Le vite spezzate e la Storia
di Silvia Avallone
dal Corriere della Sera – 5 maggio 2021
Il lavoro è la scelta di una vita onesta. La mattina ti svegli presto, esci di casa e compi lo stesso tragitto, prendi obbediente il tuo posto e lo occupi fino alla fine del turno. Se lavori in fabbrica, il tuo lavoro è domare un mostro. Un altoforno, una pressa, un telaio, un rullo, un orditoio: qualunque cosa sia, il tuo corpo al suo cospetto è sempre troppo fragile e troppo vivo. Ma tu hai scelto di guadagnarti da vivere in modo giusto, di non pesare sugli altri, di non dipendere da nessuno. Anche se sognavi altro e lo stipendio non è stellare, anche se il tempo durante certi turni sembra fermarsi e la fatica di farti ingranaggio è tanta. Specialmente se sei una ragazza di vent’anni, come Luana D’Orazio, e scalpiti di desideri. Il lavoro in fabbrica se ne frega, dei desideri: esige gesti ripetuti e precisi, la mente inchiodata al presente, al rocchetto, ai fili, nel rumore abissale che si alza e sovrasta. Qui non è come in ufficio, dove al massimo ti cade una penna dalla scrivania o si perde un documento. Qui è dove nascono le cose, dove prende forma la materia di cui è fatto il mondo. Occorre resistere e prestare massima attenzione, non c’è spazio per le distrazioni, per la stanchezza. Perché in fabbrica, nel 2021 come nel 1800, si entra per vivere e spesso invece si muore. (…)
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