• Chi siamo
  • Attività
  • Video
  • Archivio
  • Sostienici
  • Statuto
  • Organi
  • Contatti
Email:
[email protected]
Fondazione San BenedettoFondazione San Benedetto
  • Chi siamo
  • Attività
  • Video
  • Archivio
  • Sostienici
  • Statuto
  • Organi
  • Contatti

Fissiamo il Pensiero

  • Home
  • Fissiamo il Pensiero
  • La morte e il senso della vita nell’Italia stremata dall’epidemia

La morte e il senso della vita nell’Italia stremata dall’epidemia

  • Data 8 Novembre 2020

Forse quest’anno per le strade deserte non ci sono nemmeno i venditori di caldarroste a regalare allegria ai ragazzi (si sono mai viste caldarroste igienizzate?) e pure per i fiorai saranno magri incassi. Infatti, per la paura collettiva del contagio, è diventato arduo perfino visitare i cimiteri. Peraltro sono vietati gli assembramenti…Così, anche questo pietoso rito, religioso e sociale, che, per un giorno, ci faceva ricordare le persone amate e sostare davanti ai loro volti, visitando le loro povere spoglie in terra consacrata, ci viene rubato da un nemico invisibile. In questo 2 novembre si dovrebbe rileggere il capolavoro di Delio Tessa: “Caporetto 1917 – L’è el dì di mort, alegher”. Simile è la cappa funerea che si sente gravare sul Paese (e per la verità su tutta l’Europa). Simile – fra scoppi di assurdità – il senso di smarrimento popolare e di inadeguatezza delle classi dirigenti. C’è un desiderio di rialzarsi, ma sempre più disincantato, nella sensazione di una disfatta generale. I cartelli “Chiuso” o “Vendesi” hanno sostituito “Andrà tutto bene”. Ci sono stati momenti nella storia d’Italia che – insieme ai lutti personali e alle devastazioni belliche – hanno portato con sé l’angosciosa sensazione della morte o l’agonia della stessa nazione. Fu così la disfatta di Caporetto nel 1917. È stato così l’8 settembre 1943. Gli storici infatti parlano di “morte della patria”. C’è qualcosa di simile oggi nell’aria. Una sensazione di caos e di paese allo sbando che stavolta non è dovuta a una guerra convenzionale, ma a un altro tipo di guerra che non si sa come combattere, che stiamo perdendo e che comunque lascerà devastazioni e ferite colossali: ci vorranno anni per guarirle. Se si potranno guarire.

BOLLETTINI ANGOSCIANTI

Questo anno 2020 sarà ricordato come quello i cui giorni erano scanditi dai lugubri e angoscianti bollettini dei morti e dei contagiati. Bollettini di guerra, ma di una guerra sconosciuta, misteriosa, asimmetrica, inafferrabile, dove è difficile ripararsi dalle cannonate e non si sa con quale nemico si ha a che fare. Ma un nemico che semina morte e terrore, mentre lo Stato sembra goffamente impotente e non riesce a organizzare difese efficaci neppure dopo mesi. Mai come in questo 2020 la nostra generazione ha pensato alla morte. La morte da evento intimo, personale e familiare, ha invaso lo spazio pubblico, è diventata “la” questione politica centrale, spazzando via perfino gli interessi personali e collettivi di solito fondamentali: da quelli economici a quelli affettivi, da quelli sociali e culturali a quelli ludici o sportivi e perfino religiosi. D’improvviso per paura della morte si è smesso di vivere, rassegnandoci alla mera esistenza biologica. Oltretutto, con un cortocircuito micidiale, l’irrompere devastante della morte nella vita pubblica è stato accompagnato dalla traumatica e inedita cancellazione del lutto – decretata dalle Autorità – cioè la cancellazione di quella ritualità con cui, da tempo immemorabile, le comunità umane vivono ed elaborano il trauma della morte. Ecco dunque le migliaia di morti solitarie, le sepolture senza esequie e senza riti collettivi, addirittura le cremazioni, qualcosa che non si ricordava da millenni. La riduzione della vita e della morte a mera biologia è un trauma spirituale enorme. Perché è tipico dell’uomo e solo dell’uomo, su questa terra, dare sepoltura rituale ai propri morti. La pietà per i morti è sinonimo di civiltà umana. Nei “Sepolcri”, capolavoro della nostra letteratura nazionale, il Foscolo lo ricorda: “Dal dì che nozze e tribunali ed are/ dier alle umane belve esser pietose/ di sé stesse e d’altrui, toglieano i vivi/ all’etere maligno ed alle fere/ i miserandi avanzi che Natura/ con veci eterne a’ sensi altri destina”. La civiltà occidentale mediterranea, del resto, nelle sue diverse espressioni – da quella etrusca a quella egiziana, da quella greca a quella romana, e ancor più la civiltà cristiana – ha sempre dato centralità al rito e alla rappresentazione della morte. Addirittura “potremmo dire che l’intera civiltà egizia tendeva ad essere “orientata alla morte” più che “orientata alla vita”. Diodoro Siculo ha espresso molto meglio lo stesso contrasto con la frase: «Gli egizi affermano che le loro case sono solo degli alberghi e che le loro tombe sono le loro vere case». Così scrive un grande storico dell’arte, Erwin Panofsky, nel suo fondamentale libro La scultura funeraria (dall’Antico Egitto a Bernini)”. Secondo Panofsky l’idea della morte documentata dalla scultura funeraria, in sostanza, oscilla fra la concezione “prospettiva” e quella “retrospettiva”. La prima è specialmente rappresentata dalla civiltà egizia la cui fondamentale preoccupazione era la vita oltre la morte, con la necessità, quindi, di garantire al defunto un’esistenza beata nell’oltretomba. La seconda – quella “retrospettiva” – appartiene alla civiltà classica e mira a garantire una sorta di immortalità su questa terra, glorificando quello che il defunto ha fatto nella vita terrena perché resti il suo ricordo fra i posteri. Perché resti il legame di affetto e il ricordo.

LE ANTICHE CIVILTÀ

In pratica queste antiche civiltà non esprimevano altro che l’aspettativa di tutti gli esseri umani di ogni tempo, che – spiega Panofsky – vivono «lacerandosi tra il desiderio di un riconoscimento terreno» (cioè di non morire e di essere amati) «e quello della salvezza», cioè di vivere per sempre. Lo storico dell’arte sottolinea a questo punto «la forza unificante del cristianesimo» perché «la fede cristiana conferì unità di direzione al confuso desiderio di immortalità dell’uomo. In un certo senso, essa disse all’arte romana ciò che Cristo stesso aveva detto a Marta: “Tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno”». Cristo infatti fa la promessa più formidabile: la resurrezione della carne e la vita eterna. Il compimento di tutti i desideri umani. Ho citato, all’inizio, Delio Tessa. Proprio lui sceglieva come esergo della sua raccolta di poesie, una frase di Turgenev: «La cosa più interessante, nella vita, è la morte». È un paradosso apparente. In effetti la coscienza della propria finitudine impone la ricerca del senso della vita come il primo e il più importante dei compiti dell’uomo.

 

Antonio Socci

da Libero, 2 novembre 2020

  • Condividi
piergiorgio

Articolo precedente

Il virus del Mondo Nuovo
8 Novembre 2020

Prossimo articolo

Marija Judina, la pianista che incantò Stalin
15 Novembre 2020

Ti potrebbe interessare anche

I laureati, la fotografia del paese e la sfida della formazione
21 Giugno, 2025

Pochi giorni fa è stato presentato il Rapporto annuale Almalaurea che analizza il profilo e la condizione occupazionale dei laureati in Italia. Si tratta dell’analisi più autorevole e documentata sul …

Quell’ultimo desiderio di bene che vince la sfiducia
14 Giugno, 2025

«È innegabile che al fondo di tutto il nostro disagio, di tutta la nostra solitudine, di tutto il nostro malessere, al fondo di tutto questo, sta un ultimo desiderio di bene. Se così non fosse, se non fossimo fatti per questo bene, non proveremmo orrore e disgusto per il male. Ma allora è proprio questo infinito desiderio di bene che ci sfida e in qualunque situazione può riaprire la partita. Perché se gli diamo credito ci costringe ad alzare la testa e a cercare». Lo scrive Emilia Guarnieri, insegnante e per molti anni presidente del Meeting di Rimini, nell’articolo che vi invitiamo a leggere questa settimana, pubblicato pochi giorni fa sul quotidiano online il sussidiario.

Lo scenario in cui si gioca questa sfida è quello di oggi segnato da un’esplosione di violenza insensata che, dalle guerre alle pareti domestiche, sembra non conoscere limiti. Insieme ci sono la crisi delle nostre democrazie liberali e il clima di sfiducia che pervade la società e avvelena le relazioni. In questa situazione pensare che la soluzione sia «staccare la spina» e rifugiarsi in una comfort zone è solo una misera illusione. È una forma di alienazione che stacca la spina prima di tutto da se stessi. L’invito è invece a ripartire dal desiderio di bene che resiste nel cuore di ciascuno, a fargli spazio dentro tutte le contraddizioni e le difficoltà in cui ci troviamo. Questo è anche ciò che ci interessa più di ogni altra cosa nelle proposte che facciamo come Fondazione San Benedetto.

Europa, corpi intermedi e democrazia, una questione vitale
7 Giugno, 2025

Dopo l’incontro del 29 maggio in occasione dei vent’anni della San Benedetto in cui è stato rilanciato il tema dei corpi intermedi e del loro ruolo fondamentale per non svuotare la democrazia, questa settimana vogliamo continuare l’approfondimento proponendovi un intervento pubblicato pochi giorni fa sul Sole 24Ore del rettore dell’Università Cattolica Elena Beccalli. Nell’articolo si mette in evidenza come le formazioni sociali, i corpi intermedi, tutte quelle realtà che fanno della società non una somma di io isolati, anonimi e autosufficienti ma l’articolarsi di soggetti in continua relazione tra di loro, siano uno snodo fondamentale per riuscire a coniugare competitività e solidarietà. Questa è stata la forza (forse oggi un po’ appannata e confusa) del modello europeo anche a livello economico. In Italia questo modello di economia sociale, ricorda Beccalli, ha una storia importante fatta di «mutualismo, comunità, sussidiarietà» che oggi ha bisogno di un nuovo «slancio» creativo per continuare. E così in Europa. In un quadro mondiale sempre più «terremotato», come si può intuire, si tratta di una questione vitale. Su questi temi come fondazione intendiamo lavorare e proporre iniziative nei prossimi mesi.

Cerca

Categorie

  • Fissiamo il Pensiero
  • I nostri incontri
    • I nostri incontri – 2015
    • I nostri incontri – 2016
    • I nostri incontri – 2017
    • I nostri incontri – 2018
    • I nostri incontri – 2019
    • I nostri incontri – 2021
    • I nostri incontri – 2022
    • I nostri incontri – 2023
    • I nostri incontri – 2024
    • I nostri incontri – 2025
  • Mese Letterario
    • 2010 – I Edizione
    • 2011 – II Edizione
    • 2012 – III Edizione
    • 2013 – IV Edizione
    • 2014 – V Edizione
    • 2015 – VI Edizione
    • 2016 – VII Edizione
    • 2017 – VIII Edizione
    • 2018 – IX Edizione
    • 2019 – X Edizione
    • 2021 – XI Edizione
    • 2023 – XIII Edizione
    • 2024 – XIV Edizione
    • 2025 – XV Edizione
  • Scuola San Benedetto – edizioni passate
  • Tutti gli articoli

Education WordPress Theme by ThimPress. Powered by WordPress.

VUOI SOSTENERCI?

Siamo una fondazione che ha scelto di finanziarsi con il libero contributo di chi ne apprezza l’attività

Voglio fare una donazione
Borgo Wührer, 119 - 25123 Brescia
[email protected]

Resta sempre aggiornato

Iscriviti subito alla nostra newsletter per non perderti le attività e gli eventi organizzati dalla Fondazione San Benedetto.

Iscriviti

Sito Web sviluppato da Nida's - Nati con la crisi.

Copyright © Fondazione San Benedetto Educazione e Sviluppo

Mappa del sito | Privacy Policy | Cookie Policy

Sito Web sviluppato da Nida's - Nati con la crisi.

Privacy Policy | Cookie Policy