“Il genocidio armeno? I filosofi hanno le mani sporche di sangue”
La studiosa che molti paragonano alla Arendt racconta l’origine (non banale) del male (Da Il Giornale, l’intervista a Siobhan Nash-Marshall di Davide Brullo)
Dicono che sia la nuova Hannah Arendt. Quando glielo dico, non si scompone. Al contrario, rilancia. «Alla Arendt contesto il fatto di non essere andata alla radice del problema del genocidio». E quale sarebbe questa radice? «Il protagorismo di Cartesio». Questa me la spiega dopo. «No. Gliela spiego subito. Con un esempio». Prego. «Ricorderà il caso di Bruce Jenner, campione olimpico di decathlon, che un giorno ha detto al mondo di sentirsi donna. Io, francamente, mi sono sentita offesa. Cosa significa sentirsi donna’ per Jenner? Ha mai avuto delle mestruazioni? Ecco: oggi conta solo quello che pensi, non quello che sei. Se pensi di essere una donna, allora lo sei. Ma pensare una cosa non è essere quella cosa, perché l’uomo ecco il protagorismo non è misura di tutte le cose». Siobhan Nash-Marshall insegna filosofia al Manhattanville College di New York, parla perfettamente in italiano d’altronde, si è perfezionata, accademicamente, all’Università di Padova e alla Cattolica di Milano è tradotta in Italia (da Vita e Pensiero, La ricettività dell’intelletto), il suo ultimo libro, The Sins of the Fathers. Turkish Denialism and the Armenian Genocide (The Crossroad Publishing Company, pagg. 250, $24.95; prossimamente in Italia per Guerini), il primo di una trilogia dedicata al «Tradimento della Filosofia», è stato accostato, per ampiezza d’intenti, alla Banalità del male della Arendt.