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Don Giussani e l’incontro con Pasolini e Testori

  • Data 22 Maggio 2022

 

A cento anni dalla nascita di don Luigi Giussani, grandissimo educatore, fondatore del movimento di Comunione e Liberazione, ma soprattutto appassionato al destino dell’uomo, la Fondazione San Benedetto promuove un incontro pubblico con l’intervento di tre testimoni che in modi e in circostanze del tutto diverse l’hanno conosciuto. Ne parleranno giovedì 26 maggio alle 18 nell’Aula Magna dell’Università Cattolica in via Trieste 17 a Brescia l’attore Franco Branciaroli, l’ex leader di Servire di popolo Aldo Brandirali, e il filosofo Rocco Buttiglione. Per partecipare all’incontro di giovedì 26 maggio inviare conferma di presenza (sino a esaurimento posti) a: info@fondazionesanbenedetto.it

In vista di tale appuntamento proponiamo la lettura del seguente articolo di Massimo Borghesi pubblicato sul quotidiano online ilsussidiario.net. 


di Massimo Borghesi

da ilsussidiario.net – 4 novembre 2014

La Vita di don Giussani di Alberto Savorana (Rizzoli 2013) ha il grande pregio, tra le altre cose, di documentare episodi e incontri della vita di don Giussani, poco noti e, in molti casi, sconosciuti. Di questi incontri, taluni, tra i più significativi, avverranno dopo il ’68, dopo che il sacerdote di Desio aveva intuito che la grande contestazione stava travolgendo quanto rimaneva della “cristianità”. Ciò obbligava a ripensare una presenza cristiana non più determinata dal rapporto con la tradizione bensì modulata dalla priorità affidata all’incontro, ad una testimonianza cristiana umanamente autentica desiderosa di rapportarsi a tutti e a tutto, fuori da steccati o pregiudiziali di tipo ideologico o politico. Questa prospettiva, assolutamente inedita nel panorama ecclesiale di allora, che troverà una formulazione, semper reformanda come mostra il volume di Savorana, nel movimento di Cl, sarà quella che porterà l’autore ad una serie cospicua di incontri con personaggi di non credenti, aventi una caratteristica in comune: quella di essere umanamente ed intellettualmente vivi, voci fuori dal coro. Tra essi Pier Paolo Pasolini e Giovanni Testori, ambedue omosessuali, espressioni di un mondo di sinistra certo molto lontano da quello democristiano e cattolico tradizionale.

Quello con Pasolini rimarrà, in realtà, un incontro ideale, con grande rimpianto di don Giussani. Savorana ricostruisce la cronaca di quell’appuntamento mancato. «La mattina del 3 novembre 1975, nel suo studio di via Martinengo Giussani apprende dal Corriere della Seradell’uccisione di Pier Paolo Pasolini. Con lui c’è Laura Cioni, che scorge sulla scrivania una lettera indirizzata allo scrittore, che non sarà mai completata: “Esprimeva una totale consonanza con le posizioni da lui sostenute in tanti articoli sul Corriere della Sera“». Il ricordo è confermato da Lucio Brunelli il quale «incontrando Giussani nel 1998 nella sua abitazione di Gudo Gambaredo, gli parla di Pasolini e si sente dire che “gli stava scrivendo una lettera quando arrivò improvvisa la notizia della sua morte. Nella lettera intendeva chiedergli di incontrarlo”».

Giussani si era avvicinato a Pasolini a partire dagli articoli del poeta-scrittore-regista sul Corriere della Sera, pubblicati poi nella raccolta Scritti corsari. L’editoriale del 24 giugno 1974 Il potere senza volto lo aveva entusiasmato. Come ricorda ancora Brunelli: «Mi vede passare e ballando letteralmente sulla sedia mi chiama: “Vieni Lucio, leggi qua, è l’unico intellettuale cattolico, l’unico…”». Lo colpivano la critica pasoliniana all’omologazione, alla distruzione del popolo ad opera di un nuovo potere, conservatore e dissacrante ad un tempo, per il quale l’unico dio era la merce, il consumo come forma di vita. Ne parlerà, riecheggiando il corsaro, nel suo discorso alla Democrazia Cristiana lombarda, ad Assago,  nel 1987. Riguardo al mancato incontro con lui rievocherà, con rammarico, un episodio: «Quanto mai quella sera non l’ho accostato — aspettavo l’ultimo aereo che partiva da Milano verso Roma —… Se Pasolini fosse stato a due nostri raduni, ci avrebbe investito di invettive, ma sarebbe diventato uno dei nostri capi!».

Pasolini diverrà per Giussani il paradigma di un dramma, quello di un uomo cresciuto nella tradizione cattolica, ricevuta dalla madre, abbandonata perché non confortata dall’esperienza di un nuovo incontro. «In un paese del Triveneto, cattolicissimo come ambiente, — dirà —, c’era uno che, disubbidendo a sua madre, era andato a trovare, in una certa taverna, in un paese vicino, un gruppo di tre o quattro giovani scalmanati che a lui piacevano. […] e questo nel tempo lo aveva dissuaso dall’andare in chiesa alla domenica, dall’ascoltare sempre sua madre. […] Quel ragazzo è diventato Pasolini. Egli, la tradizione cristiana genuina, avendola succhiata dal seno di sua madre, l’ha avuta, la doveva vivere, era costretto a viverla, anche se interpretava tutto in modo diverso: secondo la mentalità del gruppo. Dunque è diventato Pasolini, uno dei più grandi scrittori italiani, […] Pasolini ha incontrato un gruppo di persone che si ponevano contro la società di allora, contro la cultura di allora, come innovatori. […] ha cercato una strada sbagliata: ha detto che la verità non c’è — meglio che la verità non si sa cosa sia — […]. Ma lentamente, nella sua vita, si è sentito riecheggiare quello che diceva sua madre sulla vita, sulla verità e sulla strada da battere. Se avesse incontrato uno con la nostra passione, se fosse venuto ad un gesto della nostra comunità, soprattutto a certi momenti, Pasolini avrebbe pianto».

Non era un modo di dire. Quando Giussani parlerà così di Pasolini, nel 2000, aveva certamente presente le lacrime e  l’incontro con un altro autore, grande protagonista dell’Italia culturale del dopoguerra, Giovanni Testori, che diverrà poi una delle firme prestigiose de il Sabato degli anni 80- 90. Scoperto, anche lui, per i suoi articoli sul Corriere della Sera, e conosciuto da alcuni universitari di Cl, Giussani lo incontra nel 1978 in un ristorante di piazzale Aquileia, a Milano. «Appena lo vide, si alzò per andargli incontro. Giovanni era totalmente commosso, sino alle lacrime. Don Giussani, anche lui commosso, lo abbracciò. Testori, piangendo, continuava a dire che lui — che aveva rinnegato e bestemmiato Dio — non era degno di stare di fronte a don Giussani. E poi spiegò come avesse passato la vita a cercare di togliere dalla sua fronte quella croce che nel battesimo gli era stata impressa. E più si sforzava di eliminarla più prepotentemente veniva fuori sino a quando, con la morte di sua madre, era stato rigenerato alla vita. Disse che era come se sua madre, morendo, l’avesse partorito di nuovo». Giussani «profondamente colpito dall’umanità di Giovanni, continuava a ringraziarlo per averlo incontrato, ricordandogli che quello che lui chiamava bestemmie erano come una preghiera disperata che adesso trovava la sua risposta».

In modo misterioso, la figura della madre, come ponte verso Dio, veniva a collegare Testori a Pasolini. La madre come ultimo lembo di una tradizione cristiana spazzata via dalla storia che poteva essere ritrovata e rinnovata solo a partire da un nuovo inizio, da un “incontro” con dei testimoni, liberi, intelligenti, appassionati, del cristianesimo nel presente. Le due voci più espressive, in Italia, di intellettuali non schiavi del potere, si incrociavano, così, idealmente e realmente, con la strada del sacerdote di Desio, il don Giovanni Bosco del nostro tempo.

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piergiorgio

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Riprende da oggi l’appuntamento con la nostra newsletter domenicale «Fissiamo il pensiero» e, all’inizio di un nuovo tratto di cammino, vogliamo ripartire dal Meeting di Rimini che si è chiuso da pochi giorni. La passione ideale che è il vero motore di un evento come il Meeting unico per il suo carattere e la sua rilevanza in Italia, e probabilmente anche in Europa, pur con modalità e dimensioni diverse, è la stessa che ci muove come Fondazione San Benedetto. Del Meeting si sono occupati anche i media, dando spazio però, come avviene da anni, in modo prevalente agli incontri di tipo politico. Tutti appuntamenti interessanti e di livello, ma il Meeting è molto di più. Perciò abbiamo sempre invitato tutti a trascorrere almeno un giorno in fiera a Rimini, unico modo per evitare giudizi affrettati e parziali. Quest’anno attorno alla frase di T.S. Eliot «Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi» (titolo dell’edizione 2025) in sei giorni si è sviluppato un programma di incontri, mostre e spettacoli davvero ricco. Solo a titolo di esempio ricordiamo gli incontri col Patriarca ortodosso di Costantinopoli Bartolomeo a 1700 anni dal Concilio di Nicea, con due madri, una israeliana e l’altra palestinese, che hanno perso un figlio, testimoni di una riconciliazione possibile, con lo scrittore spagnolo Javier Cercas. E poi le mostre da quella sui martiri di Algeria a quella su Vasilij Grossman, da quella su Carlo Acutis a quella sulle voci dall’Ucraina. Nell’ultimo giorno del Meeting è stato annunciato il titolo dell’edizione del prossimo anno che riprende il verso finale della Divina Commedia: «L’amor che move il sole e l’altre stelle». Su questo vi invitiamo a leggere l’articolo, tratto dal quotidiano online ilsussidiario.net, di Giuseppe Frangi, fondatore e vicepresidente di Casa Testori e amico della San Benedetto. Con lui stiamo già collaborando e altre iniziative sono in cantiere. Ricordiamo la serata dello scorso luglio a Brescia con la lettura nella chiesa di San Giovanni del dialogo sul Romanino fra Pasolini e Testori (a questo link lo potete rileggere).
Tornando al titolo del Meeting, questo sta a indicare ogni anno il passo di una storia che continua e che non si ferma a guardare indietro, bloccata su se stessa. È l’espressione di un ideale che si fa vita. Ben altro che un contenitore di eventi o, peggio, di intrattenimento. Si spiega così che dopo 46 anni il Meeting ci sia ancora e sia un luogo sempre interessante e sorprendente. Un percorso analogo lo stiamo facendo come San Benedetto. Abbiamo già in preparazione alcuni incontri sui temi dell’Europa e dell’intelligenza artificiale, e tanto altro, non mancheremo di tenervi aggiornati. Al di là delle singole iniziative la fondazione è prima di tutto un luogo di incontro e di amicizia aperto a tutti. Intanto siamo già in grado di confermarvi che da giovedì 25 settembre alle 18.30 nella nostra sede di Borgo Wührer 119 a Brescia, ci ritroveremo per la Scuola di comunità. Partendo dalla lettura di alcuni testi di don Luigi Giussani è un’occasione per mettere a confronto domande ed esperienze che riguardano la nostra vita e il suo significato. Gli incontri, della durata di un’ora, si terranno con cadenza quindicinale sempre alle 18.30. La proposta è libera, gratuita e aperta a tutti. Chiediamo solo la continuità della partecipazione come segno di serietà nel percorso che ci apprestiamo a cominciare. Il giorno 25 verranno date indicazioni su come si svolgeranno gli incontri con il calendario fino a dicembre e sul testo di riferimento.

Qualcosa di più forte e profondo della distruzione
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La newsletter di oggi è l’ultima prima della pausa estiva. Anche in queste settimane per molti dedicate al riposo e alle vacanze, mentre il mondo è in fiamme e gli orrori della guerra si moltiplicano, crediamo che non si possa far finta di nulla, aprire una parentesi o staccare la spina come si usa dire. Non si può andare in vacanza senza portarsi dietro queste ferite. Portarsele con sé rende più bello e più vero il tempo del riposo. Per questo oggi vogliamo proporvi la lettura di due testimonianze da due dei principali teatri di guerra: l’Ucraina e Gaza. Già scorse settimane avevamo ricordato il caso di Vasilij Grossman, lo scrittore ucraino che dentro lo scenario di morte prodotto dalle ideologie del ’900, non aveva mai smesso di cercare «l’umano nell’uomo» come inizio di una possibilità di speranza. Le testimonianze di oggi ci dicono che anche nelle situazioni più difficili, la violenza, la distruzione e la morte possono non essere l’ultima parola. 

La prima, pubblicata sul sito «La Nuova Europa», è di Adriano Dell’Asta, professore di lingua e letteratura russa all’Università Cattolica e vicepresidente della Fondazione Russia Cristiana. Racconta la storia di Alina, giovane donna ucraina, malata di cancro in fase terminale, che nei suoi ultimi giorni di vita ha trovato accoglienza in un hospice a Charkiv, mantenuto aperto anche sotto le bombe. Tutto sembra perduto, senza speranza, in guerre ogni giorno sempre più distruttive e spregiatrici di giustizia e umanità… eppure c’è chi lotta e resiste per accompagnare sin nella morte chi è senza speranza e riaffermare una dignità e una pace che nessun malvagio può cancellare. È l’infinita sorpresa di un miracolo reale che non sapremmo neppure immaginare.

La seconda testimonianza ci è offerta dalla dichiarazione fatta dal patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa al suo rientro dalla visita a Gaza insieme al patriarca ortodosso Teofilo III. «Siamo entrati – ha detto aprendo la conferenza stampa – in un luogo devastato, ma anche pieno di meravigliosa umanità. Abbiamo camminato tra le polveri delle rovine, tra edifici crollati e tende ovunque: nei cortili, nei vicoli, per le strade e sulla spiaggia – tende che sono diventate la casa di chi ha perso tutto. Ci siamo trovati tra famiglie che hanno perso il conto dei giorni di esilio perché non vedono alcuna prospettiva di ritorno. I bambini parlavano e giocavano senza battere ciglio: erano già abituati al rumore dei bombardamenti. Eppure, in mezzo a tutto questo, abbiamo incontrato qualcosa di più profondo della distruzione: la dignità dello spirito umano che rifiuta di spegnersi».

L’appuntamento con la newsletter «Fissiamo il pensiero» tornerà domenica 7 settembre. Buone vacanze!

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