Politica e corpi intermedi, quella folla adesso è sola
Si chiama «disintermediazione», ma ora nessuno appartiene più a niente. E scatta la ribellione. «Dicono che la Nazione sia un ferrovecchio e un’altra appartenenza viene meno» (Dal Corriere della Sera di Pierluigi Battista)
Che abbaglio colossale abbiamo preso, noi che abbiamo inneggiato incantati alla modernità che ci avrebbe fatto più simili agli altri, ai Paesi più avanzati. L’abbiamo chiamata liberazione, ed era solitudine di massa. Emancipazione dalle appartenenze, dalle ideologie, dalle corporazioni, oppure, con termine gergale più sofisticato, «disintermediazione», annullamento dei mille corpi intermedi che fanno da cuscinetto tra lo Stato e l’individuo. Ma ora, a emancipazione avvenuta, nessuno appartiene più a niente. È solo, senza vincoli, senza luoghi in cui ritrovarsi, senza una comunità in cui vivere insieme agli altri. Solo con una tastiera, escluso da tutti, forgotten man, ma nel senso che è dimenticato da tutti, non solo dal potere lontano, quello che non si occupa più di te. E ti tratta pure con disprezzo. E non sa più come parlarti. E in quale lingua poi, visto che è una lingua che appartiene solo a pochi. Una delle cose più stupide predicate in questi decenni è stata per esempio il disprezzo per i partiti. Mea culpa. I partito erano quello che erano, elefantiaci, costosi, mostri burocratici, arroganti, molto disinvolta con una certa intermediazione che conoscevano bene, quella con cui gonfiavano le risorse che consentivano apparati mastodontici. Ma le sezioni dei partiti erano cose serie. Ce n’erano in ogni quartiere, in ogni rione: tre, cinque, otto sezioni di partito, non molto distanti. Qualche volta volavano cazzotti, ma solo qualche volta. In quelle sezioni ci si riuniva, si andava la sera dopo il lavoro, si discuteva, ci si confrontava, si litigava, si giocava a carte e a biliardino. La sezione di partito era un corpo intermedio pieno di vita, un punto di riferimento, un luogo caro a cui appartenere.