Come (e dove) si educa un popolo
Il linguaggio politico è cambiato. In peggio. Il dibattito pubblico non c’è più, dominano la reazione emotiva e gli istinti. Ma un luogo fuori dal coro c’è ancora. (Da ilsussidiario.net di Maurizio Vitali)
“In un mondo in cui non si sa a chi credere, lo spaccone e il bugiardo possono essere persuasivi come chiunque altro”. Inquietante ma vera questa affermazione del giornalista e studioso inglese Mark Thompson: ognuno può verificare in tre secondi che almeno qualcuno gli viene in mente. Qualcuno del mondo politico, probabilmente. Thompson è stato direttore news della Bbc, docente di linguistica e comunicazione, ed attualmente è consigliere di amministrazione del New York Times. Dagli anni 80 in poi ha seguito da vicinissimo la grande politica, da Reagan e Putin e Trump, dalla Tatcher a Theresa May, sulle due sponde dell’Atlantico. Nel suo volume Enough said. What’s Gone Wrong With the Language of Politics (uscito in italiano da Feltrinelli con il titolo: La fine del dibattito pubblico), Thompson osserva la crisi della responsabilità politica, del reciproco rispetto, della civiltà quotidiana nelle democrazie occidentali, constata uno spirito nichilista all’opera in una politica “che cerca solo di dividere” e sostiene che un importante fattore esacerbante è il modo con cui è cambiato, in peggio, negli ultimi decenni, il nostro linguaggio pubblico.