Mattarella, uno di noi
Intervista al presidente della Repubblica Sergio Mattarella
di Marzio Breda – dal Corriere della Sera – 21 aprile 2023
Signor presidente, si apre un biennio nel quale l’Italia sta avendo un ruolo da protagonista nella cultura europea. «Paese Ospite d’Onore» al Festival du Livre di Parigi, omaggio che si ripeterà nel 2024 alla Buchmesse di Francoforte, e ciò conferma l’interesse verso la nostra narrativa, poesia, filosofia e saggistica… Saranno presentati autori contemporanei e della tradizione, che ci legano all’identità dell’Europa. Possono essere anche eventi come questi gli «antidoti» di cui l’Ue ha bisogno per superare fragilità e riscoprirsi unita? Con una cultura certo plurale, ma su valori comuni?
«La partecipazione dell’Italia in veste d’ospite d’onore a due tra le più prestigiose occasioni culturali europee, oltre a riconoscere il contributo recato dalla civiltà italica al sentire globale, rappresenta una grande occasione per proseguire sulla strada di una osmosi che consolidi sempre più la piattaforma comune di valori sui quali si fonda la Casa europea. L’incontro e il dialogo tra culture offre l’opportunità di conoscersi al di fuori di consolidati stereotipi e crea, nel confronto, le condizioni per superare la fragilità di una interpretazione dell’identità basata sulla chiusura e il rifiuto dell’altro. Il rispecchiarsi in uno spazio largo è ciò che ha consentito il crescere delle civiltà. Il sapere si è affermato come un valore democratico, anzi come condizione della stessa vita democratica. Non a caso l’accesso all’istruzione è divenuto uno dei diritti contemporanei. Un bagaglio di studi limitato è una barriera che, oltre a creare divari, genera incomprensioni e, dunque, conflittualità e, soprattutto, ci impedisce di progettare il futuro con chiavi interpretative adeguate a comprendere la complessità del nostro vivere contemporaneo. Il libro, come ogni altra modalità di espressione della creatività umana, rappresenta uno strumento di condivisione della conoscenza. Leggere è essenziale. Bisognerebbe leggere di più e, forse, la lettura del Milione di Marco Polo potrebbe aiutarci a comprendere lo spirito con cui va guardato il mondo. Lo scambio apre le menti, tanto più per una cultura solida e ammirata come quella italiana. Consente di rimuovere pregiudizi e nozioni artefatte che ostacolano la conoscenza, ricacciandoci in recinti neo-tribali. Il progresso del mondo è avvenuto anche, se non soprattutto, grazie agli scambi con le culture “altre”. Le trasformazioni repentine dei modelli di convivenza indotte dalle innovazioni tecnologiche, gli effetti dei cambiamenti climatici e della stessa crisi pandemica, i conflitti in atto, ci interrogano oggi profondamente nella nostra personalità. La cultura ci sorregge nella nostra capacità di immaginare fin d’ora il tempo nuovo, offrendoci criteri divenuti universali. La sfida è caratterizzata anche dal saper far migrare e incarnare i valori dei patti fondativi delle società contemporanee nelle architetture informatiche, che disegnano e influenzano in modo determinante le nostre società».
Come definirebbe, in concreto, l’identità europea? Su quali cardini poggia? E quale peso vi ha la cultura italiana?
«Dalle grandi città ai piccoli borghi, in ogni latitudine del nostro continente le comunità sono riconoscibili dalle loro piazze, i loro edifici di culto, i loro municipi, i loro palazzi e i loro mercati, i loro paesaggi. Con la loro cultura materiale sedimentata nei secoli. Ognuno di questi segni indica, identifica l’Europa. La dimensione europea è ciò che condividiamo quale frutto del deposito lasciato da culture plurali, recate dai popoli che si sono succeduti nell’insediamento sui territori, in continua sequenza tra loro. Si pensi alle migrazioni degli artisti e degli architetti, dei clerici vagantes. Guardiamo al Rinascimento. Nell’immaginario collettivo, che corrisponde alla realtà, il Rinascimento è il prodotto dell’ingegno italiano in uno stato di grazia particolare. L’innesco dell’esperienza è partito, certo, nel Quattro e Cinquecento dalle città italiane per diffondersi però, poi, nelle corti europee. Tuttavia il Rinascimento belga, per esempio, ha una sua specificità che ha regalato al mondo le meraviglie dell’arte fiamminga; così come il Rinascimento inglese, che vede giganti della letteratura come Edmund Spenser, Philip Sydney e lo stesso John Milton, per non parlare del più grande di tutti, Shakespeare. Né si può trascurare di apprezzare la lungimiranza dei regnanti francesi che ospitarono sommi artisti italiani, come Leonardo, Rosso Fiorentino, Benvenuto Cellini, per consentire ai propri artisti di confrontarsi con il Rinascimento italiano, con la fondazione di scuole come quella di Fontainebleau. Come ignorare il contributo degli enciclopedisti? Come non condividere in un patrimonio comune il pensiero di Kant o la musica di Beethoven e di Brahms; o l’armonia di Mozart o di Donizetti? È dalle reciproche influenze che prende corpo una dimensione di cultura artistica e architettonica europea, riflesso di una matrice umanista emersa nei secoli. Il sentimento di appartenenza era, dunque, a una grande cultura, che non separava est e ovest europeo ma permeava ogni ambiente intellettuale.
Spes contra spem, mi piacerebbe pensare a un nuovo rinascimento europeo, aperto al mondo intero».
C’è chi sostiene che il futuro passi attraverso la costruzione di una «fraternità europea». È questo lo sforzo da fare?
«La fraternità europea, se derivato della triade illuminista — insieme con uguaglianza e libertà —, va intesa come consapevolezza di comune destino e va oltre la solidarietà. Se i valori espressi dalle singole comunità erettesi in Stato sono comuni, è naturale e soprattutto autentico parlare di “fraternità europea”. I padri costituenti della nostra Repubblica si misurarono con questo pensiero e, in una prima stesura dell’articolo 3 della nostra Costituzione, scrissero un inciso di rara bellezza espressiva: le norme, secondo questa primigenia versione del testo, risultavano poste “al fine di assicurare l’autonomia e la dignità della persona umana e di promuovere a un tempo la necessaria solidarietà sociale, economica e spirituale, in cui le persone debbono completarsi a vicenda”. Trovo che quell’espressione “completarsi a vicenda” tra persone, tra esseri umani, tra cittadini europei, rappresenti quanto di più significativo si possa immaginare per l’Europa “unione delle diversità”, ispirata da una visione che sappia guardare lontano, senza il rischio della lusinga dell’inciampo in limes, in barriere artificiosamente create».
Il tema dell’identità dell’Europa si incrocia con le crisi in atto, che determinano anche ondate inattese di immigrazione. Dall’essere spontaneamente cosmopoliti si passa alla paura verso la diversità, vista come una minaccia piuttosto che come opportunità e prova di civiltà.
«In questo senso potremmo parlare di “fraternità europea” come acquisizione di consapevolezze più autentiche, che abbiano la meglio anche su narrazioni correnti di crisi di convivenza con gli immigrati che giungono sulle nostre coste o agli altri confini d’Europa, fuggendo da guerre, carestie, sconvolgimenti climatici. Buoni esempi di “fraternità europea” non mancano: le porte aperte ai profughi ucraini e la generosità ad essi mostrata da Paesi come la Polonia parlano da soli. Tuttavia i principi sono tali se non ammettono declinazioni di comodo. La fraternità sarebbe più forte se fosse sempre ugualmente riservata a chi fugge da altre guerre, da altra fame, da altre catastrofi, lungo la linea del Mediterraneo, per esempio. Al centro deve essere la persona e i suoi diritti, senza distinzione, come recita l’articolo 3 della Costituzione “di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. L’Europa è anche il mare che l’Italia abita, fendendolo nel mezzo fino a sfiorare le coste africane. Ce lo ricorda, con lo straordinario Fernand Braudel, Predrag Matvejevic: “Sul Mediterraneo è stata concepita l’intera Europa”. Il Mediterraneo è il nostro banco di prova come capacità di affermazione dei valori europei e come capacità di dispiegare politiche di cooperazione per fronteggiare, governandoli, fenomeni complessi».
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