• Chi siamo
  • Attività
  • Video
  • Archivio
  • Sostienici
  • Statuto
  • Organi
  • Contatti
Email:
info@fondazionesanbenedetto.it
Fondazione San BenedettoFondazione San Benedetto
  • Chi siamo
  • Attività
  • Video
  • Archivio
  • Sostienici
  • Statuto
  • Organi
  • Contatti

Fissiamo il Pensiero

  • Home
  • Fissiamo il Pensiero
  • «Bellissima» in tv, quasi invidio l’Italia di allora

«Bellissima» in tv, quasi invidio l’Italia di allora

  • Data 1 Ottobre 2023

di Marina Corradi

da Avvenire del 28 settembre 2023

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/bellissima-in-tv-quasi-invidio-l-italia-di-allora

Distrattamente una sera, il telecomando in mano, cerco qualcosa da vedere in tv. Calcio, dibattiti stanchi, gialli già visti. Spot ossessivi – quel divano lo citerei per stalking, tanto martella, incessante: sempre in saldo, sempre l’ultimo giorno di saldo. Mi fermo su delle immagini in bianco e nero su Raitre. “Bellissima”, Luchino Visconti, 1951. Non riesco a staccarmene. Non è solo la faccia di Anna Magnani, né la sua povera ostinata speranza di una vita diversa – ricca, famosa – per la sua bambina, quella bellissima bambina che veste e pettina come una bambola. Sono anche i particolari, gli ambienti, a colpirmi profondamente. La casa romana della famiglia Cecconi: le pareti sbrecciate, la cucina misera, le grida dai balconi del caseggiato popolare. 1951, quanto, a sei anni dalla guerra, erano ancora poveri, tanti italiani. Frigoriferi, lavatrici? Dai Cecconi si vede una piccola dispensa, con poche preziose uova. C’era, sì, una Singer, di quelle nere, con cui le donne si cucivano i vestiti. Design, domotica, wifi, web – ma quanti secoli sono passati dal 1951? E quanto ricchi siamo diventati? Eppure mi accorgo di stare a guardare con un’indicibile, quasi, invidia quel mondo che rinasceva da una terribile guerra: vitale, affamato, essenziale. Niente stilisti, niente influencer, happy hour, week end, slow food. Slow food? Il poco cibo lo si mangiava in fretta, prima che se lo mangiasse un altro. L’auto? Il massimo era avere una Lambretta, come Walter Chiari nel film. Sulle scale del palazzo dei Cecconi si intravvedono dei bambini seduti sui gradini, in una giornata torrida. Quanti, quanti bambini, incredibile. E senza tv, senza videogiochi, che facevano d’estate? Giocavano nei cortili polverosi, o se ne stavano a sera sui gradini di casa, ad aspettare che la mamma chiamasse per cena. Forse in quel momento di noia avevano il tempo per immaginare, per sognare. Cosa rara oggi: web, social, e per i bambini più fortunati al pomeriggio lezioni di tedesco, recitazione, judo – qualsiasi cosa per non lasciarli soli, nelle case senza fratelli. Che bello era avere dei fratelli e giocare nei cortili con un niente, con una corda, a nascondino, urlando a squarciagola: “Tana, libera tutti!”.

Certo, rinasceva dopo tanta guerra e fame il mito della vita da star. La signora Cecconi ci cade e ci butta dentro la sua Maria, la trascina a Cinecittà in infinite code in cui mille altre donne pretendono, per le figlie, la vita che non hanno avuto. E che pena quel tornare della madre a casa a piedi, di notte, con la piccola che sfinita le si addormenta in braccio. E quel provino in cui la figlia scoppia a piangere e il regista e gli altri in sala ne ridono, ridono fino a perdere il fiato. Maddalena Cecconi capisce in che inganno è caduta e rifiuta il contratto tanto desiderato: «Scusate, per noi lei è molto bella», sussurra a bassa voce al produttore, tenendo fra le braccia la bambina che dorme. Che storia. Lo facessero vedere nelle scuole, “Bellissima”, ai ragazzini che per diventare famosi farebbero qualsiasi cosa. Ma, quella piccola attrice? Tina Apicella, si chiamava: classe 1946. Che farà oggi? Digiti sul web, curiosa. Strano: nulla, o quasi. Chiuso col cinema. Un sito afferma che dal 1958 non c’è più traccia di lei. Forse i genitori, come la mamma del film, l’hanno portata via dal palcoscenico? Forse lei stessa, adulta, ha scelto un altro destino? Nemmeno più un’intervista, non una foto. Oggi, se è viva, ha 77 anni. La bambina di “Bellissima” sembra essere scappata dentro a una vita semplice, anonima. Come se avesse capito tutto, tanto tempo prima.

————————————————————————————————

L’Africa che sfugge alla vista

Chance e differenze L’attenzione esclusiva al tema dei profughi oscura le ragioni per cui il continente è anche una terra di opportunità, grazie alle enormi risorse di cui dispone

di Federico Rampini

dal Corriere della Sera del 29 settembre 2023

https://www.corriere.it/opinioni/23_settembre_28/immigrazione-l-africa-che-sfugge-vista-6ed936e0-5e2a-11ee-85c8-69bd0c18b956.shtml

L’emergenza profughi contribuisce alla percezione unidimensionale dell’Africa come un buco nero di tragedie, da cui molti italiani sembrano attendersi l’Apocalisse, a cominciare da un esodo biblico. La realtà per fortuna è più complessa e più interessante. Le tendenze della natalità africana mostrano un inizio di moderazione, che potrebbe seguire la «curva virtuosa» di altre aree emergenti come l’Asia. L’Onu ha già tagliato di molte centinaia di milioni di abitanti le sue proiezioni sull’aumento futuro della popolazione africana. Due fattori contribuiscono a questa revisione: l’aumento della scolarizzazione femminile (pur insufficiente, anche perché contrastata da feroci forze reazionarie come il jihadismo) e l’urbanizzazione che cambia i comportamenti riproduttivi delle giovani donne. Il vero «esodo biblico» è quello che sposta abitanti dalle campagne alle metropoli africane, un effetto collaterale di questa rivoluzione urbana è un cambiamento di costumi.

L’attenzione esclusiva al tema dei profughi oscura le ragioni per cui l’Africa è anche una terra di opportunità, grazie alle enormi risorse di cui dispone. Lo sanno non solo America, Cina e Russia, ma anche altre potenze come India, Arabia Saudita, Emirati, Turchia che vi aumentano la loro presenza. Perciò è urgente che il governo italiano dia sostanza al Piano Mattei, che costruisca una strategia positiva per l’Africa per contribuire al suo sviluppo (e indirettamente attenuare la pressione migratoria).

Una prima condizione per essere efficaci nel nostro approccio al continente, è di riconoscerne e studiarne le diversità. Spesso parliamo dell’Africa quasi come se fosse una nazione, mentre ne contiene 54 (e duemila etnie) in una superficie superiore a Stati Uniti, Cina e India messe insieme. Un’altra condizione è prestare attenzione alle voci dei protagonisti africani, ai dibattiti che si svolgono in casa loro. L’emergenza migranti vi riceve meno visibilità mediatica che da noi.

Un dibattito vivace tra africani riguarda i modelli di sviluppo orientali. L’Asia interpella l’Africa, perché ancora qualche decennio fa conosceva problemi simili. Poi le presunte «bombe demografiche» della Cina e dell’India si sono sgonfiate o attenuate. L’India, già candidata alle carestie, oggi è una superpotenza agricola che esporta eccedenze di riso e cereali nel mondo. Singapore all’indomani della sua indipendenza era più povera del Kenya, al punto che lo studiava come un modello da emulare. Il colonialismo, passepartout con cui molti occidentali vogliono interpretare tutto, non spiega le traiettorie di crescita di alcuni «dragoni» asiatici che erano stati colonie più a lungo di tanti Paesi africani. La nostra ossessione per i misfatti eterni e incancellabili degli imperi bianchi, è il nuovo modo con cui ci illudiamo di essere il centro del mondo, la causa e l’origine di ogni problema. Ma i bambini africani che nascono oggi hanno avuto dei bisnonni nati in nazioni già indipendenti. In tre generazioni Singapore e Vietnam (colonia inglese e francese, rispettivamente) hanno fatto balzi in avanti di cui oggi le élite africane più avvertite vogliono capire le ricette.

La formazione di queste élite è una delle missioni di cui dovremo occuparci. Invece sotto la definizione di politiche «umanitarie e accoglienti» spesso derubiamo l’Africa dei suoi migliori talenti: medici che lavorano nei nostri ospedali, per esempio, anziché curare i loro connazionali. La formazione delle nuove classi dirigenti africane è uno degli investimenti di lungo termine a cui dobbiamo pensare. Russia e Cina nelle loro università hanno indottrinato molti leader africani al pensiero anti-occidentale; alcuni di quei leader hanno incontrato lo stesso «pensiero unico» nelle università americane, inglesi e francesi. Nei nostri atenei abbiamo bisogno di formare più ingegneri e manager africani, meno demagoghi.

Approfondire le differenze anziché gli stereotipi e i luoghi comuni, significa disaggregare le 54 nazioni africane in base ai percorsi e alle performance economiche: si scopre un ventaglio ampio, dai casi più orridi di malgoverno e corruzione, a situazioni più stabili e promettenti. Per la stessa ragione l’Africa che guarda verso l’Asia si confronta con modelli alternativi: la traiettoria di sviluppo cinese non è quella indiana o indonesiana, la Corea del Sud non è il Vietnam.

L’Africa possiede risorse minerarie e metallifere essenziali per la transizione ad un’economia sostenibile. Però è insofferente verso il nostro ambientalismo ipocrita: le chiediamo di puntare subito e soltanto sulle energie rinnovabili, mentre perfino il governo della Svezia ha dichiarato che sarà impossibile per molto tempo fare a meno di energie fossili. E quando non ha più potuto comprare carbone dalla Russia, la verde Germania è andato a procacciarselo in Sudafrica. È una delle ragioni per cui le classi dirigenti africane preferiscono il pragmatismo della Cina: investe molto nelle rinnovabili, ma esporta anche centrali nucleari e a carbone.

L’Italia ha una missione verso il resto dell’Europa, non la solita questua per un po’ di solidarietà nella ripartizione dei flussi migratori. L’Europa soffre per il nuovo «male tedesco»: la fine di un modello di sviluppo sbilanciato a Est, sia per le energie fossili a buon mercato, sia per le esportazioni verso la Cina. Quel modello è franato, la Germania è in crisi di vocazione. La prospettiva di una guerra lunga in Ucraina, nonché le tensioni che l’ingresso di Kiev nell’Unione provocherebbe sulla ripartizione dei fondi strutturali e sulla politica agricola comunitaria, tutto questo farà del fianco orientale un onere. L’Italia deve convincere l’Europa a guardare più a Sud.

Questo interpella anche i nostri investimenti per la difesa. In Africa si è rispettati quando si porta sicurezza. Dietro il rigetto clamoroso della presenza francese ci sono anche delle promesse disattese sulla lotta contro le milizie jihadiste. Altri, dalla Russia alla Turchia, sono sembrati talvolta più credibili. Il progetto di una difesa europea comune ha senso in un’area del mondo dove c’è bisogno di ordine e stabilità, e dove la Nato non è l’istituzione ideale. L’Italia dovrà liberarsi dalla sindrome per cui investire nelle nostre forze armate è una «concessione all’America».

Tra i luoghi comuni di cui fare pulizia, c’è l’idea che l’Africa sia oggi il terreno di una nuova conquista, magari con attori diversi dal passato, ma sempre con gli africani nel ruolo di prede, vittime, oggetti passivi delle manovre altrui. Compassione commiserazione infantilizzazione sono le nuove forme politicamente corrette del nostro razzismo. I leader africani sanno quello che fanno, anche quando si mettono in vendita. È un dialogo fra adulti, quello in cui l’Italia e l’Europa devono giocarsi le loro carte. Finora ci siamo condannati all’impotenza, crogiolandoci nei nostri complessi di colpa. Intanto altri costruiscono molte più infrastrutture e fabbriche di noi.

Tag:Anna Magnani, Marina Corradi

  • Condividi
piergiorgio

Articolo precedente

Vattimo e Fallaci, due testimonianze che interrogano
1 Ottobre 2023

Prossimo articolo

«L’umano proprio perché fallisce ha bisogno dell’altro»
8 Ottobre 2023

Ti potrebbe interessare anche

Pier Paolo Pasolini e Anna Laura Braghetti, due storie che ci parlano
8 Novembre, 2025

Pier Paolo Pasolini, di cui il 2 novembre sono stati ricordati i cinquant’anni della sua uccisione. Anna Laura Braghetti, brigatista rossa, morta giovedì a 72 anni, che fu carceriera di Aldo Moro e che nel 1980 sparò uccidendolo al vicepresidente del Csm Vittorio Bachelet. È di loro, di Pasolini e di Braghetti, che vogliamo occuparci in questa newsletter soprattutto per «fissare il pensiero» su alcuni spunti che la loro storia personale ci offre e che riteniamo significativi per noi oggi. Su Pasolini vi proponiamo un intervento del filosofo Massimo Borghesi, che lo definisce «un grande intellettuale, come pochi in Italia nel corso del Novecento» capace di interpretare con largo anticipo i cambiamenti che ora stiamo vivendo.
In particolare Borghesi si sofferma sulla posizione di Pasolini rispetto al ’68: «L’antifascismo inteso come progressismo, cioè come lotta alla reazione, per Pasolini non era più alternativa democratica, ma il modo con cui si realizzava un nuovo fascismo. Questa è l’intelligenza di Pasolini sul passaggio tra anni Sessanta e Settanta: vede nascere una nuova ideologia apparentemente progressista ma funzionale a un nuovo potere di destra». Per Borghesi Pasolini, a differenza di Marcuse, è disincantato, «capisce che il ’68 è rivolta della borghesia, non del proletariato: non trovi un operaio nella rivolta del ’68. È una rivolta degli studenti, dei figli della buona borghesia delle città. E qual è il messaggio del ’68? Un nuovo individualismo di massa. Serve ad abbandonare – contestare, distruggere – i vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra, e così crea l’uomo a una dimensione: senza radici, senza legami, contro famiglia ed elementi comunitari. Favorisce un individualismo di massa egoistico e solipsistico, trionfo della società borghese allo stato puro».
Pasolini non aveva forse intravisto il mondo in cui oggi siamo immersi?  Per questo val la pena leggerlo e rileggerlo. E come Fondazione San Benedetto l’abbiamo messo più volte a tema negli incontri del Mese Letterario, già sin dalla prima edizione.
Sulla storia di Anna Laura Braghetti vi invitiamo invece a leggere l’articolo di Lucio Brunelli apparso sull’Osservatore Romano. Dopo aver ripercorso le sue tappe come terrorista, Brunelli sottolinea che poi in Braghetti maturò il pentimento: «Un pentimento graduale e autentico, quindi lancinante, consapevole del terribile male compiuto. E compiuto – questo il paradosso più drammatico di quella storia – in nome di un ideale di giustizia». Fino all’incontro in carcere con il fratello di Bachelet. «Da lui – raccontava Braghetti – ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile».
A un convegno sul carcere organizzato dalla Caritas, qualche tempo dopo – ricorda Brunelli -, «la Braghetti incontrò il figlio di Bachelet, Giovanni. Si riconobbero e si salutarono. Giovanni le disse: “Bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato”. Anna Laura commentò: “Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene”». Questa la conclusione di Brunelli: «Forse sono ingenuo o forse è la vecchiaia ma ogni volta che leggo queste pagine mi commuovo nel profondo. E penso che solo un Dio, e un Dio vivo, può fare miracoli così».

Il Cristo di Manoppello e Sgarbi trafitto dalla bellezza
1 Novembre, 2025

«Nei mesi attuali di oscurantismo, immersi nell’orrore di Gaza, nella guerra in Ucraina, nell’oppressione della cronaca, anche personale, mi convinco che vi sia molto più Illuminismo cioè quella tendenza a invadere il reale di razionale – nel pellegrinaggio al Cristo di Manoppello che non nella realtà di oggi, che sembra imporci comportamenti irrazionali». Lo scrive Vittorio Sgarbi in un articolo sul settimanale «Io Donna» a proposito del Volto Santo di Manoppello, il velo che porta impressa l’immagine del volto di Gesù, custodito nella chiesa di un piccolo paese in provincia di Pescara. Una reliquia di origine misteriosa di fronte alla quale passa in secondo piano se sia l’impronta di un volto o un’immagine dipinta. Per Sgarbi «quel volto è il volto di Cristo anche se non è l’impronta del suo volto, perché è ciò che la nostra mente sente essere vero, non la verità oggettiva di quella cosa». Si dice trafitto dalla «sua bellezza, che splende più della sua verità, cioè della sua vera o presunta corrispondenza al volto del vero Gesù, “veramente” risorto». Ecco oggi l’esperienza di cui più la nostra vita ha bisogno è proprio questo essere feriti dal desiderio della bellezza. Solo questa esperienza può mobilitare ragione, intelligenza e volontà a prendere sul serio la nostra sete di infinito, spingendo a non accontentarsi di false risposte tanto comode quanto illusorie. E si può solo essere grati che a ricordarcelo sia un inquieto e un irregolare come Sgarbi.

Il lunapark delle distrazioni e la via del cuore di Susanna Tamaro
25 Ottobre, 2025

È un tema scomodo quello che affronta Susanna Tamaro nel suo ultimo libro «La via del cuore». Parla della nostra trasformazione, della crisi della nostra umanità, di un processo in atto che ci riguarda nel profondo. Nella newsletter di questa settimana vi segnaliamo la lettura dell’articolo che la stessa Tamaro ha scritto per il Corriere della Sera in occasione dell’uscita del libro. Cita Romano Guardini che più di sessant’anni fa parlava di un «potere in grado di penetrare nell’atomo umano, nell’individuo, nella personalità attraverso il cosiddetto “lavaggio del cervello”, facendogli cambiare contro la sua volontà la maniera in cui vede sé e il mondo, le misure in cui misura il bene e il male». È quanto sta avvenendo oggi in modo accelerato con «l’irrompere nella nostra vita dello smartphone e dei social», con conseguenze molto gravi soprattutto per i bambini. «Veniamo continuamente spinti a inseguire la nostra felicità – scrive Susanna Tamaro -, dove la felicità altro non è che il soddisfare ogni nostro più bizzarro desiderio perché non c’è alcuna legge nel mondo, nessun ordine al di fuori dei diritti del nostro ego». Siamo immersi in un «lunapark di distrazioni» che al fondo è segnato da un «odio per la vita» che non è più «un dono, una grazia, un’imprevedibile avventura, ma un peso angoscioso di cui liberarsi». La postura dell’uomo contemporaneo, come sosteneva Hannah Arendt, diventa così il risentimento. Eppure si può invertire la rotta. «Abbiamo sostituito il cuore di carne con un cuore di pietra – conclude Tamaro – e la situazione di limite in cui ci troviamo ci parla proprio della necessità di invertire la rotta, di essere in grado nuovamente di percepire le due vie che appartengono alla nostra natura (la via del bene e la via del male) e di essere consapevoli che la nostra umanità si realizza in pienezza soltanto nella capacità di discernimento. Il bene, seppure con tempi misteriosi, genera altro bene, mentre il male è in grado soltanto di provocare ottusamente altro male».  

Cerca

Categorie

  • Fissiamo il Pensiero
  • I nostri incontri
    • I nostri incontri – 2015
    • I nostri incontri – 2016
    • I nostri incontri – 2017
    • I nostri incontri – 2018
    • I nostri incontri – 2019
    • I nostri incontri – 2021
    • I nostri incontri – 2022
    • I nostri incontri – 2023
    • I nostri incontri – 2024
    • I nostri incontri – 2025
  • Mese Letterario
    • 2010 – I Edizione
    • 2011 – II Edizione
    • 2012 – III Edizione
    • 2013 – IV Edizione
    • 2014 – V Edizione
    • 2015 – VI Edizione
    • 2016 – VII Edizione
    • 2017 – VIII Edizione
    • 2018 – IX Edizione
    • 2019 – X Edizione
    • 2021 – XI Edizione
    • 2023 – XIII Edizione
    • 2024 – XIV Edizione
    • 2025 – XV Edizione
  • Scuola San Benedetto – edizioni passate
  • Tutti gli articoli

Education WordPress Theme by ThimPress. Powered by WordPress.

VUOI SOSTENERCI?

Siamo una fondazione che ha scelto di finanziarsi con il libero contributo di chi ne apprezza l’attività

Voglio fare una donazione
Borgo Wührer, 119 - 25123 Brescia
info@fondazionesanbenedetto.it

Resta sempre aggiornato

Iscriviti subito alla nostra newsletter per non perderti le attività e gli eventi organizzati dalla Fondazione San Benedetto.

Iscriviti

Sito Web sviluppato da Nida's - Nati con la crisi.

Copyright © Fondazione San Benedetto Educazione e Sviluppo

Mappa del sito | Privacy Policy | Cookie Policy

Sito Web sviluppato da Nida's - Nati con la crisi.

Privacy Policy | Cookie Policy