano consapevolezza dei tesori che possiedono e a questi attingano per dare luce e gioia alla vita, preservandola da ciò che la corrompe.

Vorrei concludere dando la parola ai due grandi papi che le nostre due città e diocesi hanno l’onore di ascrivere tra i loro figli più illustri. Nell’enciclica Pacem in terris – di cui quest’anno ricorre il 60° della stesura – papa Giovanni XXIII scrive al numero 87: “A tutti gli uomini di buona volontà spetta un compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà … Compito nobilissimo quale è quello di attuare la vera pace nell’ordine stabilito da Dio” (Pacem in terris, 87). E papa Paolo VI – eletto 60 anni fa al soglio pontificio – nell’Enciclica Evangelii Nuntiandi al numero 20 dice: “La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture”.

Vangelo, pace, libertà, verità, giustizia, amore: sono parole che tracciano anche oggi il sentiero della cultura. L’insegnamento autorevole di due grandi maestri, cui ci legano stima e affetto, trovino eco in questo anno di grazia. Le nostre due città e le nostre due Chiese lo hanno avviato sotto il segno della comunione e della ricerca condivisa della vera sapienza.

Tag:Brescia e Bergamo 2023, Capitale della Cultura, Cultura, Tremolada

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In particolare Borghesi si sofferma sulla posizione di Pasolini rispetto al ’68: «L’antifascismo inteso come progressismo, cioè come lotta alla reazione, per Pasolini non era più alternativa democratica, ma il modo con cui si realizzava un nuovo fascismo. Questa è l’intelligenza di Pasolini sul passaggio tra anni Sessanta e Settanta: vede nascere una nuova ideologia apparentemente progressista ma funzionale a un nuovo potere di destra». Per Borghesi Pasolini, a differenza di Marcuse, è disincantato, «capisce che il ’68 è rivolta della borghesia, non del proletariato: non trovi un operaio nella rivolta del ’68. È una rivolta degli studenti, dei figli della buona borghesia delle città. E qual è il messaggio del ’68? Un nuovo individualismo di massa. Serve ad abbandonare – contestare, distruggere – i vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra, e così crea l’uomo a una dimensione: senza radici, senza legami, contro famiglia ed elementi comunitari. Favorisce un individualismo di massa egoistico e solipsistico, trionfo della società borghese allo stato puro».
Pasolini non aveva forse intravisto il mondo in cui oggi siamo immersi?  Per questo val la pena leggerlo e rileggerlo. E come Fondazione San Benedetto l’abbiamo messo più volte a tema negli incontri del Mese Letterario, già sin dalla prima edizione.
Sulla storia di Anna Laura Braghetti vi invitiamo invece a leggere l’articolo di Lucio Brunelli apparso sull’Osservatore Romano. Dopo aver ripercorso le sue tappe come terrorista, Brunelli sottolinea che poi in Braghetti maturò il pentimento: «Un pentimento graduale e autentico, quindi lancinante, consapevole del terribile male compiuto. E compiuto – questo il paradosso più drammatico di quella storia – in nome di un ideale di giustizia». Fino all’incontro in carcere con il fratello di Bachelet. «Da lui – raccontava Braghetti – ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile».
A un convegno sul carcere organizzato dalla Caritas, qualche tempo dopo – ricorda Brunelli -, «la Braghetti incontrò il figlio di Bachelet, Giovanni. Si riconobbero e si salutarono. Giovanni le disse: “Bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato”. Anna Laura commentò: “Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene”». Questa la conclusione di Brunelli: «Forse sono ingenuo o forse è la vecchiaia ma ogni volta che leggo queste pagine mi commuovo nel profondo. E penso che solo un Dio, e un Dio vivo, può fare miracoli così».

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