• Chi siamo
  • Attività
  • Video
  • Archivio
  • Sostienici
  • Statuto
  • Organi
  • Contatti
Email:
info@fondazionesanbenedetto.it
Fondazione San BenedettoFondazione San Benedetto
  • Chi siamo
  • Attività
  • Video
  • Archivio
  • Sostienici
  • Statuto
  • Organi
  • Contatti

Fissiamo il Pensiero

  • Home
  • Fissiamo il Pensiero
  • I magnifici sette e i peones della pace

I magnifici sette e i peones della pace

  • Data 15 Maggio 2022

 

di Maurizio Vitali 

da ilsussidiario.net – 9 maggio 2022 

 

Nel mitico film i Magnifici sette (1960), Yul Brynner, Steve McQueen, Charles Bronson e altri quattro pistoleros scavezzacollo difendono un villaggio di poveri peones dai predatori fuorilegge di Calveras. I ragazzini figli dei peones li ammirano e a Bernardo (Bronson) dicono che loro sì sono eroi, non come i loro padri che usano la zappa e non le Colt. Bernardo li sculaccia: “I veri eroi sono loro che si spaccano la schiena tutti i santi giorni per nutrirvi e farvi crescere”. Nella concitazione si espone per un attimo e uno sparo lo raggiunge. Muore e quell’insegnamento è il suo dono. Potrebbe essere questo un apologo a proposito della guerra in Ucraina.

La guerra in corso mostra un’Europa divisa e gregaria. Divisa per esempio, clamorosamente, sulle sanzioni economiche che dovrebbero tagliare l’erba sotto i piedi a Putin, sempre che non taglino il ramo su cui noi stessi siamo seduti.  Gregaria perché incapace di protagonismo rispetto alle strategie “occidentali” dettate dagli Stati Uniti. Perché la domanda cruciale da porsi, senza tema di essere tacciati di cerchiobottismo o filo-putinismo, è questa: si sta realmente lavorando per la pace? Non è un interrogativo peregrino, è l’interrogativo che si pongono le coscienze non anestetizzate dalla propaganda. Lo ha esplicitato, tanto per cambiare, papa Francesco, non aduso ad allinearsi al pensiero dominante: “Mentre si assiste ad un macabro regresso di umanità mi chiedo, insieme a tante persone angosciate, se si stia veramente ricercando la pace, se ci sia la volontà di evitare una continua escalation militare e verbale, se si stia facendo tutto il possibile perché le armi tacciano. Vi prego, non ci si arrenda alla logica della violenza, alla perversa spirale delle armi. Si imbocchi la via del dialogo e della pace”. Questa via passa nell’immediato attraverso trattative per un cessate il fuoco, e speriamo che la diplomazia – segreta – sia all’opera in questo senso. Ma, ammesso che essa funzioni, non basterà. La pace non è il patto imposto dai vincitori ai vinti, ma una continua costruzione comune per il rispetto e l’affermazione del diritto e della giustizia. Tanto più oggi, nell’era nucleare.

L’Europa – l’uomo europeo, non solo i governanti – è il soggetto che meglio può intendere e farsi carico di quella paziente costruzione. Ha aperto e indicato la strada di questa riflessione il presidente Mattarella. Ha detto:  “Quanto la guerra ha la pretesa di essere lampo – e non le riesce – tanto la pace è frutto del paziente e inarrestabile fluire dello spirito e della pratica di collaborazione tra i popoli, della capacità di passare dallo scontro e dalla corsa agli armamenti, al dialogo, al controllo e alla riduzione bilanciata delle armi di aggressione. È una costruzione laboriosa, fatta di comportamenti e di scelte coerenti e continuative, non di un atto isolato. Il frutto di una ostinata fiducia verso l’umanità e di senso di responsabilità nei suoi confronti…  Se perseguiamo obiettivi comuni, ‘per vincere’ non è più necessario che qualcun altro debba perdere. Vinciamo tutti insieme”. La proposta di Mattarella di una nuova Conferenza per la pace e la sicurezza in Europa sull’esempio di quella di Helsinki nel 1975 (cui parteciparono anche l’Urss di Breznev e la Santa Sede) muove da questa concezione. E a quanto risulta è tuttora la proposta più seria e operativa emersa. L’interessante è che questa posizione è reperibile non nella dimensione dell’utopia o della progettazione artificiosa, ma in quella della memoria, della cultura e dell’esperienza popolare. Queste tre dimensioni sono da recuperare.

La memoria: l’Europa dei fondatori. L’edificio della comunità e della pace europea non fu dettato dalla logica del vincitore contro i vinti – la Francia in questa logica avrebbe dovuto “punire” Italia e Germania –, ma dalla cooperazione nello spirito di riconciliazione, parola che traduce almeno pressappoco in politica l’idea di perdono (che non è mai rinuncia alla verità e alla giustizia del diritto). Così oggi la pace non sarà garantita dalla ridefinizione o dalla conferma della spartizione del mondo in zone d’influenza. Ancora Mattarella: “Non è più il tempo di una visione tardo-ottocentesca, e poi stalinista, che immagina una gerarchia tra le nazioni a vantaggio di quella militarmente più forte. Non è più il tempo di Paesi che pretendano di dominarne altri”.

La cultura: come ha magistralmente scritto e insegnato Ratzinger, “i padri dell’unificazione europea dopo la Seconda guerra mondiale – come abbiamo visto – erano partiti da una fondamentale compatibilità dell’eredità morale del cristianesimo e dell’eredità morale dell’Illuminismo europeo”. Questo umanesimo si è corrotto. L’illuminismo delle classi dominanti chiusosi alla trascendenza tende a dissolversi nella nuova dittatura ideologica di una posizione ultimamente nichilista, per cui noi europei non avremmo valori da proporre ma solo un passato da cancellare (vedi la cancel culture), frutto – come in maniera convincente sostiene Federico Rampini nel suo Suicidio occidentale (Mondadori 2022) dell’alleanza fra turbo capitalismo finanziario e big-tech che “ha sventrato la classe operaia”, ridotto il ceto medio e provocato molti “decaduti” e scarti, e diffuso una colossale distrazione dalle ingiustizie sociali, eccitando la smania per “diritti” individualistici o per minoranze etniche e sessuali. Insomma diffondendo “il vangelo delle multinazionali e di Hollywood”. Aggiungasi che un cristianesimo ridotto a etica si condanna all’insignificanza, subendo o accettando prima o poi – con qualche ritardo come sempre – la stessa deriva. Il cristianesimo può sempre rigenerarsi perché, se autentico, nasce come accadimento, non come risultato di un processo storico. Comunque l’Europa non può non interrogarsi sui fondamenti: essa, lo si vede, non sta in piedi solo per interessi, ma per condivisione di valori ideali, spirituali.

L’esperienza popolare. L’Europa è un unicum nel mondo in termini di welfare, cioè di servizi alla persona. Non c’è paragone non solo con gli Stati totalitari o autocratici, ma anche per gli Stati Uniti. Ciò è frutto del riconoscimento del valore primario della persona e delle formazioni sociali, attuato attraverso posizioni e politiche solidaristiche e sussidiarie. Anche durante il Covid, anche con i profughi ucraini, si vede come questa mobilitazione dal basso è fondamentale. È un giacimento di risorse da valorizzare e sostenere sempre più. È lo spazio in cui si esplicita la quotidiana costruzione della pace dal basso, dalle fondamenta, in tutti i rapporti, in tutta la società. Perché sono i peones, più che i magnifici sette, i costruttori di una pace vera.

  • Condividi
piergiorgio

Articolo precedente

La ferocia della guerra e la valanga dell’odio
15 Maggio 2022

Prossimo articolo

Don Giussani e l’incontro con Pasolini e Testori
22 Maggio 2022

Ti potrebbe interessare anche

Un’alternativa europea alla legge del più forte
4 Ottobre, 2025

La gravissima situazione della Terra Santa, la guerra in Ucraina che non accenna a fermarsi, sono solo i due scenari più esplosivi per il loro carico di violenza insensata, morte e distruzione, alle porte di casa nostra, senza dimenticare quanto sta accadendo purtroppo in molti altri angoli del mondo dall’Africa ad Haiti, per arrivare al Myanmar, e di cui non si parla mai. Non è il tempo delle polemiche. Soffiare sul fuoco delle contrapposizioni in questa situazione è quanto di più sterile si possa fare. Diventano armi di distrazione di massa che impediscono di considerare le emergenze reali a cominciare da quelle delle popolazioni indifese che da Gaza a Kiev subiscono gli effetti della violenza. E la prima emergenza adesso è la costruzione della pace. Ci riconosciamo totalmente nel giudizio espresso nel volantino diffuso in questi giorni da Comunione e Liberazione che vi invitiamo a leggere. In tale contesto, crediamo che il compito dell’Europa, ancor di più oggi, sia decisivo per dar corpo a percorsi alternativi che non siano basati sulla legge del più forte. Come ha più volte sottolineato anche nelle ultime settimane il presidente Mattarella si tratta di «fare l’Europa per superare la logica del conflitto e delle guerre, per evitare l’oppressione dell’uomo sull’uomo, per ribadire la dignità di ogni essere umano, di ogni persona». Oggi questa è l’unica strada praticabile che abbiamo di fronte per dare un futuro alle nostre democrazie. Su questo come Fondazione San Benedetto proporremo nei prossimi mesi iniziative specifiche. Certamente l’Europa si trova di fronte a un bivio ineludibile: procedere verso una progressiva decadenza diventando irrilevante e tradendo le grandi promesse da cui era nata, oppure ritrovare una propria identità originale alternativa alle autocrazie che oggi dominano il mondo. Su questi temi vi invitiamo a leggere, come spunto di riflessione, l’articolo di Allister Heath, editorialista del quotidiano britannico The Telegraph.

Il perdono di Erika e la fede nello spazio pubblico
27 Settembre, 2025

Dopo l’assassinio di Charlie Kirk si sono innescate da fronti opposti contrapposizioni molto dure con episodi di violenza verbale, arrivando in qualche caso anche a giustificare quanto è successo. Respingiamo le strumentalizzazioni da qualunque parte provengano che diventano sempre una comoda cortina fumogena che impedisce di guardare la realtà. Ci interessano invece i fatti. E un fatto che senz’altro colpisce è quanto accaduto in occasione dei funerali di Kirk con il gesto di Erika, la vedova di Charlie, che ha pubblicamente perdonato il giovane che le ha ucciso il marito. Un gesto spiazzante, disapprovato dal presidente Trump, che trova la sua unica ragione nella fede in Chi ha detto «Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno», come ha detto Erika. È un fatto su cui riflettere, che zittisce letture sociologiche o visioni ideologiche, e pone la questione della presenza della fede nello spazio pubblico. Su questo tema vi proponiamo la lettura dell’editoriale di Giuliano Ferrara, pubblicato dal Foglio, per il quale non si può liquidare tutto come fanatismo. Il primo passo è cercare di capire il mondo nel quale viviamo senza paraocchi. Oggi l’Europa e l’America sono su due sponde opposte. «In Europa – scrive Ferrara – la laicità è laicismo, ideologia della separazione tra Chiesa e stato divenuta nel tempo esclusione della fede dallo spazio pubblico, fatto di procedure democratiche che si presumono ideologicamente neutre e impermeabili al credo personale e collettivo, accuratamente scristianizzate. In America è diverso, la laicità è la convivenza libera di ricerche di fedi diverse, alle quali lo stato garantisce la piena agibilità senza preferenze o esclusioni, con un riconoscimento simbolico e non solo simbolico, presente nella cultura di massa e nello spazio pubblico dagli albori della Repubblica americana, della centralità di Dio e dell’esperienza del trascendente nella vita personale e in quella della società». L’America senz’altro per molti aspetti oggi può inquietare le nostre coscienze «liberali», ma siamo sicuri che un’Europa che rinnega le proprie radici, in nome di una presunta neutralità ideale, culturale, morale, esaltando i soli diritti individuali, non rischi di implodere su se stessa? Si chiede Ferrara: «Può resistere e fortificarsi una democrazia che s’ingegna a considerarsi neutra, che esclude famiglia, fede e libertà come aspirazione collettiva invece che come emancipazione e teoria dei diritti individuali?». In particolare sul significato del gesto di Erika Kirk vi segnaliamo anche l’articolo di Pietro Baroni, pubblicato dal quotidiano online ilsussidiario.net: «Perché siamo tutti bravissimi – scrive – a gridare pace e ancor più frettolosi a schierarci dalla parte giusta, quella dei buoni che combattono i cattivi; ma nessuno ha più la forza di usare l’unica parola che può portare la vera pace: perdono».

La fuga da Gaza e l’assuefazione all’orrore
20 Settembre, 2025

L’ultima settimana è stata segnata dalle immagini dell’esodo forzato e disperato di centinaia di migliaia di profughi da Gaza dopo l’invasione dell’esercito israeliano, mentre continuano massacri e distruzioni e la popolazione è alla fame. Eppure anche di fronte a queste immagini drammatiche che ci arrivano ogni giorno a getto continuo, rischiamo spesso di assuefarci all’orrore, di atrofizzare la nostra sensibilità a favore dell’indifferenza come se dietro tutto questo non ci fossero volti e storie di persone reali, di uomini concreti con un nome e un cognome. Si arriva persino a farlo diventare oggetto di talk show dove urlare, scontrarsi e insultarsi per passare poi senza colpo ferire alla prossima puntata. Nella newsletter di oggi vogliamo proporvi due articoli sulla situazione di Gaza che ci testimoniano uno sguardo diverso, uno sguardo umano. Il primo è di Marina Corradi ed è tratto da Avvenire. Si sofferma sulle immagini dei profughi e di chi, avendo perso tutto, non ha più neppure l’istinto di fuggire. Immagini che in modo paradossale richiamano alla memoria altre tragiche evacuazioni come quelle dei ghetti ebraici. Il secondo articolo è un’intervista del Sole 24Ore a padre Francesco Ielpo, nuovo custode di Terra Santa e grande amico della San Benedetto: «Ho trovato – racconta – una situazione drammatica, mi verrebbe da dire disumana nella Striscia, e tanta sofferenza anche in Israele dove si vive in un clima di sospetto, una situazione di conflitto in cui le posizioni si estremizzano». Anche in queste condizioni la Chiesa non perde la speranza e non si stanca di lanciare appelli per la pace: «Noi continuiamo a credere che valga la pena – spiega padre Ielpo – perché è un appello sempre rivolto alle coscienze e quando poi le coscienze cambiano, quando cambia proprio anche la possibilità di intravedere una via diversa, più umana per risolvere le questioni, queste voci, magari non subito, avranno l’effetto che devono avere».           

Cerca

Categorie

  • Fissiamo il Pensiero
  • I nostri incontri
    • I nostri incontri – 2015
    • I nostri incontri – 2016
    • I nostri incontri – 2017
    • I nostri incontri – 2018
    • I nostri incontri – 2019
    • I nostri incontri – 2021
    • I nostri incontri – 2022
    • I nostri incontri – 2023
    • I nostri incontri – 2024
    • I nostri incontri – 2025
  • Mese Letterario
    • 2010 – I Edizione
    • 2011 – II Edizione
    • 2012 – III Edizione
    • 2013 – IV Edizione
    • 2014 – V Edizione
    • 2015 – VI Edizione
    • 2016 – VII Edizione
    • 2017 – VIII Edizione
    • 2018 – IX Edizione
    • 2019 – X Edizione
    • 2021 – XI Edizione
    • 2023 – XIII Edizione
    • 2024 – XIV Edizione
    • 2025 – XV Edizione
  • Scuola San Benedetto – edizioni passate
  • Tutti gli articoli

Education WordPress Theme by ThimPress. Powered by WordPress.

VUOI SOSTENERCI?

Siamo una fondazione che ha scelto di finanziarsi con il libero contributo di chi ne apprezza l’attività

Voglio fare una donazione
Borgo Wührer, 119 - 25123 Brescia
info@fondazionesanbenedetto.it

Resta sempre aggiornato

Iscriviti subito alla nostra newsletter per non perderti le attività e gli eventi organizzati dalla Fondazione San Benedetto.

Iscriviti

Sito Web sviluppato da Nida's - Nati con la crisi.

Copyright © Fondazione San Benedetto Educazione e Sviluppo

Mappa del sito | Privacy Policy | Cookie Policy

Sito Web sviluppato da Nida's - Nati con la crisi.

Privacy Policy | Cookie Policy