Feltri: «Ecco perché vale la pena ascoltare don Giussani»
di Vittorio Feltri
da Libero – 30 aprile 2023
Torna in libreria, in una nuova edizione, il libro di don Luigi Giussani (1922-2005) più famoso: Il senso religioso (Rizzoli, pagine 220, euro 10). Un successo durevole e internazionale: è stato tradotto in quasi tutte le lingue del globo, superato, per numero di stampe in vernacoli forestieri, appena da Giovannino Guareschi. Al quale il prete brianzolo sarebbe di sicuro piaciuto molto. Non che “il Gius”- com’era chiamato sin dal seminario e ancor oggi è noto tra i suoi figli spirituali sparsi in 80 Paesi del mondo – abbia i tratti fisici e caratteriali del don Camillo che nei racconti guareschiani era dotato di pugni marmorei e oliava mitragliatrici sotto la canonica, ma il tipo di fede sì, è quella lì, padana, terragna, per nulla bigotta né moralista. Don Luigi da Desio (Brianza) la viveva alla maniera del parroco di Brescello come rapporto personale con Dio, dialogo continuo con un Gesù molto inchiodato alla Croce, e soprattutto molto risorto: e non in divisa evanescente di fantasma, ma “presente qui e ora”. Nessuno spiritualismo svolazzante, ma guardava Dio negli occhi: “Tu, o Cristo, vita della mia vita”.
Viveva in una pace inquieta: un paradosso esistenziale che caratterizza i grandi dell’umanità, credenti o no. Da quello che ho letto e ascoltato di quest’uomo (uso la parola con cognizione preferendola a sacerdote: egli raccomandava ai preti di essere innanzitutto uomini per essere buoni preti) don Giussani era rasserenato dalla certezza di essere amato e voluto dal Creatore “ricco di misericordia” che ogni istante ci sottrae al nulla; eppure non sopportava l’idea ci fossero al mondo persone che non avessero avuto l’occasione di incontrare Dio che non si accontenta di esistere, come termine di un ragionamento filosofico, ma si fa amico, uno che dà la vita per te, trova sempre argomenti di difesa anche per il più brutale traditore.
INSEGNANTE AL LICEO
Non ha fatto carriera ecclesiastica, don Gius. Coltissimo, geniale, come compresero i suoi insegnanti che volevano studiasse e insegnasse teologia in seminario, facendo la spola tra biblioteca, sacrestia e stanze del vescovo, scelse di essere modesto prof di religione al liceo Berchet, il gotha degli istituti milanesi. Giganteggiò. Gli studenti in gran parte invasati di laicismo e marxismo, che accettavano come dogmi indiscutibili, furono sfidati da questo pretino smilzo non sul tema della fede ma su quello della ragione. Insegnava loro il metodo razionale (metodo etimologicamente vuol dire “strada”) per rispondere alle domande inesorabili per ciascuno di noi, e vivissime nella giovinezza, sul significato della vita. Lui chiamava biblicamente “cuore” o, appunto, “senso religioso”, i desideri profondi di bellezza, giustizia, verità, amore, felicità che cinicamente tendiamo a ridurre a faccende adolescenziali, e invece non andrebbero mai seppellite se si vuole restare uomini vivi e non mummie. A queste esigenze don Giussani non appiccica la fede come risposta sentimentale, con aggiunta di dogmi e di morale, poi tutti a messa. La prefazione di questo libro è di papa Bergoglio, che studiò questo volume quand’era vescovo. Scrive: «Il senso religioso non è un libro a uso esclusivo di coloro che fanno parte del movimento di Comunione e Liberazione; neppure è solo per i cristiani o per i credenti. È un libro per tutti gli uomini che prendono sul serio la propria umanità. Oso dire che oggi la questione che dobbiamo maggiormente affrontare non è tanto il problema di Dio – l’esistenza di Dio, la conoscenza di Dio -, ma il problema dell’uomo, la conoscenza dell’uomo e il trovare nell’uomo stesso l’impronta che Dio vi ha lasciato perché egli possa incontrarsi con Lui». Citato il Papa, mi taccio sui contenuti del volume. E aggiungo la mia trascurabile testimonianza.
DUE RIFLESSIONI
Quando sento il nome di questo sacerdote lombardo penso subito due cose: 1) era uomo di un’altra categoria, a prescindere da talare o clergyman; 2) se non ci fossero stati i ragazzi e le ragazze della “sua” Comunione e Liberazione a resistere, talvolta immolandosi, al dominio comunista nelle università e nelle scuole durante gli anni ‘70, la storia d’Italia si sarebbe tinta di rosso tenebra. È una constatazione da cronista. Nei giornali la divisa era l’eskimo, e le redazioni pretendevano che lo indossassero tutti i lettori. Fui tra i primi a scrivere sul Corriere della Sera difendendo questi strani cattolici, che li trovavo somiglianti a un mio collega, Walter Tobagi, e non mi stupii che insieme a don Giussani accogliessero come maestro Giovanni Testori, il quale davanti al prete di Desio si sentiva un pulcino che desiderava soltanto di mettersi sotto le sue ali tenere e rocciose. A me non è capitato di inchinarmi alla fede. Non me ne vanto. Ho avuto sin dall’infanzia dimestichezza con i preti. Meno con Dio. Non ho ancora deciso se sia colpa Sua o mia.